Atena conferisce l'anima all'umanità creata da Prometeo. (1) (1) (Christie's, London, Catalogue des pierres graves antiques de S.A. le Prince Stanislas Poniatowski ([1830?]-1833), P.32). L'immagine è stata tratta dal sito www.ereticamente.net.

Atena conferisce l’anima all’umanità creata da Prometeo. (1)
(1) (Christie’s, London, Catalogue des pierres graves antiques de S.A. le Prince Stanislas Poniatowski ([1830?]-1833), P.32). L’immagine è stata tratta dal sito www.ereticamente.net.

Si poteva tranquillamente chiedere al proprio genio di realizzare desideri malvagi o egoistici”. A Roma come nell’Africa occidentale o a Haiti, una persona poteva chiedere al proprio daimon (o comunque si chiamasse) di fare ammalare i propri nemici, di gettarli sul lastrico, di aiutarla a manipolare o a sedurre gli altri. Dedicheremo un capitolo (“Il Cattivo Seme”) anche a questo aspetto “malvagio” del daimon. Il concetto di immagine individualizzata dell’anima ha una storia lunga e complicata; compare sotto le più svariate forme in quasi tutte le culture e i suoi nomi sono legioni. Soltanto la nostra psicologia e la nostra psichiatria l’hanno espunto dai loro testi. Nella nostra società, le discipline che si occupano dello studio e della terapia della psiche ignorano un fattore che alcune culture considerano il nucleo della personalità e il depositario del destino individuale: l’oggetto centrale della psicologia, la psiche o anima, non entra nei libri ufficialmente dedicati al suo studio e alla sua cura! In questo libro userò in maniera pressoché intercambiabile molti dei termini che designano la nostra ghianda – immagine, carattere, fato, genio, vocazione, daimon, anima, destino – , dando la preferenza all’uno o all’altro a seconda del contesto. Tale uso poco rigoroso si adegua allo stile di altre culture, spesso più antiche della nostra, che hanno di questa enigmatica forza della vita umana una percezione più raffinata che non la nostra psicologia contemporanea, con la sua tendenza a ridurre a definizioni univoche la comprensione di fenomeni complessi. Non bisogna avere paura delle parole altisonanti. Esse non sono vuote; semplicemente, sono state abbandonate, e vanno riabilitate. Le molte parole e i molti nomi non ci dicono che cosa sia questo “qualcosa”; però ci confermano che esiste. E alludono alla sua qualità arcana. Non possiamo sapere a che cosa esattamente ci riferiamo, perché la sua natura rimane nebulosa e si rivela più che altro per allusioni, per sprazzi di intuizione, in sussurri e nelle improvvise passioni e bizzarrie che interferiscono nella nostra vita e che noi ci ostiniamo a chiamare sintomi. Un esempio: Concorso per dilettanti alla Opera House di Harlem. Sale timorosa sul palco una sedicenne goffa e magrolina. Viene presentata al pubblico: “Ed ecco a voi Ella Fitzgerald… Miss Fitzgerald ballerà per noi… Un momento, un momento. Come dici, dolcezza? Mi correggo, signore e signori: Miss Fitzgerald ha cambiato idea. Non vuole ballare, vuole cantare…”. Ella Fitzgerald dovette concedere tre bis e vinse il primo premio. Eppure la sua intenzione era stata quella di esibirsi nel ballo. 5 Fu il caso a farle cambiare idea di punto in bianco? O era entrato in azione un gene del canto? Oppure quel momento era stato un’annunciazione, che aveva richiamato Ella Fitzgerald al suo particolare destino? Pur con tutta la sua riluttanza ad accogliere nel proprio campo di studio il destino individuale, la psicologia ammette che ciascuno di noi ha una propria costituzione, che ciascuno di noi, a dispetto a volte di tutto e di tutti, è un individuo unico e irripetibile. Quando però si tratta di dare conto di questa scintilla di unicità e della vocazione che ci mantiene fedeli a essa, la psicologia sembra non sapere bene come muoversi. I suoi metodi di analisi frammentano quel puzzle che è l’individuo in fattori e tratti della personalità, in tipologie, in complessi e temperamenti, nel tentativo di rintracciare il segreto dell’individualità nei substrati della materia cerebrale e in geni egocentrici. Le scuole di psicologia più rigorose espellono addirittura il problema dai loro laboratori, scaricandolo sulla parapsicologia: che studi pure i casi di “vocazioni” paranormali. Oppure lo spediscono in qualche avamposto della ricerca nelle remote colonie della magia, della religione e della follia. Al massimo – cioè al minimo – la psicologia spiega l’unicità di ciascuno ipotizzando una distribuzione statistica delle probabilità. Questo libro si rifiuta di chiudere nei laboratori di psicologia quel senso di individualità che sta al centro del mio “me”. E non accetterà mai che la mia misteriosa e preziosa vita umana sia il risultato di una probabilità statistica. Sia chiaro, tuttavia, che il rifiuto di queste spiegazioni non comporta chiudere gli occhi gettandosi nelle braccia di una qualche Chiesa. Il tema della vocazione a un destino individuale non c’entra con il conflitto tra scienza senza fede e fede ascientifica. L’individualità rimane di diritto argomento della psicologia, di una psicologia memore del suo prefisso, la psiche, e della sua premessa, l’anima, cosicché la mente può sposare la propria fede al di fuori della Religione istituzionalizzata. La teoria della ghianda si muove agile in mezzo a due dogmi opposti che si guardano in cagnesco da secoli e che il pensiero occidentale si coccola come due cagnolini. °°° La teoria della ghianda dice (e ne porterò le prove) che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mondo con un’immagine che ci definisce. L’individualità risiede in una causa formale, per usare il vecchio linguaggio filosofico risalente ad Aristotele. Ovvero, nel linguaggio di Platone e di Plotino, ciascuno di noi incarna l’idea di se stesso. E questa forma, questa idea, questa immagine non tollerano eccessive divagazioni. La teoria, inoltre, attribuisce all’immagine innata un’intenzionalità angelica o demoniaca, come se fosse una scintilla di coscienza; non solo, afferma che l’immagine ha a cuore il nostro interesse perché ci ha scelti per il proprio. L’idea che il daimon abbia a cuore il nostro interesse è probabilmente l’aspetto della teoria più difficile da accettare. Che il cuore abbia le sue ragioni, d’accordo; e anche l’esistenza di un inconscio dotato di intenzionalità e l’idea che in quello che ci succede svolga una parte il destino: tutto questo è accettabile, quasi banale. Perché, allora, è così difficile immaginare che qualcuno o qualcosa tenga a me, si interessi a quello che faccio, magari mi protegga o addirittura mi mantenga in vita, indipendentemente, in una certa misura, dalla mia volontà e dalle mie azioni? Perché preferisco una polizza di assicurazione agli invisibili garanti dell’esistenza? Perché non ci vuole niente a morire. Un attimo di distrazione, e i 6 progetti più accurati di un io forte giacciono riversi sul marciapiedi. Quotidianamente qualcuno o qualcosa mi salva la vita, impedendomi di cadere per le scale, di inciampare mentre cammino, di ricevere una tegola in testa. Non vi sembra un miracolo andare a duecento all’ora in autostrada, la musicassetta al massimo volume, la testa da tutt’altra parte, e arrivare sani e salvi?