Rena

Rena Mirecka, nata il 27 febbraio 1934 in Francia,  ha lasciato questo mondo il 27 agosto 2022 a Wroclaw. Su e notizizie biografiche in questo link https://pl.wikipedia.org/wiki/Rena_MireckaRENA MIRECKA

UNA GRANDE MAESTRA DELL’ARTE DELL’ATTORE E DELL’ARTE DI ESSERE UMANO

Prima interprete femminile del Teatro Laboratorio  fondato da Jerzy Grotowski in Polonia

Contiene "La Via dell'Inizio" di Pier Pietro Brunelli

Contiene “La Via dell’Inizio” di Pier Pietro Brunelli

Il presente articolo introduce al libro LA SACRA CANOA. RENA MIRECKA – Dal Teatro Laboratorio di Jerzy Grotowski al Parateatro.
a cura di Pier Pietro Brunelli e Luisa Tinti – Bulzoni editore (2011)

Fotografie – Testi – Testimonianze – Biografia di RENA MIRECKA tra le più importanti attrici della ricerca teatrale del secondo ‘900. -Interventi di SALVI PIAZZA ed EWA BENESZ.

Il  libro è ricco di documenti e scritti di Rena Mirecka sulla sua straordinaria esperienza di attrice e di ‘argonauta’ del mondo interiore… vi sono poi scritti di studiosi ed esperti ed il saggio/narrativo di testimonianza  LA VIA
DELL’INIZIO di Pier Pietro Brunelli sulla sua prima esperienza di
lavoro con la maestra in Sardegna, a Pedrusiligu, sulle colline della
Nurra, presso l’attuale centro CAMPI ELISI, diretto dal Dott. Sandro
Selis,  http://www.bulzoni.it/

FARE ANIMA /OLTRE LO SPETTACOLO…

Testi critici e di ricerca  di Pier Pietro Brunelli

http://www.grotowski-institute.art.pl/index.php?option=com_content&task=view&id=834&Itemid=274&lang=en

vedi altre foto storiche in : www.stawinski.art.pl/englishver/eteatr.html

 

L’ attore e l’ esperienza d’ anima come energia vitale

L’ attore, come ha sempre esortato Stanislawskij, deve fare un “lavoro su se stesso”, deve cioè conoscere ed esplorare la sua interiorità ed osservare con una attenzione speciale le esperienze che la vita gli offre.
Del resto, secondo l’ insegnamento eracliteo e socratico (ma anche secondo la saggezza originaria di ogni tempo e di ogni luogo) per ogni essere umano, la conoscenza inizia con la conoscenza di se stesso; e per questo è necessaria l’ esperienza. Da un punto di vista strettamente scientifico, la ricerca basata sulla esperienza, non ha molto valore perché non può essere oggettiva, eppure per la vita di ogni persona, e in un modo particolare per l’ attore, è una questione fondamentale.

Rena Mirecka – maestra del Parateatro grotowskiano

Rena Mirecka – maestra del Parateatro grotowskiano

Vi è, dunque, nell’ Arte dell’ attore, una ricerca esperienziale che va ‘oltre lo spettacolo’, e che riguarda le energie fisiche, psichiche e spirituali della vita stessa…  In tal senso Jerzy Grotowski, il più importante innovatore dell’Arte dell’Attore del secondo ‘900 ha elaborato il concetto di “Cultura attiva” ed ha proposto il Parateatro. In tal senso Rena Mirecka, prima attrice del Teatr Laboratorium fondato in Polonia da Jerzy Grotowski ha elaborato il Parateatro, diventando la più importante maestra internazionale in questa pratica creativa e di conoscenza del Sè, e dell’Anima.

Per Anima intendo l’ ‘enegia vitale’ dell’ essere umano che integra la natura animale, quindi la sua fisicità corporea, la natura psichica, quindi le sue idee e processi mentali, e la natura spirituale, quindi il protendersi verso conoscenze ed esperienze di ordine metafisico e religioso.

Nella cultura occidentale il teatro è il luogo laico di recitazione e di rappresentazione delle ‘azioni d’anima’, tuttavia in esso vi è una ricerca di verità e di spontaneità che va oltre la recitazione e lo spettacolo, e che coinvolge effettivamente l’ anima dell’ attore e dello spettatore…
Il teatro delle origini è ‘topos’, luogo privilegiato di rappresentazione d’ anima anche nei miti narrati dai testi drammatici, ed è per questo motivo che vi è sempre stato uno speciale collegamento tra teatro e psicologia (che ha consentito, ad esempio, a Freud di trarre l’ ispirazione rispetto a concetti psicoanalitici fondamentali quali:’ l’ ‘Edipo’, la ‘catarsi’ o la ‘scena primaria’…).

Tuttavia la relazione tra ‘drama’ e ‘psiche’ è particolarmente profonda e sostanziale quando si coglie uno speciale collegamento, nel ‘soma’, cioè nella corporeità psichica dell’attore, che è in effetti il proprium del teatro. Così, è dal punto di vista ‘psicosomatico e somatopsichico’ , che l’ antropologia teatrale e gli studi di psichiatria transculturale hanno evidenziato il valore pedagogico e terapeutico delle arti rituali, e quindi della danza, della maschera e delle forme di narrazione e drammatizazione gestuale.

Jerzy Grotowski – fondatore del Teatro Laboratorium in Polonia

J. Grotowski ed E. Barba, sono stati i primi ad elaborare un training dell’ attore sulla base di ricerche orientate all’ antropologia teatrale. Essi, riprendendo gli studi dell’ antropologo M. Mauss, sul modo di usare, allenare e specializzare il corpo nelle società primitive, in quanto primo strumento di lavoro e di conoscenza, hanno parlato di “tecniche del corpo” ed in particolare di “tecniche extraquotidiane”, cioè tecniche psicofisiche con funzioni speciali, come quelle che adoperavano i maghi, i danzatori, i guerrieri . Queste ‘ tecniche del corpo’ sono in pari tempo ‘tecniche dell’ anima’, non solo perché sono ‘psicofisiche’, ma anche perché hanno il loro fondamento in una concezione magico-sacrale della vita, che inserisce in una ‘energetica cosmologica’, e quindi spirituale, le forze psicofisiche e le abilità del corpo.

Diciamo, dunque, che vi sono due modi, per intendere l’ Arte dell’ attore, quello di recitare, cioè di fingere di ‘fare una esperienza’, e quello di fare ‘veramente’ una esperienza, in tal senso egli con la sua energia vitale (fisica, mentale, spirituale) fa una ‘esperienza d’ anima’…
L’ attore con la sua energia vitale, fa (o dovrebbe fare) un lavoro di anima e quindi di Anima-azione. L’ attore e l’ animatore sono due figure artistiche diverse, ma hanno in comune l’ ‘animazione’ nel senso di agire con anima. Si ha una idea della parola Animazione come di qualcosa che qualcuno dovrebbe fare nelle feste, negli spettacoli televisivi o per il divertimento di amici, parenti e bambini. Magari tutto ciò è anche vero, ma non è tutto. Animazione, nel suo senso più profondo vuol dire “Azione d’anima”, essa è una azione che parte dall’ anima, la muove, la smuove. Certo è che le azioni vengono fatte dal corpo, ma da un corpo animato, cioè con un anima che si collega ad un senso e ad una sensibilità aperta all’ universo, all’ infinito, all’ eternità… ed è da ciò che nasce la speciale energia che l’ attore ricerca ardentemente.
Possiamo dire che l’ evoluzione dell’ Arte dell’ attore, è una via occidentale, para-artistica per patologizzare e “fare anima” (nel senso che Hillman intende) e dare all’ anima una creatività e un orientamento espressivo.
Tutte queste immagini e possibilità qui accennate evidenziano che l’ Io ha tante vie per ‘fare anima’, nel bene e senza sopraffare l’ anima, cioè consentendole di esprimere il suo linguaggio simbolico, quello proveniente dalle regioni più oscure come dalle più luminose…
Inoltre è importante ricordare che a partire dalla figura esemplare di Brecht, diverse tendenze del teatro contemporaneo hanno affermato (in modo non superficiale e speculativo) il desiderio di ‘ fare anima’ come possibilità di trasformazione in senso sociale e quindi come autentico impulso altruistico, di denuncia e di lotta.

L’ attore che ‘fa anima’

Nella Grecia antica il senso principale del teatro era quello di una celebrazione a cui partecipava tutta la comunità, e quindi non esisteva il concetto di spettacolo come forma di intrattenimento di un pubblico di spettatori (fenomeno che si sviluppa con la romanità, che si mimetizza nel medioevo, per poi esaltarsi con la modernità).
Oggi, “La Società dello spettacolo”, spietatamente profetizzata da G. Debord (1967), è un fenomeno capillarmente diffuso, in tutti i media, nella cronaca, nella moda, nei consumi, fino ai comportamenti individuali e agli stili di vita ‘recitati’.

Lo spettacolo come divisione tra attore e spettatore, è divenuto divisione dentro la persona, che vive in un ambiente comunicativo tecno-scientifico-commerciale, in cui è necessaria una frequente recitazione (anche con se stessi) più o meno consapevole.
Quando leggiamo Stanislawskij constatiamo che gran parte dei suoi testi parlano della vita, del disvelamento della vita, piuttosto che del palcoscenico come luogo di finzione; il teatro diviene un pre-testo per conoscere l’ essere umano e per agire nella vita. Questo modo di intendere il teatro lo ritroviamo anche in Brecht, in Artaud, e in altri maestri e gruppi del teatro contemporaneo fino ad una radicale precisazione nelle diverse ricerche di Grotowski.

Rena Mirecka, ph. Paola Torricelli

Rena Mirecka, ph. Paola Torricelli

La linea evolutiva del grande teatro contemporaneo e dell’ Arte dell’ attore sembra ricercare essenzialmente un punto d’unione tra le forze del corpo e quelle dell’ anima, affinché il teatro diventi un luogo di verità, e l’ attore possa esserne un messaggero.
Si tratta di una linea di evoluzione essenziale nel teatro contemporaneo che, in termini generali, viene espressa come ricerca della spontaneità e della improvvisazione. Ma è necessario soffermarsi su alcuni passaggi di questa evoluzione del teatro e, in particolare, dell’ Arte dell’ attore.

In un primo periodo il lavoro di Stanislawskij si sviluppa con il metodo prettamente psicologizzante della “reviviscenza”, cioè l’ attivazione del corpo a partire da impulsi provocati dalla rievocazione di esperienze della vita passata, che l’ attore fa rivivere in sé e che hanno una similitudine con le esperienze e le emozioni del personaggio da interpretare. In un secondo periodo Stanislawskij sviluppa il metodo delle “azioni fisiche”, quindi ricerca come rievocare una esperienza emotiva attraverso ‘azioni fisiche’, cioè a partire dalla corporeità, e non dal pensiero e dalla memoria.

 

 

 

R. Mirecka e R. Cieślak in “Il Principe Costante”, 1965

Grotowski ha parlato di “memoria del corpo”, ovvero di una possibilità di elaborare processi psicofisici che sono più profondi di quelli che si possono trarre dalla rievocazione di una esperienza cosciente, e quindi di “processo organico” (espresso con la più grande performance del secondo ‘900 “Il Principe Costante”) e di  “azioni fisiche” che si sviluppano nella rigorosa concentrazione su ciò che si fa, e quindi nel disvelamento di impulsi radicati nel profondo della personalità.
Comprendere ed esplorare un proprio gesto, secondo la ‘memoria del corpo’ può voler dire attivare le sorgenti inconsce di quel gesto, fino a scoprirne una forza espressiva ancestrale, tramandata dai genitori, o dagli antenati…

Questi accenni evidenziano che l’ attore è la figura artistica che maggiormente necessita di mettere in gioco se stesso per ‘fare esperienza’ di sé e comprendere l’ anima umana. Egli deve apprendere l’ arte di penetrare ed esprimere l’ anima dei ‘personaggi’: quelli di un testo drammatico, o quelli che vivono nella sua vita interiore, nei drammi e nelle commedie che formano la sua storia personale, in profondità, fino quasi alle sue sorgenti genetiche e della cultura a cui appartiene.

Con la ricerca di Jerzy Grotowski (e dei suoi principali attori del Teatr Laboratorium: Ryszard Cieslak e Rena Mirecka) è stata superata completamente la nozione di attore che interpreta un altro da sé. Sin dalla fase ‘teatrale’ della ricerca diretta da Grotowski, ciò che veniva elaborato ed espresso per mezzo del teatro, erano questioni personali profonde, che non avevano nulla a che vedere con il tentativo di ‘immedesimarsi’ in un personaggio . Il compito di far apparire un personaggio agli occhi del pubblico, riguardava il regista e non l’ attore, nel senso che attraverso una serie di espedienti scenici (scenografie essenziali, elementi narrativi e testuali, il montaggio, e l’ interazione tra gli attori) gli atti dell’ attore venivano letti come quelli del personaggio da lui interpretato, mentre in realtà, l’ attore, difeso da questo apparire, viveva una sua esperienza assolutamente personale, e la esprimeva secondo una elaborazione sviluppatasi nel corso di un lungo processo di lavoro su se stesso.

Da questa elaborazione ed espressione autentica e personale dell’ attore, la ricerca diretta da Grotowski ha sviluppato l’ esigenza di sperimentare nuove forme di relazione tra le persone sul piano umano e creativo, per superare radicalmente la separazione attore/spettatore e i limiti della ‘relazione teatrale’.
Del resto, già negli spettacoli del Teatr Laboratorium era evidente una apertura al ‘teatro della partecipazione’ (nel senso di una partecipazione dello spettatore che viene stimolato dall’ attore ad esprimersi) ma, con gli anni ’70, questa apertura assume una direzione decisamente post-teatrale : il “Parateatro”, il “Teatro delle Sorgenti”, e più recentemente l’ “Arte come veicolo”…
Questi ambiti di ricerca e di esperienza artistica e personale sono vissuti da gruppi di persone che lavorano insieme, quasi sempre con la guida di persone più esperte, e quindi non vi è più una dimensione di spettacolarità e di rappresentazione teatrale, ma una situazione esperenziale di presenza, generata da azioni e da processi effettivi e reali.

La ‘verità’ dell’ anima tra ricerca e tradizione

C.G. Jung padre della psicologia archetipica

Ecco allora che l’ Arte dell’ attore comincia a ‘fare anima’ quando giunge a rinunciare allo spettacolo, o comunque, quando prima del rappresentare, pone la ricerca di un essere presente autentico e vero, (si badi: la ricerca, e non sicuramente il ‘vero’). Ciò può avvenire quando, invece di pensare cosa sia giusto mostrare di sé agli altri, si cerca di mostare a se stessi qualcosa di sé, qualcosa che si deve cercare nel corpo-anima… attraverso ‘azioni d’anima’ vere e quindi non recitate…
La relatività di ciò che è ‘vero’ può essere oggettivata solo da ciò che è sacro. Vi è una interpretazione etimologica dal sanscrito che indica che il sacro è ciò che è vero, nel senso di una verità che è indiscutibilmente valida per tutti.
La via della ricerca, come via critica e non dogmatica per conoscere la verità, per mezzo della filosofia, dell’ arte o del teatro, è in contrasto con la via della tradizione e del sacro, poiché l’ insegnamento tradizionale e religioso contiene una nozione dogmatica di ciò che è vero ed è quindi sacro, mentre la ricerca presuppone una gnosi, ovvero una esperienza conoscitiva e non una fede…
Da questo punto di vista, come spiega N. Abbagnano si può comprendere la differenza tra la filosofia orientale e quella occidentale . La prima è essenzialmente religiosa, essa mira alla trasmissione dogmatica della ‘ verità’ per mezzo della tradizione, la seconda invece presume la ricerca, anche a costo di mettere in discussione la tradizione.
Oggi, siamo dinnanzi ad una comopoliticizzazione delle tradizioni, ad un tentativo di attraversamento e di incontro tra diverse culture, che può dare luogo allo sviluppo di una nuova dialettica tra ricerca e tradizione.

Questa ‘nuova dialettica’ è evidente nei diversi tentativi di incontro tra arte e rito, tra medicina e spiritualità, tra responsabilità della questione sociale e cura del sé. Ma una coincidenza pragmatica, di ricerca e tradizione è particolarmente esplicita nell’ Arte dell’ attore e del “Performer”.
Il Performer e l’ Attore che scelgono l’ ‘Arte di fare l’ anima, oltre lo spettacolo’, sono oggi i principali argonauti dell’ anima nella cultura occidentale, in quanto possono avventurarsi psicofisicamente e spiritualmente lungo le rotte di molteplici insegnamenti… si pensi all’ antropologia teatrale, all’ incontro tra tecniche, miti e figure che risalgono a migliaia di anni fa, nate in terre lontane.
Questa molteplicità non deve diventare un ‘pasticcio’ improvvisato, ma è possibile fare una ricerca di tipo personale ispirata ad una propria vocazione caratteriale, artistica e professionale per costruire percorsi e scoprire sentieri tra i diversi insegnamenti tradizionali. Tali alchimie dell’ anima che combinano la ricerca personale e le diverse tradizioni possono essere considerate la via attuale dell’ uomo occidentale per ‘fare anima’, in senso laico, cioè indipendentemente dalla scelta di una dottrina religiosa, e con una apertura verso le diverse forme di religiosità e di religione.
L’ uomo occidentale, ormai immerso nella cultura del progresso e della tecnologia, ha perso una tradizione originaria del ‘fare anima’, poiché essa, insieme ai miti, è stata rimossa sin dagli albori della ricerca filosofica e scientifica, ed è stata poi occultata dal cristianesimo sclerotizzatosi nei potentati gerarchici e burocratici.

“Nobo jagoron/ Il risveglio”
Abani Biswas e il gruppo indiano Milon Mela

La sola via occidentale che si è sviluppata per quanto concerne una possibilità viva e libera di “fare anima” è quella della ricerca artistica, ma l’ arte deve però poter ritrovare un suo senso originario, se non vuole essere ridotta solo a superficie spettacolare e mercato. Per questo motivo l’ arte occidentale potrebbe essere, almeno per alcuni, una forma di ricerca, di rielaborazione e di esperienza di messaggi che provengono da tradizioni divenute nomadi… (del resto l’ Arte del nostro secolo trae una sua grande ispirazione proprio dall’ Arte primitiva, sia dal suo spirito selvaggio ed animale, sia dalla sua dimensione magica e soprannaturale). Artaud è stato il primo uomo di teatro a capire che l’ Arte dell’ attore consisteva nel condensare nel corpo dell’ attore (e di riflesso anche in quello del pubblico che doveva essere contaminato e scioccato) esperienze di conoscenza reali, anche attraverso l’ ausilio di tecniche e di ispirazioni provenienti da rituali di ordine magico e religioso.

Così, la differenza tra l’ attore orientale (e in genere quello legato alla tradizione) e quello della ricerca contemporanea occidentale, è data dalla differenza tra ‘tradizione’ e ‘ricerca’, eppure entrambi sono coinvolti nel ‘fare anima’ (in quanto esperienza ed espressione psicofisica e spirituale che va oltre lo spettacolo). Così, l’ attore orientale ‘fa anima’ attraverso forme fisse e in un certo senso dogmatiche, che vengono incarnate rigorosamente dall’ attore, il quale è quasi un sacerdote che offre se stesso per tramandare la tradizione. L’ attore occidentale (o il Performer-attore), invece, ‘fa anima’ ricercando una sua ‘disciplina mista’, che gli dia possibilità di interpretazione personale di forme tramandate dalla tradizione (ispirandosi all’ antropologia teatrale), e anche elaborando processi formali che derivano dalla sua eperienza di vita (sulla base dell’ insegnamento dei maestri del teatro contemporaneo e delle sue proprie intuizioni).

In tal senso Grotowski ha giustamente indicato il teatro, e poi l’ evoluzione dell’ Arte dell’ attore in ambiti parateatrali e di cultura attiva, come discipline occidentali, che con rigore, ma senza dogmi che impediscono la libertà di ricerca e di espressione personale, possono accogliere, comprendere e ‘tradurre’ gli insegnamenti provenienti dalle diverse tradizioni.

Ispirazione, Amore e Anima

Rena Mirecka prima maestra internazionale del Parateatro

 

Etimologicamente ‘ispirazione’ vuol dire: ‘azione guidata dagli spiriti’, ed è solo l’ anima che può ricevere questa guida misteriosa, poiché solo ‘lei’ riesce a collegarsi con gli ignoti luoghi degli spiriti… Certamente, si tratta di una concezione primitiva della relazione anima-spiriti, eppure, nonostante le argomentazioni logiche e scientifiche l’ ispirazione mantiene un suo mistero, la cui rivelazione è per diversi aspetti vicina al suo senso etimologico.
Anche lo scienziato, il logico, il matematico sa che nella ‘ispirazione’ vi è un insight, un eureka, che è un fenomeno psicologicamente irrazionale, spiegato variamente dagli psicologi cognitivisti, che è magico ed irriproducibile in tutta la sua potenza, anche dal computer più potente…

In ogni caso non intendo sostenere che l’ attore, come altre ‘figure artistiche e inventive’, non dispongano di metodi o tecniche per creare, queste ci sono e vanno semmai perfezionate con la ricerca e la pratica, ciò che invece non c’è, quando ‘non c’è’ è l’ ispirazione, poiché essa non può essere insegnata ed è solo nel desiderio dell’ anima, essa è ededoto ‘data dagli dei’, come diceva Omero, o a certi livelli è possessione e invasamento come sostiene Platone nel Fedro,nel Timeo, o nello Ione (nel quale si rivolgei specificatamente all’ attore).

 

 

 

Ewa Benesz, Parateatro

Ewa Benesz, Parateatro

Si fa una esperienza ispirata quando si avverte la presenza di un mondo simbolico, cioè di una integrazione tra forze terrene e forze spirituali in una unica energia vitale. L’ innamorato ad esempio fa una grande esperienza spontanea di questa energia vitale, egli avverte la sua anima e quella dell’ amante, come una ispirazione che collega i suoi sensi fisici ad una percezione sottile, e in un certo senso non sensoriale. I sensi fisici dell’ innamorato si acutizzano, attraverso l’ ispirazione di ‘Eros’, e si protendono in una sensazione che potremmo definire ‘metafisica’. Per questo motivo per l’ innamorato è molto importante tutto ciò che è simbolico, un anello, un fiore, un paesaggio, e in certi momenti tutto diviene simbolico. Questa esperienza, come tutte le esperienze di anima ‘ispirate’, non può essere spiegata o insegnata, ma solo vissuta, così che è molto difficile far capire a qualcuno che non è mai stato innamorato cosa ciò significhi veramente.
Dunque, l’ innamoramento è una esperienza ispirata che avviene spontaneamente, senza l’ uso di una particolare tecnica o della volontà. Per questo motivo Platone vedeva nella ‘follia di Eros’ un invasamento ispirato direttamente dalle forze divine, e quindi considerava l’ innamorarsi come la più grande esperienza diretta di conoscenza. Una sensazione di eternità, di infinito, travolge la passione dell’ innamorato, una consapevolezza dell’ anima che ha ispirato poeti e saggi di ogni tempo. Ma l’ innamorato non è il ricercatore o l’ artista, egli cade nell’ esperienza (to fall in love), e spesso ne diventa preda. Così, l’ innamorato è spontaneo, è ispirato, ma non è libero. Il ricercatore, l’ attore o lo studioso di psicologia, o comunque ogni persona che vuole ottenere una evoluzione della conoscenza per mezzo di una espansione del suo stato di coscienza, cerca come determinare con disciplina le condizioni per ricevere l’ ispirazione senza esserne vittima, senza attaccamento, preservando la sua libertà… Una esperienza di ‘sapienza’ dell’ anima, si ha quando si avverte il tocco dell’ indefinibile, del non sensoriale, dello stupore o della meraviglia, quando l’ anima è messa nella condizione di potersi prolungare negli spazi dell’ incantesimo e dell’ ispirazione…
Là dove l’ innamorato resta sospeso in cielo, indisciplinato e in balia dei venti, il sapiente (o comunque il discente cosciente e perspicace) conosce o si sa orientare su come e dove volare, e soprattutto riesce ad essere grounded, cioè con i piedi per terra anche quando è al settimo cielo… Naturalmente l’ ideale sarebbe essere ‘innamorati e sapienti’ (come si evince dai discorsi di Socrate nel Convito).

C’ è un tentativo dell’ essere umano di conoscere e di esperire il protendersi dell’ anima verso l’ ispirazione senza che essa sia pervasa dal pathos, dalle passioni, dalla patologia. Quando le passioni, l’attaccamento, i desideri, cedono, si acquietano, (e ciò per mezzo di pratiche, di tecniche e di insegnamenti) allora si può avere una esperienza di pace, di totalità, allora è anche possibile l’ ispirazione della gioia…

La gioia è una emozione calma, piena e armoniosa che sorge da uno speciale luogo dell’ anima: quella regione della psiche che Jung chiamava il Sé. E’ una regione che trascende il conscio e l’ inconscio, che, come spiega Jung è quasi impossibile rappresentare e metaforizzare . Ma io vorrei immaginare il Sé come il ‘punto d’unione’ dell’ anima individuale con l’ Anima Mundi, con la ‘psiche collettiva’.

Ewa Bensz – Maestra di Parateatro

L’ attore, può elaborare efficacemente un suo training, quando ricerca come esperire il suo “processo di individuazione”, il ‘suo Centro’, dimenticando di essere attore, per poter veramente incontrare ‘ l’ essere umano’ quale egli è e può essere… Questo è a mio avviso il cuore del lavoro di Rena Mirecka e dei suoi ‘insegnamenti d’ anima’, e così anche della sua principale collaboratrice,  Ewa Benesz,  la quale ormai già da diverso tempo ha intrapreso una sua propria via nella ricerca parateatrale.

Da sempre i ‘professionisti’ e i maestri dell’ anima sono il mago, lo sciamano, il religioso, il filosofo, lo psicologo, e in un certo modo anche il guerriero, che deve trarre dalla sua anima il coraggio. Ma anche i ‘maestri di performance’ sono maestri d’ anima se concepiamo la Performance come un atto che va ‘oltre lo spettacolo’, come una possibilità di crescita personale e di esperienza umana autentica.

Il  ‘fare anima’ da parte dell’ attore  tiene avvinta e viva la sua e e le altre anime ai corpi, come la fiamma alla materia infiammbile. Il rischio è che ciò non sia vero e che avvenga solo nella finzione. Ma il rischio ancora più grande è che la finzione sia inconsapevole, cioè che l’ anima dell’ attore sia affetta effettivamente da un eccesso di quell’ archetipo che Jung ha denominato “Persona”, ovvero nel significato latino “Maschera”. L’ archetipo della ‘Persona’ è quella parte della personalità individuale che fa da facciata, che protegge e presenta più o meno strategicamente l’ Io, ma che può anche risucchiare tutta l’ anima dentro maschere fatali, fino ad edulcorare ed annientare ogni autenticità (narcisismo patologico ed altre negatività).  Così, Winnicot aveva notato che in molti attori vi è un forte sviluppo del “falso sé” con conseguenze patologiche o comunque infelici.
Si deve poi aggiungere che l’ attore, attraverso tecniche di autosuggestione sapientemente apprese può simulare l’ anima, dando così una certa soddisfazione allo spettatore ingenuo (o anche ai partecipanti di un incontro di carattere parateatrale) e togliendo a se stesso ogni possibilità di vivere una esperienza autentica.
‘Fare anima’ per l’ attore non deve consistere nel tentativo di tuffarsi in ondate di mieloso sentimentalismo, nel battersi il pugno sul petto come il bigotto o il questuante, o nel commiserare se stesso e il mondo fino a provocare la lacrima che pur essendo fisicamente vera non ha alcuna verità di anima. Era probabilmente anche per queste forzature autoillusionistiche dell’ anima che Nietzsche detestava il temperamento istrionico esaltato da Wagner (anche se leggendo Wagner si intuisce che al di là della magniloquenza dell’ apoteosi operistica, genere che richiede appunto una forte spinta istrionica, vi è il tentativo autentico di far ‘vivere’ l’ anima).

Ma su questo punto Grotowski è stato molto chiaro, ed in particolare in suo testo intitolato “L’ azione è letterale”. Qui viene spiegato che ciò che conta (per l’ attore come del resto per chiunque) è fare semplicemente ciò che c’è da fare, nel senso di essere concentrati nell'”azione fisica”.  Ciò non toglie che questa fisicità trasmetta una vibrazione energetica ‘trascendente’ che quindi apre l’anima nel suo mondo simbolico e immaginale (Hillman).  Soprattutto si deve però sapere cosa non è da fare, e diciamo che la cosa principale da non fare è atteggiarsi. Quindi, a cominciare dal training, o durante una esperienza parateatrale, la prima necessità dell’ attore dovrebbe essere quella di comportarsi senza immedesimazioni ideologiche e sentimentali, senza assumere la maschera pseudomilitare del tutto d’ un pezzo e neppure quella del buon diavolo-pezzo di pane, o altre maschere ancora… La ricerca è innazitutto quella di rinunciare ad ogni maschera per essere se stesso e a ciò si può arrivare con molta pazienza, senza accelerare i tempi, ed evitando ogni forma di autosuggestione mentale che provoca direttamente una condizione di recitazione piuttosto che di azione.
Questo modo di ricercare una presenza passiva e ricettiva affinché l’ azione sia effettivamente spontanea, viene considerato come una applicazione di Grotowski della filosofia e edella pratica taoista della non azione…

Imparare e praticare  le “Azioni d’Anima”

James Hillman: “Fare Anima”

Vorrei, inoltre dire ancora una cosa agli allievi, i quali sono miei colleghi, poichè dal punto di vista della pratica sono anch’ io un allievo…
Molta gente fa seminari, partecipa a stage e incontri creativi con l’ idea di fare esperienza, magari sotto la direzione di importanti maestri, e crede di poter ‘prendere’ qualcosa da queste esperienze (subito messe in curriculum vitae) solo perché si è pagato e partecipato ordinatamente.
Ma le cose non stanno così, infatti ci sono persone che, dopo aver fatto centinaia di esperienze, credono di aver ap-preso qualcosa, e non si rendono conto che hanno solo acquisito qualche nozione e probabilmente anche un po’ di confusione.
Il punto è che quando si va per prendere bisogna innanzitutto dare, poiché la prima cosa che è necessario ricevere è l’ esperienza di essere riusciti a dare qualcosa. Solo così si può avere qualcosa, quando si cambia qualcosa di se stessi, perché si è scambiato con accondiscendenza ed amore, e non con interesse.

Ciò che viene dato è ciò che viene sacrificato all’ esperienza: gli interessi, gli attaccamenti, le convinzioni, le posizioni di forza dell’ Io, che si accinge a dominare l’ esperienza ancor prima di compierla. Tutte le pratiche rituali per determinare le condizioni di espansione della coscienza (ad esempio le pratiche di iniziazione delle diverse culture d’ origine) si basano su una preparazione e una dedizione che ha come presupposto il sacrificio del proprio Io, in uno sforzo fisico e psichico e in una rinuncia della soddisfazione del desiderio.
Tutto ciò comporta sacrificio, e quindi anche lotta, coraggio, pazienza, determinazione, accettazione. Qualità dell’ anima che sono fondamentali per il ‘guerriero’… allora ecco che se si impara a dare con queste qualità, l’ esperienza .di ap-prendere, per molti aspetti è quasi già avvenuta…

Pier Pietro Brunelli – Azione d’anima

Perciò l’ artista, l’ attore, l’ animatore, l’ operatore culturale possono lavorare ‘oltre i segni dello spettacolo’ per ricreare la possibilità di esperire la vita anche sul piano del simbolico, e quindi per ‘fare anima’… Nello stesso tempo questo ‘fare anima, oltre lo spettacolo’, può diventare una modalità importante per intervenire nella scuola, nella formazione, nelle realtà del disagio, nel recupero delle tradizioni ed anche nella terapia. Inoltre, la prospettiva del ‘fare anima, oltre lo spettacolo’ si apre alla questione dell’ autopedagogia dell’ adulto, alla necessità di favorire lo sviluppo di una coscienza individuale e sociale orientata alla convivialità, la solidarietà, e il rispetto della natura e dell’ ambiente.

Ognuno di questi ambiti di ricerca ha un suo significato e scopo preciso, tuttavia si tratta di percorsi che hanno in comune il definitivo superamento dello spettacolo in quanto divisione tra attore e spettatore, per determinare forme di esperienza e di “Cultura attiva” (anche questa espressione e di Grotowski) capaci di stimolare una più profonda dell’ essere umano, in senso personale e interumano.

Viviamo in un epoca in cui l’ anima viene messa all’ ultimo posto, e con essa anche l’ essere umano e la natura sono all’ ultimo posto, dato che prima di ogni ‘scambio simbolico’ viene il denaro, la tecnica, la produzione… Eppure un desiderio di rinascita si ode nell’ Anima Mundi, un fremito nuovo di risveglio interiore, che vuole oltrepassare le esili certezze della scienza esatta e le false promesse di un progresso che è troppo spesso complice di devastazioni, guerre e brutture d’ ogni genere. Solo l’ anima, in quanto pienezza delle energie vitali, può oggi sognare e realizzare un futuro veramente umano, sebbene essa soffra perché vede bene come stanno le cose e sa che l’ esito è drammaticamente incerto… eppure, nei luoghi della pace, che sempre ricerca il cuore dell’Attore/ Guerriero di pace, l’ anima ha già trovato coraggio, ed ha iniziato a cantare e a fare per creare nuovi sentieri di vita…

Da queste esperienze e da queste concezioni, tratte da maestri teorici e concreti, ho derivato importanti insegnamenti che cerco di applicare nella mia attività di psicoterapeuta, incoraggiando  ciascuno, senza essere eroe, senza essere speciale o avere particolari competenze tecniche attoriali, a provare e ad imparare a fare “Azioni d’Anima” per sentire che, nonostante la sofferenza e le avversità, la vita merita sempre di essere vissuta nel bene e nell’amore. In tal modo cerco di fare il mio lavoro ‘con anima e corpo’ tenendo sempre presente che la parola psicoterapia, nel suo senso etimologico (come ha ben sottolineato Hillman) vuol dire “servire l’anima”.

Per informazioni e approfondimenti
sulle attività parateatrali e l’espressività psicocorporea vedi www.albedo-psicoteatro.com

Per consultazioni psicoterapeutiche coordinate con ricerche artistiche e parateatrali:
E-mail: Pietro.Brunelli@fastwebnet.it

Un video di ricerca parateatrale condotta da Pier Pietro Brunelli

httpv://www.youtube.com/watch?v=0EexUI5vY5g&list=UUOKA9oVLnWDo9eQ2SWHOIIw

Il “Teatro Interiore” abbraccia una grande area di fenomeni e di ricerche artistiche, formative, psicoterapeutiche, esistenziali: Parateatro, Antropologia Teatrale, Psicodramma, Immaginazione Attiva… Principale ispirazione del libro nasce da un’analisi della straordinaria ricerca di Jerzy Grotowski – ‘Padre’ rigeneratore, della concenzione e della pratica teatrale novecentesca. La riflessione si sviluppa nel senso di una psicologia archetipica che coniuga la corporeità alla psiche, secondo il pensierio di Carl Gustav Jung – ‘Padre’ rigeneratore di un’interpretazione spirituale della psiche umana. Questa raccolta di saggi di ‘Psiche-Teatro’ viene pubblicata contestualmente all’opera La Sacra Canoa. Rena Mirecka, (a cura di Pier Pietro Brunelli e Luisa Tinti – Roma, Bulzoni, 2011). Rena Mirecka, prima attrice del Teatr Laboratorium fondato da Jerzy Grotowski, è la ‘Madre’ della ricerca parateatrale per l’investigazione della coniunctio tra Anima e Corpo.

 

Il libro è disponibile in copertina rigida (spedito in pochi giorni) o in download
http://www.lulu.com/

httpv://www.youtube.com/watch?v=Wj0DeEZ96lY

KARAWANASUN LABORATORIO

Programma  – Libro – Incontri – Laboratori

Pier Pietro Brunelli - in Dragon fly/Libellula active imagination

Pier Pietro Brunelli – in Dragon fly/Libellula active imagination