Concetto di mania in senso psichiatrico, ma non solo!

di Pier Pietro Brunelli (tratto dal libro La società del tempo libero a cura di P.P. Brunelli e M. Ferraresi, – con un saggio di U.Eco – Arcipelago edizioni, Milano, 2005)

In termini psichiatrici la mania è un disturbo dell’umore che, con diversi gradi di intensità e con diverse sintomatologie, indica uno stato eccitatorio psicotico, o ‘quasi-psicotico’, nel senso che in fase acuta comporta un grado più o meno intenso di alterazione della personalità e dello stato di coscienza.
In un articolo di R. Vincenti, pubblicato recentemente nella rivista medica “Diagnosi & salute”, si offre una sintesi efficace del quadro sintomatologico che caratterizza il comportamento maniacale:

[…] la parola “mania” sta ad indicare un disturbo del tono dell’umore, che è caratterizzato da quello che, nel parlare comune, si definisce “essere sopra le righe”, e cioè:

  • uno stato d’animo di eccessiva euforia, buon umore, allegria
  • una esagerata fiducia in se stessi, senza limiti e senza critiche al proprio operato
  • progettare continuamente cose da fare nel futuro, e perdere il contatto con la realtà presente
  • non stare mai fermi, parlare sempre, non badare a cosa ne pensano gli altri
  • essere disinibiti, certe volte sfrontati o addirittura irritanti
  • avere tutta una serie di pensieri, che si affacciano alla mente, passano, e poi si perdono, sostituiti da sempre nuovi pensieri e progetti
  • provare una gioia di vivere istintiva e certe volte selvaggia
  • sentirsi pervasi dalle energie sessuali e cercare di avere una vita sessuale molto intensa
  • essere incapaci, talvolta, di portare avanti un discorso complesso, ed essere continuamente distratti da quello che avviene nell’ambiente
  • fare continuamente associazioni mentali e saltare da un pensiero all’altro
  • sentirsi continuamente spiritoso e vitale, ma, nello stesso tempo, confuso e, certe volte, disperato

In termini psicologici, quindi, si dice che una persona in stato di euforia, sta attraversando una “crisi maniacale”; se la crisi non è molto forte si indica come “stato ipomaniacale”; mentre, in termini comuni, chi ha una passione troppo forte per qualcosa viene chiamato “maniaco”(Vincenti, 2004).

In genere, lo stato maniacale di esaltazione e di iperattività del soggetto, si alterna ad uno stato di depressione (ciclotimia) . La sindrome maniaco-depressiva è una forma psicopatologica cosiddetta ‘bipolare’, che può presentarsi in forme più o meno gravi. Si tratta di un disturbo che si manifesta con l’oscillazione di stati umorali depressi e stati di esaltazione, spesso senza che vi siano motivi contingenti ragionevolmente causali, e con cicli di alternanza che possono variare da alcuni giorni a diverse settimane.

Se si parla di disturbo maniacale in riferimento ad uno stato di psicosi acuta si intende la perdita del principio di realtà, con irrequietezza generale e manifestazione di comportamenti e pensieri riferiti a fantasie abnormi e allucinazioni. La mania di grandezza ad esempio, consiste nel credere di essere un‘autorità superiore, o un personaggio celebre. Anche la mania di persecuzione ha in fondo una base megalomane, in quanto il sentirsi perseguitati da potenti entità implica nel perseguitato la fantasia di essere molto importante. Il cosiddetto maniaco sessuale è una persona che, in modo più o meno assillante, è colto da fantasie erotiche morbose, e che può giungere alla messa in atto di comportamenti violenti e aberranti al fine di soddisfare tali fantasie. Il ‘raptus erotico’ offre una immagine parossistica della ‘mania’ in quanto fenomeno energetico che si impadronisce della volontà del soggetto, spingendolo ad agiti provocatorii e violenti.

Nella mania ‘psicotica’, dunque vi è una perdita di controllo più o meno grave della capacità volitiva, questa vuole ciò che la mania ‘vuole’, e in tal senso il soggetto collude con la mania, quindi accetta coscientemente di essere da essa posseduta. Tuttavia manifestazioni parossistiche si evidenziano solo in fasi gravi ed acute della malattia. Molto più spesso il delirio maniacale non comporta una perdita delle capacità intellettuali ed emotive. Ciò è inquietante proprio perché il ‘maniaco’ appare lucido e sicuro delle sue idee, il che rende ancora più evidente quanto sia subdola la capacità della mania di impossessarsi della coscienza, lasciandone inalterate le principali aree di funzionamento. Lo psicanalista post-junghiano J. Hillman, fa notare che la mania, considerata come una forma di delirio paranoideo, è un disturbo che attiene all’area dell’attribuzione di significato (Hillman: 1985:15-19) Tale attribuzione, potrebbe derivare da una ‘teosi’ , cioè da una credenza su base psicotica di tipo magico-sacrale, che si traduce in una forma di possessione maniacale.

Vito Giarrizzo, Nella testa

Hillman adopera la metafora “picchi e valli”, dalla quale si evince l’andamento ciclico dell’umore, che si protende verso alte dimensioni spirituali, per poi discendere verso le valli dell’anima/psiche, intesa come la terra di mezzo tra ciò che è umano e ciò che è mitico e spirituale. (cfr. Hillman, 1976). In tal senso la mania può essere intesa come l’irruzione dello spirito nell’anima, che viene elevata in una dimensione psichica irrealistica, di distacco terreno.
Nel seguente passo, Vincenti indica un possibile senso originario della parola mania che ben introduce una concezione platonica, junghiana e post-junghiana, della mania. Dice Vincenti:

Secondo una certa interpretazione, la parola “mania”, potrebbe derivare dalla parola “mana”. Per gli indigeni della Polinesia, “mana”, rappresenta la inarrestabile energia vitale, che proviene dagli Dei, e che è presente in una certa misura, negli uomini, negli animali, nelle piante e nei fenomeni della natura. Secondo questa interpretazione, se una persona presenta un comportamento maniacale, questo avviene perché in quel momento l’uomo è posseduto dagli Dei, è “invasato” come si soleva dire una volta, ed è quindi in preda ai mana (idem).

Quindi sono sinonimi di mania anche espressioni come ‘possessione’ e ‘invasamento’, che sono adoperate nella terminologia platonica e che meglio si adattano ad una visione junghiana della mania. Jung considera l’idea di mana, delle antiche popolazioni della Melanesia, come la più antica elaborazione del concetto di energia. Il mana è ciò che è impressionante, sovraordinario, potente e che quindi agisce nella dimensione animica dell’ambiente e degli esseri umani (Jung, 1947-1954:250).
La parola invasamento esprime proprio l’immagine di un vaso che viene riempito di mana, vale a dire che la volontà personale (il vaso) acquisisce contenuto, qualità, azione, grazie ad una energia esterna che vi viene versata da alterità mitico-spirituali. Possessione e invasamento, in quanto antiche terminologie afferenti alla mania, presuppongono una spiegazione mitico-spirituale, secondo la quale la mania è l’espressione di entità superiori e iperurane, che invadono la persona imprimendole la loro volontà, la quale si traduce in desideri e comportamenti che comportano una esaltazione delle potenzialità umane. In termini scientifici, le alterità portatrici di mana, possono essere riferite agli archetipi dell’inconscio collettivo, con i quali vengono ad identificarsi aree complessuali della psiche individuale.
In tal senso il maniaco è come posseduto o invasato da un demone, così come si pensava nella tradizione filosofica greca e più in generale nelle diverse tradizioni d’origine, elaborate dal discorso di Platone nel Fedro sulle quattro principali forme di mania, tra le quali la più potente è quella recata dal dio Eros. ( Innamoramento: mania di Eros; Profetica: mania di Apollo; Entusiastica: mania di Dioniso; Artistica: mania delle muse).

In termini psichiatrici la relazione tra mania e tempo è molto importante nella comprensione dei fenomeni maniacali, e ciò evidenzierebbe una loro particolare cogenza con i modi di pensare e di vivere il tempo libero. La percezione e la deformazione del tempo nello stato maniacale viene indagata in modo specifico dallo psichiatra fenomenologo L. Binswanger. Il principale riferimento va ad una sua opera che è ormai considerata ‘classica’: Melanconia e mania, pubblicata nel 1960.
Apte at simpliceter ricordiamo che, secondo Binswanger, mentre la melanconia (forma depressiva che si lega in modo particolare alla perdita del passato in quanto ‘Paradiso perduto’) si manifesta attraverso una rimuginazione autoaccusatoria e infelice, sempre rivolta al passato o al futuro, la mania si manifesta come esaltazione del presente, euforica, precipitosa, caratterizzata da ipercinetismo mentale e “fuga delle idee”, tipicamente incapace di relazionarsi con il flusso temporale. Dice Binswanger:

Mentre dunque il melanconico vive, per dirla in termini comuni, in un passato o in un futuro intenzionalmente turbato, per cui non perviene ad alcun presente, il maniaco vive solo “per il momento” (1960:111).

Dunque il tempo libero sembra essere anche il ‘tempo di eccellenza’ per il manifestarsi della mania. Infatti nel tempo libero vi sono diversi atteggiamenti e rituali volti all’esaltazione del presente. Si pensi all’esortazione del ‘carpe diem’, a cogliere ogni sorta di piaceri immediati, alla gaudente etica della deresponsabilizzazione rispetto agli impegni e alle ansie del passato e del futuro. La frequente evocazione di un futuro ricco ed esaltato è una modalità per enfatizzare l’importanza del presente, di trovarsi nella giusta tabella di marcia. Dunque il presente, non è vissuto nella sua pienezza, con obiettività e senso critico, ma come una esasperata percezione della attualità, funzionale a rassicurare le proprie capacità di dominio, e l’esaltazione della propria condizione umorale.
Tuttavia è pur vero che la maniacalità può essere espressa anche nel tempo del lavoro. In tal senso si lavora con un senso di grandiosità, ci si pone obiettivi iperprestigiosi e a volte si riescono anche a raggiungere; ma tutto ciò a discapito di energie psichiche che dovrebbero essere impiegate per stabilizzare la psiche, renderla più equilibrata rispetto al pino di realtà. Così, in ogni caso, la maniacalità sia espressa come forma liberatoria di hobby, di passione, di stravaganza e sia quando viene incanalata in ambito lavorativo e professionale comporta un’inevitabile caduta energetica, quindi uno scompenso depressivo.
Le diverse tempistiche e modalità di alternarsi e di rappresentarsi di fasi maniacali e fasi depressiva da luogo a differenti strutture e tipologie di disturbo bipolare (bipolare 1 per le forme più gravi, bipolare 2 per le forme moderate e prossimamente, il nuovo DSM – Diagnostic Statistical Manual of Mental Disorder – cioè il V in corso di realizzazione – parla di bipolare 3 per quelle forme leggere e meno evidenti, ma più costanti e croniche in quanto specificamente radicate nella struttura caratteriale del soggetto).

Il maniaco tende quindi a liberarsi dalla temporalità e quindi dalla sua ‘storia interiore’, che dovrebbe sancire la continuità e lo sviluppo delle sue azioni. Da qui il suo continuo iniziare attività e poi abbandonarle, il suo distrarsi attraverso continui impegni e attività che si esauriscono non appena mettono in gioco una progettualità necessariamente temporale. Tutto vale al momento, e quindi vi è un difetto di appresentazione , cioè di presentificare quelle componenti spaziali e temporali che, pur essendo assenti, danno effettivo senso ad ogni esperienza. Da ciò deriva che il maniaco percepisce il tempo come più corto e lo spazio come più piccolo. Questa riduzione maniacale, consente di provare un sentimento di grandezza, poiché lo spazio-tempo ridotto ad un presente ‘acritico e parziale’ e all’esaltazione di un qualche particolare oggetto di attenzione, dà la sensazione euforica di poter padroneggiare ogni cosa. Ma il prezzo che contemporaneamente viene pagato è quello di sentirsi divorato, schiacciato, circondato dalle ‘angustie maniacali’ del tempo e dello spazio. Paradossalmente tutto viene ridotto come conseguenza della propria supposta grandezza. Il maniaco dunque fugge da se stesso, fugge anche dal presente, ma alla ricerca di un ‘altro’ presente capace di ripristinare il tono umorale maniacale. Ciò spinge a fuggire dalla temporalità e dallo spazio complessivo dell’esistenza che non riesce a collocarsi in una dimensione spazio-tempo realmente soddisfacente. Viene allora esasperato l’isolamento di ciò che si considera interessante, elevandolo sotto la teca di una estenuante e apparentemente pregevole attualità. Laddove vi siano particolari doti intellettuali e una cultura elevata, il fenomeno della “fuga delle idee”, può passare per una notevole capacità discorsiva, la quale però finisce poi con il risultare tortuosa e quasi incomprensibile. Ma anche a livelli culturali non elevati, la iperdiscorsività maniacale consente di presentificare l’essere in comunicazione con se stesso e con gli altri, e quindi al fine di sfuggire alle temute tonalità depressive, che potrebbero derivare da un ponderato confronto con il fluire del tempo e con uno spazio contestuale oggettivamente più ampoia. La mania, paradossalmente, nella sua tensione magnificatrice finisce con il limitare e impoverire lo spazio-tempo, invece di riuscire effettivamente ad ampliarlo e a valorizzarlo.

Manie ‘archetipiche’, possessione e ispirazione.

Se l’oggetto maniacale ha la capacità di far deviare i desideri pulsionali e persino di delimitarli, esso deve avere una sua propria ‘carica energetica intinseca’, che può attivarsi quando entra in una certa relazione con il soggetto. Per adesso diciamo che tale relazione implica la capacità di un oggetto personizzato di possedere il soggetto, in tal modo l’oggetto diviene un ‘soggetto interno possidente’ che attiva componenti psichiche del ‘soggetto posseduto’. Va tenuta presente la differenza tra possessione e ispirazione. Nel primo caso intendiamo un atteggiamento incline al fanatismo e comunque di eccessiva dipendenza dal ‘desiderio manicale’, nel secondo caso invece si può parlare di ‘spirito ludico-maniacale, e quindi di una mania non patologica e per certi aspetti fausta.
La parola ‘ispirazione’, etimologicamente vuol dire essere visitati da uno spirito. Dice Jung: “[…] gli spiriti, veduti sotto il profilo psicologico sono complessi autonomi” (1920, 131).
La mania, così come viene intesa nel pensiero platonico in quanto invasamento (poiché riempie il ‘vaso della coscienza) e ispirazione, può essere ben indagata dal punto di vista della psicologia junghiana ed in particolare rispetto al concetto di “complesso autonomo”.
In termini ‘psico-mitologici’ la mania è considerabile come una ‘forza transpersonale inconscia di origine divina’, nel senso che essa, seppure assume caratteristiche umane e individuali, sviluppa disposizioni ad essere e ad agire potenzialmente presenti in tutti gli individui, ed è quindi un fenomeno che ha le sue radici nelle componenti archetipiche dell’inconscio collettivo.
A seconda della cultura di una società e del periodo storico si diffondono determinate espressioni delle manie, ma la loro forza psico-energetica inconscia è di carattere archetipico, cioè è fondata su disposizioni primordiali che caratterizzano a livello universale la storia evolutiva della psiche umana. La più arcaica concezione dell’energia, come forza capace di imprimere caratteri sovraordinari alle persone e alle cose è il mana delle antiche popolazioni melanesiane. Jung fa riferimento al mana per esemplificare in termini psico-antropologici il fenomeno energetico di cui sono portatori gli archetipi (1947-1954: 250).
Gli archetipi non sono ‘immagini o rappresentazioni’, ma modalità del pensare e del sentire che determinano la condizione ‘psico-energetica’ della collettività, e degli individui che ritagliano da questa una loro soggettiva interpretazione. Questo fenomeno ‘psico-energetico’ è stato rappresentato nelle diverse culture d’origine con particolari immagini e rappresentazioni ‘archetipiche’: simboli, miti, leggende, religioni. Queste ‘grandi narrazioni archetipiche’ pur essendo molto differenti nelle diverse culture presentano una comune radice archetipica.
La psiche collettiva si compone di archetipi, cioè di disposizioni innate, suscettibili di infinite varianti, che fondamentalmente presiedono ai modi di affrontare i grandi eventi esperienziali della vita umana individuale e collettiva (nascita, amore, odio solitudine, guerra, morte, ecc.), e della relazione con l’ambiente (stagioni, territorio, piante, animali, corpi celesti, ecc). Quando entriamo in uno stato emotivo particolarmente significativo, e quindi esperiamo soggettivamente i modi di essere e di percepire la relazione con noi stessi e con gli altri, è come se fossimo gli interpreti soggettivi di una certa combinazione archetipica, che ha una sua genesi e una sua attualità collettiva, ma che nell’individuo si configura come un “complesso a tonalità affettiva” (Jung, 1934).
In altri termini è come se le nostre esperienze individuali più marcate dagli affetti, pur nella loro soggettività derivano da copioni generali inscritti negli archetipi della ‘psiche oggettiva’ (inconscio collettivo). Jung evidenziò attraverso metafore narrative e immagini di ispirazione mitologica le principali componenti archetipiche dell’ inconscio collettivo: il Sé, l’ Anima/Animus, la Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Puer, la Persona, l’ Ombra. Il soggettivo aggregarsi di queste componenti archetipiche collettive nell’inconscio individuale dà luogo a diversi tipi di complesso: materno, paterno, attivo, passivo, ed anche apollineo, dionisiaco, spirituale, eroico, ecc. (vedi Pieri, 1998).
In effetti, l’idea platonica di mania viene espressa attraverso narrazioni di carattere mitico, le quali possono essere lette come rappresentazioni di formanti archetipici dell’inconscio collettivo e che ‘invasano’ la psiche individuale conscia e inconscia, manifestandosi con diverse modalità complessuali, a seconda della situazione storico sociale e del carattere del soggetto.
Dice Jung: “Oggi sappiamo tutti che ‘abbiamo dei complessi’. Che invece i complessi abbiano noi è cosa meno nota, ma dal punto di vista teorico ancora più importante” (1934a:112).
Nella mania il soggetto non sembra spinto da un suo proprio desiderio a conquistare l’oggetto, è come se il desiderio appartenesse ad una entità (demone) che pervade il soggetto. Questa idea di possessione viene largamente impiegata da J. Hillman nella sua “Psicologia archetipica”, che costituisce una importante linea evolutiva della psicologia junghiana. Hillman osserva come la ‘possessione’ possa dare una inclinazione al carattere del soggetto indipendentemente dalla eredità genitoriale. Viene quindi rielaborata l’idea platonica espressa nella Repubblica, per la quale le anime discendono dalla dimensione iperurana incarnandosi in quella terrena. Quindi Hillman evidenzia che la possessione può riguardare un demone personale, buono e/o cattivo, angelo e/o diavolo il quale fornisce ispirazioni caratterizzanti la natura psichica e vitale del soggetto (cfr. Hillman, 1996). Potrebbe dunque esistere una certa predisposizione alla mania, qualora il ‘daimon personale’ fosse più incline alla esaltazione e alla eccitabilità.
Dunque, mentre il desiderio è attrazione del soggetto verso l’oggetto, la mania appare come un oggetto personizzato – potremmo dire come un angelo o un demone – che desidera il soggetto, lo invasa e lo chiama al suo servizio ispirandolo.
Il concetto per cui, un’alterità ‘immaginale’ si impossessa di un’area complessuale della psiche individuale, può ben illustrare il fenomeno psicoenergetico inconscio che sta alla base delle manie. Ciò ha una sua rappresentazione nella capacità di una entità mitica, dotata di energia sovraordinaria (mana – vedi par. I) di penetrare negli esseri umani e di ‘agirli’; oppure un fenomeno analogo è espresso attraverso la credenza negli spiriti, i quali sarebbero i ‘veri’ responsabili di determinati eventi, sensazioni, pensieri, sentimenti.
Questo fenomeno di possessione/ispirazione ad opera di un’alterità estranea sulla psiche individuale viene anche spiegato in termini di “identificazione” di aree complessuali individuali con aree archetipiche collettivo. Il soggetto si identifica, seppure parzialmente con la componente collettiva inconscia dell’espressione maniacale. Infatti le ‘entità’ che portano la mania nel soggetto, appartengono ad un mondo immaginale collettivo. La stessa entità può ispirare o possedere molti individui, i quali sono attratti da essa come da una fonte di mana recante fortificazione all’identità. Tale attrazione viene poi riflessa sulla fonte, così che essa accumula e aumenta il mana proprio perché la distribuzione genera una restituzione ancora più carica di energia. In effetti più sono i fans, e più l’oggetto di ‘venerazione’ è potente, ma è potente anche perché ha prodotto molti ‘adepti’.
Quindi le manie, molto spesso inducono a perseguire il mana dato da mode, status symbol, immagini del potere o dello spettacolo, ecc. perché l’esaltazione maniacale collettiva fa aumentare il suo ‘capitale sociale’ e i relativi ‘dividendi’ individuali (del resto questa metafora finanziaria ha un suo preciso riferimento con la realtà dei mercati).
Le cosiddette “tribù di consumatori”, sono animate da una sorta di mania collettiva, ma le ragioni individuali della partecipazione empatica ad una certa forma di consumo e di stile, riguardano l’area del ‘complesso individuale’. Ciascuno si serve del mana rappresentato da un certo prodotto, marca, tendenza, secondo le sue proprie necessità ‘psicologiche’. Ciò che si condivide è la stessa fonte del mana, ma i suoi utilizzi si differenziano a seconda dei complessi individuali. D’altra parte il mana non viene solo preso, ma anche dato, nel senso che la mania collettiva alimenta il mana generato da una determinata fonte. Quindi la mania ‘fa tendenza’ perché consente di accumulare e ridistribuire mana. Ma a tale tendenza non si può attribuire una stesso ‘target’, perché ciascun aderente a quella tendenza ha le sue ragioni, consce e inconsce, per aderirvi. Le segmentazioni sociali, di diversa natura, non sono quindi sempre omogenee rispetto alla ‘mania’ per una certa tendenza. L’identificarsi con i demoni collettivi di una mania, non vuol dire fortificare identità simili, ma identità che posano sulle differenze date dai rispettivi complessi individuali. In tal senso la mania può fortificare un certo complesso o può anche tendere a modificarlo. L’identità può risultare cristallizzata entro stereotipi oppure può liberare nuove potenzialità, a seconda del tipo di infatuazione maniacale, del soggetto, e della situazione particolare e generale. Le variabili sono molteplici, e quindi non consentono di riferire una certa mania ad una certa tipologia di persone, per le quali potrebbe provocare certi effetti o altri.
Le invarianti sono quindi da ricercarsi nel modello archetipico e immaginale sottostante a quello che è l’apparire del fenomeno maniacale a livello individuale e sociale, entro un certo segmento, ad es. di consumatori.

L’immagine delle configurazioni archetipiche che prendeva le forme di miti antichi, come ad es. quelli della Grecia, varia nelle epoche e nelle culture, quindi non è metastorica nella forma, ma lo è nel contenuto (a rigore nel ‘contenuto noumenico’). Ciò vuol dire che pur rimanendo quasi invariato il contenuto archetipico (secondo certe teorie anche esso sarebbe soggetto ad una lenta evoluzione) le immagini e le narrazioni che lo rappresentano prendono forme ed espressioni attuali (si potrebbe dire in funzione dello ‘zeitgeist’: ‘spirito del tempo). Oggi, tali immagini e narrazioni provengono prevalentemente dai mass media e dai messaggi che inducono a dare una ‘pseudoanima’ alla generale mercificazione degli ambienti e delle relazioni umane, a livello locale e globale. La diffusione dei miti dello spettacolo e del consumo ad opera dei media – che esprimono ampiamente le influenze di diversi apparati del sistema produzione-consumo – si sviluppa maggiormente nel tempo libero.
Naturalmente sarebbe lapalissiano dire che le manie si diffondono perché i loro modelli espressivi sono pubblicizzati dai media. Il punto è di capire come mai certi modelli espressivi, diffusi da prodotti e spettacoli, riescono a generare una sorta di attrazione mitico-maniacale ed altri invece non vi riescono, sollecitando tuttalpiù pallidi desideri. Al di là delle valutazioni mediatiche di ordine quantitativo e strategico, si può dire che quando ‘immagini e rappresentazioni’, riescono a cogliere il miglior modo di esprimere una componente archetipica secondo lo ‘spirito del tempo’, allora questa attiva le maggiori risposte e interpretazioni a carattere maniacale.
Ecco quindi che un brand, una moda, uno spettacolo, un personaggio possono diventare ‘di culto’, cioè possono essere investiti da pratiche e proiezioni a sfondo maniacale in quanto sono considerati fonti di mana.
Naturalmente, e per fortuna, lo ‘spirito del tempo’ aleggia anche oltre le vicende di mercato. L’arte, la politica, la cultura, la spiritualità e anche la natura possono ispirare, soprattutto nel ‘tempo libero-liberato’, ‘immagini e narrazioni archetipiche’ capaci di indurre ‘manie liberatorie’, così come auspica la visione platonica delle ‘manie divine’.

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