Indifference-reference x RETE

Indifference-reference PROGRAMMA

Roberto Rossini Indifference / Reference arte visuale, video, performance

a cura di Ferruccio Giromini – catalogo in galleria con testi di Caterina Gualco, Ferruccio Giromini

martedì 6 maggio ore 18:30 Inaugurazione Galleria UnimediaModern – mercoledì 14 maggio ore 18:30 Compilation video Galleria UnimediaModern – venerdì 30 maggio ore 21:00 Performance Palazzo Ducale – Cortile Maggiorevenerdì 27 giugno ore 19:00 Video installazione Inaugurazione Galleria d’Arte Moderna di Genova

Alla pratica della performance, privilegiata come ‘rituale di esposizione pubblica’, viene affiancata una rifles- sione sui meccanismi trasversali del processo creativo – in particolare l’indagine sul rapporto caso-necessità – che si concretizzano in una serie di lavori di tipo concettuale, punto di incontro tra un’intenzionalità e un accadimento. Il loro tratto comune è di essere costruiti attraverso ‘resti’, frammenti di un qualche cosa che è accaduto (avvenimento aleatorio, coincidenza, citazione…) e di cui si può avvertire la discendenza: detourne- ment di immagini, recupero di piccoli oggetti comuni sottratti alla decadenza, frammenti di frasi, residui di azioni performative, found footage – nel caso dei video. La composizione finale sembra muoversi nell’inconscio, l’inconscio diventa gesto poietico: la sola ‘referenza’ rimane quella del ‘gesto’, unico atto capace di sottrarsi al dominio utilitaristico-economico-semantico.

ROBERTO ROSSINI

Dalla metà degli anni ‘70 è attivo sulla scena italiana della performance art. Nei primi anni ‘80 è stato tra i fondatori del Centro UH!, realizzando performance, trasmissioni sperimentali di drammaturgia radiofonica per la RAI, interventi di videoarte e mail-art e curando la direzione artistica della rivista UH!. Ha partecipato a rassegne internazionali, con eventi ambientati spesso in spazi atipici come edifici industriali e storici, luoghi di culto e di cura, ambienti naturali o defunzionalizzati. Ha tenuto workshop e conferenze sulla performance e sulla comunicazione multimediale. Ha collaborato con il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova con performance, mostre e progetti di didattica. È membro della Direzione artistica di Art Action International Performance Art Festival di Monza. Docente di Teoria della performance all’Istituto per le Arti Tradizionali – Museo delle Culture del Mondo di Genova. Nel 2012 ha pubblicato il libro La performance tra arte, mito, rito e gioco, edizioni Utopia production.

dal 6 maggio al 7 giugno UnimediaModern Contemporary Art –Palazzo Squarciafico – Piazza Invrea, 5/b – 16121 Genova Italia  Tel. +39 010 2758785 www.unimediamodern.com unimediamodern@libero.it

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GENOVA 28 – 29 – 30 giugno 2013

PERFORMANCETHERAPY


Programma per partecipare:
Performance Therapy


Laboratorio performativo diretto da Roberto Rossini
Supervisione psicoarchetipica di Pier Pietro Brunelli

PerformanceTherapy non è una terapia della persona, è una terapia della Performance. Terapia dal greco vuol dire ‘servizio’, inteso come ‘dedizione nel prendersi cura’. Questo servizio, questa cura, questa terapia è necessaria per l’individuo, per la collettività e per l’ambiente. Performance, nel suo senso originario, deriva dal francese parfourmir, dove par = per e fourmir = fornire… a sua volta fornire viene da forno, perciò la Performance può, essere intesa come una sorta di ‘forno fournir alchemico’, affinché possano essere ‘s-fornate’ e trasformate le sostanze organiche, psichiche e fisiche che nutrono la vita.

Il ventre materno è in tal senso un luogo dove la natura esprime la Performance del mistero vitale; così il cosmo, il sole, il cuore della terra sono i luoghi e gli agenti della grande Performance nella quale siamo immersi.

La cultura occidentale, tecnologico-consumista, deificante la finanza e il mercato, ha perso una tradizione originaria dell’’anima-psiche’, essa resta occultata da un pensiero filosofico e scientifico ‘unico e unilaterale’, e da una mconcezione della religiosità troppo manipolata da potentati economici e politici.

La più libera via occidentale, che si è sviluppata per quanto concerne una possibilità viva e creatrice di ‘fare anima’, è quella della ricerca artistica, ma l’arte deve poter ritrovare un suo senso originario, se non vuole essere ridotta solo a superficie spettacolare e mercato.

Per questo motivo l’arte contemporanea ha bisogno di una PerformanceTherapy, come esperienza di rielaborazione creativa dei messaggi e delle grida provenienti da tradizioni divenute nomadi, oltre che dalla ‘Massmediopoli’ (Megalopoli + Rete).

Artaud è stato il primo uomo di teatro a capire che l’Arte dell’attore consisteva in un atto di ‘PerformanceTherapy’ in quanto esperienza diretta di conoscenza attraverso la manipolazione

dell’ordine del mondo, con l’ausilio di ogni possibile tecnica creativa ed artistica, e con ispirazioni provenienti da ‘speciali stati di coscienza’, indotti anche attraverso pratiche e oggetti rituali risalenti a tradizioni magiche e religiose. Oggi, siamo di fronte ad un ‘meticciato’ delle tradizioni d’origine, un tentativo di attraversamento e di incontro tra diverse culture, che può dare luogo allo sviluppo di una nuova dialettica tra ricerca e tradizione. Questa ‘nuova dialettica’ è evidente nei diversi tentativi d’incontro tra arte e rito, tra medicina e spiritualità, tra responsabilità della questione sociale e cura del sé.

E’ importante che ciascuna persona abbia la possibilità di esprimere con una sua Performance cosa sente e vede dentro di sé, cosa sente e vede nel mondo, o anche oltre di esso… potrebbe nascere un ‘atto psicomagico’ (Jodorowsky), ispirato da un’energia archetipica ‘albescente’, come quella dell’Alba (Albedo) che nasce ogni giorno dalla grande fornace solare.

Pier Pietro Brunelli

 

PERFORMANCETHERAPY

offre la possibilità di fare esperienza diretta di una forma altamente ritualizzata di autoconoscenza e di espressione del Sé. Ciascuno può partecipare a PerformanceTherapy entro uno spazio laboratoriale riservato ad un piccolo gruppo di persone.

Si potrà sperimentare la propria creatività partendo da un vissuto personale e utilizzando liberamente ogni ispirazione, azione, materiale, tecnica, immagine, narrazione… ciascuno sarà coadiuvato nel trovare la condizione umana, attiva e ricettiva, psicologica e sociale, per poter creare, proporre, condividere il proprio ‘atto psicomagico’.

Un sapere ispirativo ‘forte e archetipico’ sarà tratto dall’antico testo oracolare cinese I KING, che potrà essere consultato individualmente entro un particolare contesto esperienziale (Temenos performativo) volto ad acuire la concentrazione, la sensibilità e l’ascolto interiore.

CONSIDERAZIONI CRITICHE: PERFORMANCE/ARTE/ARTERAPIA

Da molto tempo la parola Arte fa da suffisso alla parola Terapia – ARTETERAPIA. Ci si riferisce ad una concezione psicoterapica, basata su tecniche espressive che consentono di esperire e di ‘leggere’ l’inconscio. Ciò può avvenire attraverso la pittura, la scultura, il suono, la danza, il teatro. Il ben noto potere catartico e conoscitivo di tutte le arti viene assunto all’interno di tecniche e pratiche psicoterapiche e di sostegno terapeutico, attraverso molteplici tipi di approccio teorico ed operativo.

Qui vogliamo affermare che la Performance, intesa come atto creativo e ricettivo, che coinvolge nella libertà, nel rito-gioco e nella creatività, può essere considerata come la forma artistica che più esprime il senso delle artiterapie. La Performance lascia liberi sull’uso di una o più tecniche espressive, consente di ‘far agire la psiche attraverso il corpo e il mondo esterno’, in uno spazio e in un tempo che è insieme simbolico e concreto. La Performance ci avvicina alla possibilità di essere ‘autentici’, di compiere se stessi attraverso se stessi, in quanto il suo scopo è proprio quello di liberare le possibilità ricettive e creative che altrimenti dovrebbero sempre sottostare alle condizioni del lingiaggio, della cultura, dei ruoli e delle maschere.

In senso junghiano possiamo considerare la Performance nella Terapia, come una pratica di “IMMAGINAZIONE ATTIVA”, tema che caratterizza anche la filosofia e la ricerca dell’Associazione Culturale Albedo, per la quale quindi la Performance è una forma fondamentale di esperienza e di conoscenza.

In questo articolo vengono offerte informazioni, testi e riflessioni di base affinché la Performance possa essere concepita come un atto ‘AUTO-TERAPICO’, condivisibile con altri,  talvolta con il supporto di un dialogo terapeutico con un altro Performer o con un terapeuta della psiche. Ma quando si comprende il senso profondo della Performance, e si impara a realizzarla, ciascuno secondo la sua immaginazione, allora l’atto ‘Auto-terpico’ si compie in se stesso come dialogo tra conscio e inconscio, o tra parti di sé che altrimenti non avrebbero modo di connettersi se non in modo coattivo e condizionante. La Performance consente di elaborare contenuti inconsci rimossi e aree complessuali, paure, infelicità, gioie, speranze, affinché si possa esperire una maggior sintonia con se stessi, diventare EGO-SINTONICI, quindi piu’ vicini al SE’, e cioè all’ asse IO-SE’ che junghianamente ci individua, ci fa conoscere la nostra AUTENTICA INDIVIDUAZIONE come soggetti che sono parte della totalità, ma che rispetto ad essa sono portatori di un loro assoluto, di una loro unicità e irripetibilità nel tempo e nello spazio e, che quindi li rende adatti ad essere con un senso e un valore nell’eternità e nell’infinito.

E’ fondamentale, in ogni psicoterapia, che l’essere umano prenda coscienza del suo essere e del suo senso nell’universo, e questo che fondamentalmente lo fa essere vivo veramente e gli dà la forza per accettare la vita e la morte. La Performance può dunque essere intesa come la pratica principe delle ‘Artiterapie’, quanto più la si esplora vivendola e partecipandola, e questa è un’esperienza potenzialmente accessibile a tutti perché è radicata nel gioco, nel sogno, nell’immaginazione e non ha necessità di tecniche rigidamente formalizzate. Cionondimeno la Performance non è un ‘passaggio all’atto’ disordinato e scomposto delle proprie frustrazioni dei propri bisogni, ma è il tentativo di costruire amorevolmente un linguaggio dell’anima che possa provocare ed essere accolto, che possa instillare una scintilla di spirito nella quotidianità, e renderci quindi extra-quotidiani, non sovradeterminati dalla legge che snatura e impoverisce la possibilità di essere nello spirito secondo l’ispirazione del proprio demone o del proprio angelo, o di entrambi.

Gli esseri umani sono sia animali e sia spirituali, la Performance è una terapia, quando è vissuta come una libera possibilità di esperire questa incommensurabile contraddizione che è il mistero stesso della vita.

 

Performance tra arte, mito, rito, gioco e ... terapia in un libro di Roberto Rossini

Performance tra arte, mito, rito, gioco e … terapia in un libro di Roberto Rossini

Lo scopo di questo libro è quello di analizzare la scena delle arti d’azione – genericamente definite performance – ricercandone la funzione antropologica, indagando le reciproche influenze con le avanguardie artistico-visive, il teatro sperimentale e le scienze psico-sociali.

Questo libro offre occasioni di confronto in merito al significato e alle tecniche di progettazione dell’opera vivente, raccogliendo una serie di testimonianze significative – sia quelle dei protagonisti della storia della performance, che quelle più prossime – affiancandole alle voci del ‘sapere’, attraverso quei testi che sono diventati le prime riflessioni sulla action art contemporanea.

Il risultato è una approfondita analisi, non solo teorica, frutto di alcuni anni dedicati dall’autore alla pratica, alla teoria e alla nomadica dell’arte delle arti.
per richiedere il libro inoltrare mail a: info@ontheground.it

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Note su Performance, Simbolo e Psiche – di  Pier Pietro Brunelli*

Roberto Rossini Psicomagia dell’atto performativo

La parola performance, secondo l’Oxford Dictionary giungerebbe al ‘middle english’ dalla parola parfourmir dello ‘old french’, dove par=per e fourmir sta per fournir= fornire.
Dunque performance, etimologicamente indica qualcosa che serve per fornire… Fornire che cosa?
Prima di fornire una risposta osserviamo che la parola ‘fornire’ deriva da forno. Così che performance ha parecchio a che fare con il forno, quindi con qualcosa che viene forgiato e sfornato, dove è fondamentale agni, il fuoco vitale, il fuoco industriale, il fuoco sacro.
Allora forse per comprendere cosa può o cosa vuole fornire una performance dobbiamo ricordare un momento che cosa rappresenti il forno, vale a dire la sede che governa i processi trasformativi del fuoco…

Il forno è il più primordiale simbolo/strumento dell’evoluzione dell’umanità.
I forni comparvero in epoche preistoriche e permisero lo sviluppo dell’Età del Bronzo. Nelle fornaci infere Efesto/Vulcano forgiava portentosi strumenti di lavoro e di guerra. Il controllo e l’uso produttivo del fuoco è espresso dal mito di Prometeo, cioè il mito che racconta l’umano riscattarsi dal potere degli dei e dagli ostacoli della natura.
La dea Estia (per i romani Vesta) è la protettrice del focolare domestico e dei sacri fuochi dei templi. Nel forno si fa il pane: il più mitico degli alimenti, dal paganesimo alla cristianità.

Roberto Rossini – Myth Palazzo dei Principi – Correggio 1979

Nella fiaba il forno ha un ruolo ambivalente. Da una parte è un simbolo materno e nutritivo, da un’altra parte presenta caratteri inquietanti, per la sua capacità distruttiva, dal momento che in esso tutto può bruciare e incenerire.
Gli alchimisti consideravano il forno come un fondamentale simbolo e strumento della trasformazione, in particolare per quanto attiene alla fase del superamento della Nigredo verso l’Albedo…
Dunque possiamo pensare alla performance come qualcosa per fornire trasformazione: performance/trasformance. Ciò fa comprendere anche che la performance essendo per sua natura intrinseca una pratica di trasformazione non può diventare ‘fissazione’ come nel caso di altre forme artistiche che si costituiscono in una oggettualità, un testo, un atto codificato e prescrittivo (come in gran parte del teatro). In tal senso l’opera d’arte può essere considerata o come il prodotto che fissa la trasformazione o come il processo stesso della trasformazione, vale a dire come ‘performance’.

Ma cosa vuol dire fornire processi di trasformazione? C.G. Jung nel 1912 scrisse un celebre libro, che rielaborò nell’edizione del 1952, intitolato Simboli della trasformazione. Questa ricerca lo portò ad un forte distacco da Freud. In particolare Jung sosteneva che la libido è da considerarsi come una energia psichica totale, quindi non solo di carattere sessuale, ma anche riferibile alla produzione di simboli. Un simbolo, secondo Jung si differenzia dal segno perché è il ‘precipitato’ culturale e naturale di una sorgente archetipica dell’inconscio collettivo, dalla quale il simbolo ricava una sua carica energetica trasformatrice. Il simbolo è un fenomeno energetico che spazia dall’eros al sacro e, in determinate circostanze è capace di trasformare gli individui e la collettività. Il simbolo non serve solo per comunicare, ma in determinate condizioni esso provoca trasformazioni della psiche e dei comportamenti a livello individuale e collettivo.

NIDI, 2004

Ciò non vuol dire che i simboli siano sempre trasformatori verso il bene, essi possono anche provocare una caduta nell’ombra e quindi una involuzione distruttiva. Questo avviene quando il sim-bolo si scinde e diventa dia-bolo… e quando non vi è la ‘capacità simbolica’ di ricomporre le dualità, le antinomie, i conflitti e le unilateralità della scissione.
Quando ‘psiche’ guarda la performance in essa può quasi sempre scorgere il tentativo di ‘patologizzare’ e di ‘fare anima’ esprimendo sul piano simbolico ossessioni, fantasmi, complessi a scopo liberatorio. Bisogna però capire se si tratta di liberazione, di catarsi, di esorcismo – quindi di una effettiva capacità simbolica – oppure di una ‘segnicità narcisistica’ che si esprime come coazione a ripetere, emulazione, maniacalità, rabbia e quindi come condizionamento più o meno coercitivo e distruttivo. Io credo che il ‘forno della performance’ dovrebbe essere simbolicamente trasformativo, non semioticamente distruttivo. Naturalmente le performance ciascuno le fa come vuole, tuttavia a me non piacciono tutte, preferisco quelle che mi sembrano essere trasformative, e quindi capaci di fornire ‘simboli vivi’.
D’altra parte chi può giudicare in termini etici una performance? Chi può dire quando questa sia buona o cattiva e quando la sua fornitura simbolica sia creativa o anche ‘distruttivamente creativa’… la performance va al di là del bene e del male, quindi in che senso la performance può fornire qualcosa di buono? Io credo che qualcosa di buono, l’oggetto buono, sia qualcosa che ha la capacità di integrare il male, di accettare l’ombra, di riportare a sé la pecora nera, o di diventare ‘blu’ come Shiva che assorbe i mali del mondo. Intendo dire che la performance fornisce una sorta di possibilità sacrificale, dove viene offerto un atto espressivo che ricompone la contraddizione tra bene e male, corpo e psiche, materia e spirito, intelletto e sentimento, maschio e femmina, conscio e inconscio, vita e morte… In tal senso la buona performance ricompone in un atto sim-bolico l’aspetto dia-bolico delle dicotomie, delle scissioni, delle separazioni. La ricomposizione simbolica che la performance può generare gioca in termini estetico-simbolici con la tensione tra gli opposti, affinché venga fornita una energia compensatoria, di comunione, di riequilibrio, di trasformazione generatrice.
Dunque, in un mondo dove la parola fornire riguarda soprattutto le forniture di beni industriali, di energia elettrica, di pezzi di ricambio, e quant’altro faccia business – la performance fornisce simboli. A questo punto va osservato che nel clima posicoculturale in cui viviamo i simboli appaiono come ‘roba senza valore… qualcosa di simbolico, appunto, che non ha nulla di concreto’. E poi, affinché qualcosa abbia valore bisogna definirlo con precisione, per cui si tende a voler ben sapere che cosa sia un simbolo, in termini logici, razionali, ‘letterali’.

Ad essere sincero non si potrebbe dire che cosa sia un simbolo con precisione, sarebbe una definizione autocontraddittoria, perché il simbolo non ha un tipo di precisione che può essere soggetta a definizione precisa… L’indefinibilità logica del simbolo è coerente con il concetto junghiano di simbolo, perché esso, secondo Jung, in termini semiotici è un rinvio a qualcosa di non conoscibile, qualcosa di trascendente, che sfugge ad una definizione univoca e deterministica. Il simbolo si apre all’illimite, al non noto, al mistero. La parola ‘mistero’ vuol proprio dire ciò che non si può dire attraverso segni e parole, ma che si può solo percepire nell’esperienza simbolica. Seppure cosa sia il mistero sia stato scritto e svelato in tutte le lingue e in tutte le religioni, nessuno può dire davvero cosa esso sia, esso è in una energia sensibile (di sensibilità e di senso), esso è in una corporeità di anima, esso è in una ‘esperienza simbolica’… Anche la performance, quando è agita e vissuta con consapevolezza è una ‘esperienza simbolica’, è una ‘psicoperformance’, cioè un vascello che porta l’anima verso l’irragiungibile, verso il ‘mistero’…
E’ fondamentale che qualcuno crei ‘esperienze simboliche’ per fornire simboli, e oggi questo è particolarmente importante perché la dimensione psicoculturale della globalizzazione e della scienza occidentale tende ad annullare ogni anelito umano verso il mistero, verso una visione poetica del mondo e della vita. In un mondo di macchine l’essere umano deve essere efficiente similmente ad esse, e quindi deve essere capace sempre di trovare risposte coerenti a domande coerenti, così che tutte le domande alle quali non si può rispondere coerentemente sembrano inconsistenti, senza senso. Ma il senso è apertura, è capacità di essere onestamente presenti nella contraddittorietà della vita e della morte, il senso è dunque mito, sogno, immaginazione, sguardo che attraversa la materia e la integra nello spirito, perché la vita umana è fatta di una materia immateriale che si materializza ed ha bisogno di simboli. Jung ha dimostrato che senza simboli la specie umana non avrebbe potuto sopravvivere, per cui la produzione di simboli è una necessita naturale e culturale. Così la performance fornisce simboli all’anima-psiche, simboli che generano senso. Come ha scritto in suo celebre saggio Jerzy Grotowski: “la paura viene dalla debolezza del senso” (Holyday – the day that is holy, 1970). Allora credo che la performance possa essere un artificio/sacrificio per fornire senso alla vita: un forno di simboli della trasformazione, che contengono psicoenergia per vivere, crescere, liberare, generare.
Nell’intera storia dell’umanità vi sono sempre state persone particolarmente capaci di produrre senso simbolico, intorno a queste persone sono state spesso costituite caste, ordini, poteri. Nel mondo attuale, ordinato dal potere economico e della tecnica, fornire senso all’anima-psiche è un’attività relegata negli ambiti delle arti, delle dispute filosofiche, delle religiosità più o meno ufficiali, delle sedute psicoanalitiche, della buona volontà di qualche insegnante; il senso simbolico è per così dire bandito e svilito, e viene inculcata l’idea che esso in fondo ‘non ha senso’ e comunque ‘non serve quasi a niente’.
Il performer fornitore di senso simbolico esprime allora una specie di rivolta-preghiera la cui strategia non mira all’audience, alla popolarità, alla business art, ma ad attraversare la psiche collettiva con il vascello più autentico di cui dispone: la sua psiche individuale incarnata nella corporeità della sua stessa vita. La psiche arde come fiamma del corpo, la materia brucia di spirito: questo è il forno primordiale che produce quella energia vitale che i greci chiamavano zoe, il flusso trasformativo della vita totale che si differenzia dalla bios – la vita individuale che si esaurisce e si spegne. La zoe non conosce la morte perché attraverso la morte garantisce la prosecuzione della vita, essa è quindi quella energia vitale per cui niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma… La zoe è la vita della tras-per-formance che fornisce simboli, affinché attraverso di essi, si possa scorgere l’evidenza del mistero.

Libellula-Dragon Fly Solstizio d’inverno, 2006 di Pier Pietro Brunelli

Queste poche righe, a volte un po‘ troppo pretenziose nei contenuti, sono ispirate da qualcosa che mi ha fornito il lavoro e la ricerca artistica di Roberto Rossini. (vedi foto e documentazione Roberto Rossini   http://www.ontheground.it/cms/; vedi anche Libellula Dragon Fly Active Imagination di Pier Pietro Brunelli https://www.albedoimagination.com/archivio/albedo-psicoteatro/Libellula12_3.htm)

In alcune occasioni sono stato testimone dei suoi processi tras-per-formativi, del suo modo di lavorare e curare il ‘fuoco blu’ delle performance. Un fuoco che arde nelle notti di luna in riva al mare, nei solitari camini di campagna, nel braciere che resta acceso fino all’alba, nelle fornaci alchemiche del sogno e dell’esperimento. La fase alchemica nigredo-albedo di elementi di visione e di azione mi pare una delle maggiori forme con cui Rossini lavora nelle sue ‘fornaci trasperformative’. I materiali di visione-azione sembrano provenire da diverse miniere esperienziali; una certamente si trova nelle profondità di lunghi anni di ricerca e di lavoro alla comprensione e alla creazione di immagini, di comunicazioni visive, di segni, di segnali, di anti-segnali. Ma altre miniere di visioni-azioni si trovano in più latitudini e longitudini del mondo, dall’Africa al lontano Oriente. Si tratta di psicogeografie che riverberano spesso nell’esperienze simboliche tras-per-formative di Rossini. Ma per certi aspetti più intimi e della memoria, a volte si percepisce la presenza di un genius loci, le cui salde e contorte radici affondano nella terra dove Rossini è nato, la terra dei liguri, così ricca della nostalgia del mondo, dell’avventura introversa e provocatoria, dell’orizzonte del mare irraggiungibile eppure sempre così presente e indeterminabile… Ecco, credo che queste visioni-azioni-esperienze, e tante altre che non so, siano state vissute da Rossini con un forte grado di introversione incubatoria, come un processo di fusione interiore di strane leghe bio-metalliche, con le quali egli forgia performance pregne di fuoco simbolico. Anche quando queste performance appaiono rigorosamente fredde, graficizzate, gestaltiche si tratta di ‘semiosi affettive’, di un ghiaccio che scotta, cioè di processi dinamico-trasformativi e mai congelativi-conservativi. Si espande una sottile aurea emotiva tra eros e pathos… certe volte anche sentimenti di dolore e di rabbia diventano fieri e gentili… come la tigre austera e solitaria che ruggisce nella jungla, non perché è sanguinaria, ma perché è fiera d’amore… In tutto ciò io ho sempre percepito un sentimento introverso di amore, una grande voglia di trasformare il mondo, un rito-ribelle che non può essere semplicemente detto, scritto, disegnato, teatralizzato, ma che deve essere vissuto… ecco sì, questa è forse l’esperienza più intima e autentica che maggiormente ho ricevuto quale forza simbolico-immaginale dalle performance di Rossini. Non si tratta di esprimere un mero sentimentalismo compiacente, ma di testimoniare come posso la potenzialità psichica di una particolare esperienza umana e conoscitiva attraverso l’arte. Dalle fornaci della trasformazione-performazione di Rossini ho percepito lo scatenarsi di un prometeico fuoco liberatore, che arde per fornire alla vita un senso simbolico, un senso che oggi, sulla terra – on the ground – è più che mai necessario e vitale.

Foto e documentazione Roberto Rossini:
http://www.albedo-psicoteatro.com/

Pier Pietro Brunelli
Psicologo, Dottore in Dams ha pubblicato i seguenti saggi e articoli sul Parateatro e la Performance:

(1988), Saggio nel dramma per Rena Mirecka (1994, 2°ed.)
Associazioni Culturali Albedo, Prema Sãyi, Helios
(Milano, Via G. Alessi 8 – tel./fax 02/8376990).
(1996), “Fare anima, oltre lo spettacolo”, in AA.VV.
Oltre lo spettacolo. Tradizione, Cultura attiva. Figure professionali.
Cagliari, Studio Drama – Comune e Provincia di Cagliari.

ROBERTO ROSSINI

La realtà contemporanea tende sempre più all’inorganico: il dominio della materia ha prodotto un mondo popolato di ‘cose’, un mondo in cui si sovrappongono organico e inorganico, naturale e artificiale.

I suoni, gli spazi, gli oggetti, le parole e anche le azioni sono affrancati dal loro rapporto con lo spirito e con la vita diventando a loro volta cose che sentono e che sono sentite.

«…Il soggetto in sé è definitivamente morto. È la sensibilità che, relativamente al soggetto, perviene in primo piano…» Klossowski, P. (1984)

In questo ‘sistema’ il ruolo dell’essere umano è quello di ‘cosa che sente’, ed è qualcosa di differente da ‘una cosa che pensa’ o ‘una cosa che si muove’, la mente e la macchina.

Questa condizione è implicita e determinante nell’evoluzione della performance dagli anni ‘60 ad oggi, prima attraverso la rottura della distinzione tra scena e realtà, poi nell’esposizione di un evento hic et nunc e infine, con la body art e il più recente e tecnologico post-human, nel superamento dei propri limiti e di se stessi, attraverso la percezione del corpo come ‘cosa’, parte di un sistema di segni complesso.

In un mondo in cui siamo tutti performer più o meno abili, e in cui i comportamenti quotidiani sono intesi come ‘rappresentazione’ mentre gli eventi teatrali si modellano sulla vita reale, il performer necessita di una performance eccezionale e ‘fuori dal comune’.

Proprio in questi ultimi anni, che hanno visto anche nell’arte l’avvento del virtuale e l’ostracismo verso il fisico, la performance ha spostato l’attenzione su quei rituali che sottopongono il corpo a prove che si potrebbero, semplificando, definire iniziatiche.

Tutta la storia dell’arte è attraversata dall’iconografia dell’estremo, presente già nelle raffigurazioni parietali del neolitico, o sulle ceramiche classiche, nelle immagini mitologiche, nei volti sofferenti dei santi e dei Cristi della storia dell’arte: queste figure mitiche, prive di un ‘comune senso del dolore’, sono rappresentate come ebbre di sofferenza estatica, in cui il piacere della vicinanza con il divino è direttamente proporzionale al tormento.

In definitiva il corpo – come realtà materiale, nuda o coperta, ‘pesante’ o ‘agile’, e ancor più nella sua capacità di esprimere il sociale nella modernità – è stato colto sotto l’aspetto dei riti che lo governano, sottolineando così il suo essere il centro dell’essere sociale.

Vetrina della persona, incorpora l’ordine sociale attraverso le norme che deve rispettare, come attraverso i suoi riti di inserimento nell’’apparenza’ della modernità; tanti fenomeni che influiscono sull’insieme della vita sociale.