copEcco quindi che la donna tende a percepire su di sé  livello archetipico e psicoculturale la potenza e l’ambivalenza della Grande Madre – dalla notte dei tempi all’attualità –  con le annesse proiezioni colpevolizzanti che derivano da complessi materni maschili e da culture maschiliste e neomaschiliste… Nello specifico del ‘complesso materno’ va osservato che per quanto si abbia una madre problematica, ciò può dare luogo a reazioni più o meno complessuali e sintomatiche quanto più non si è elaborato l’archetipo della Grande Madre. Addirittura può anche essere che una madre si comporti in modo equilibrato e coerente, in termini di affetto, protezione, impegno educativo, ma il puer o la puella, donna o uomo, adolescente o anche ormai adulto, potrà proiettare risentimenti  su di essa o vivere in una dimensione ‘complessata’ rispetto alle relazioni affettive e alle sue condizioni esistenziale. Egli o ella non riescono a staccarsi dalla madre, non tanto per quello che la madre è o non è, che ha fatto o non ha fatto, ma perché il loro rapporto con l’archetipo della Grande Madre è ancora puerile, ed in tal senso è edipicamente ed incestuosamente sommerso nell’ inconscio. Per semplificare al massimo possiamo dire così: più risulta psicologicamente difficile trovare una propria collocazione concreta e simbolica nel mondo e nei confronti della totalità e più si tende a proiettare tale difficoltà nella relazione inconscia con il materno, in termini di attaccamento regressivo e/o di aggressività – e ciò in parte, a prescindere dalle effettive problematicità e qualità della madre. La soluzione per ‘essere al mondo’ e quindi al cospetto della Grande Madre, non può essere solo razionalisticamente concreta, non è quindi riferibile solo al benessere materiale o ad una concezione filosofica in senso rigidamente logico-scientifico della realtà, in quanto il confronto con il ‘non noto’, la totalità, la vita e la morte, richiede un’elaborazione simbolica e quindi anche intimamente spirituale (e ciò a prescindere da una fede religiosa, che potrebbe essere addirittura sentita come una via salvifica di ‘facciata’, non autenticamente ‘incorporata nella psiche’…). D’altra parte i vissuti problematici con la madre e relativamente al padre, al quadro famigliare e sociale finiscono con il fuorviare l’elaborazione della sfida archetipica con la Grande Madre, ma la risoluzione delle dinamiche relazionali disturbate e difficili, nella famiglia o nella coppia, deve necessariamente passare attraverso una rielaborazione archetipica originaria. Per cui le relazioni attuali diventano tanto più dolorose , complesse e insolubili, quanto meno vi è la possibilità di elaborare la sfida archetipica della Grande Madre, ed in tal senso si orienta in modo particolare una terapia di matrice junghiana.

Ovviamente, qui stiamo cercando solo di offrire una estrema sintesi su un tema immenso quale è la Grande Madre. Lo scopo è innanzitutto quello di  far riflettere su come Jung abbia esplorato la potenza della Grande Madre e dei diversi archetipi nella psiche individuale e collettiva, mettendo in luce che non solo l’esperienza ambientale e famigliare influenza la costituzione psichica, ma anche fattori archetipici universali, che sono sempre attivi nell’inconscio individuale e collettivo, dando luogo a molteplici risposte e forme complessuali soggettive.

Lennart Nilsson 20 fotografie dalla serie A Child is Born [E nato un bambino], pubblicate su “LIFE”, New York, 30 aprile 1965

Lennart Nilsson
20 fotografie dalla serie A Child is Born [E nato un bambino], pubblicate su
“LIFE”, New York, 30 aprile 1965

Anche una madre può soffrire e far soffrire per una dinamica relazionale con i figli e la famiglia. Certo questo dipende dalla situazione reale e dal comportamento e dalla natura dei figli, del marito, ecc. Eppure la possibilità di elaborare e superare tale dinamica famigliare disturbata dipende molto da quanto essa riesce ad elaborare una coscienza simbolica del suo essere madre. Se una madre non riesce a maturare sufficientemente rispetto ad una consapevolezza più archetipica del suo inconscio e del suo essere madre – e quindi è incapace di riconoscere come l’archetipo della Grande madre generi condizionamenti nel bene, ma anche nel male (considerabili ‘pseudo-borderline’), nella relazione madre-figli –  tenderà a permanere entro dinamiche relazionali disturbate, e a vivere la sua femminilità con insoddisfazione e sofferenza. Naturalmente anche un padre deve esplorare dentro di sé l’archetipo della Grande Madre in quanto essa è un’energia che non riguarda solo il femminile, ma l’origine e la fine di tutte le cose, e quindi il ciclo di morte-rinascita che ha una sua realtà psichica, non solo biologica, in quanto l’esperienza stessa del vivere è nel continuo morire e rinascere di emozioni, sentimenti, stati d’animo, pensieri e mondi dentro di sé.

Degas

Edgar Degas, La famiglia Bellelli, 1858-1869.

01_149674_La Grande Madre. ASTPer concludere questo excursus che riguarda un argomento più che mai senza fine, ricordiamo che Jung ha considerato l’archetipo della Grande Madre in connessione con le diverse configurazioni archetipiche della psiche. In particolare gli archetipi che mediano con la potenza della Grande Madre sono l’Anima/Animus e il Sé (In questo blog si possono trovare altri articoli e indicazioni intorno a questi archetipi…). Anima nell’uomo e Animus nella donna sono gli archetipi dell’amore e del viaggio nel mondo interiore, con essi viviamo un’esperienza psichica di trascendenza tra ciò che è mortale e ciò che percepiamo come immortale, nei sentimenti e nell’al di là. Il Sé costituisce il centro  della psiche, in quanto archetipo che fa da pontefice tra l’Io individuale e l’inconscio collettivo, quindi che orienta la psiche  percepire la trascendenza come coniugazione tra materia e spirito. In tal senso Anima/Animus e Sé sono gli archetipi che consentono esperienze di conoscenza interiore attraverso le quali viene affrontato ed elaborato il mistero fascinoso e terrifico della Grande Madre.  Come abbiamo fatto cenno l’archetipo che costella principalmente la grande madre è quello del Puer che lotta tra spinte unitive e separative da essa. La soluzione tuttavia non dovrebbe essere quella di far maturare a tutti i costi il puer, e quindi irrigidire il ‘bambino interiore’, ma farlo sostenere da altre funzioni archetipiche , quale quella del Senex (Il ‘Vecchio saggio’ o la ‘Medicine woman’), che hanno a loro volta bisogno della forza salvifica e proiettiva del puer per non sclerotizzarsi (questo concetto è stato elaborato in termini di asse Senex-Puer soprattutto da James Hillman). Anche la forza mercuriale del ‘briccone’ archetipico (studiata in primis da Jung) è importante per elaborare un mediazione risanante tra immanenza e trascendenza, quindi tra istinto e anima, in una dimensione simbolica che si armonizza con il mistero della Grande Madre unificante materia e spirito…   Quanto più siamo in grado di compiere questa elaborazione interiore della Grande Madre – e non soltanto della madre che ci ha messo al mondo –  tanto più non subiremo il ‘complesso materno’ (e le sue ulteriori complicazioni nel ‘complesso paterno’) entrando nell’Ombra (altro archetipo junghiano che indica l’area più inconscia e contraddittoria della soggettività e del Sé) e non proietteremo la sua ambivalenza sugli altri, in particolare verso madri, padri, figli e partner… La Grande Madre resterà comunque sempre la sfida di un mistero inconoscibile e quindi genera fascinazione e timore. Piuttosto che cadere nel misoneismo (paura dell’ignoto) o in un riduttivismo esistenziale che si limita ad una concezione meccanicistica dell’essere nel mondo, ciascuno dovrebbe per il suo benessere psicologico scoprire nel proprio Sé e nella propria Anima una sua propria risposta per  esser ‘uniti e separati dalla Grande Madre’, attraverso quella maturazione e quella autenticità che Jung ha chiamato “processo di individuazione”: essere se stessi, unici e assoluti,  nel morire e rinascere  e nell’ infinità dell’universo di cui siamo parte.

(Pier Pietro Brunelli)

LA FIGURA DELLA  GRANDE MADRE TERRIBILE NEL FILM “QUALCUNO VOLO’ SUL NIDO DEL CUCULO”

Testo di Elena Massone

“Qualcuno volò sul nido del cuculo” è un bellissimo film interpretato da un Jack Nicholson straordinario, carismatico, che parla in modo critico e allo stesso tempo profondamente umano dell’istituzione del manicomio e della malattia mentale.

Madre CucoloSeppur da profana mi sento di dire che questo film ha toccato così profondamente gli spettatori perché ha un valore anche psicoanalitico e iniziatico: ci narra del “Viaggio dell’Eroe”, in particolare del momento in cui si affrontano i complessi genitoriali interni.

 E’ un viaggio iniziatico particolare perché viene compiuto attraverso tre figure distinte: Mc Murphy, l’adolescente Bill e “Grande Capo”.

La Madre Terribile e castratrice è rappresentata perfettamente dalla capoinfermiera Mildred e più in generale dalla struttura stessa del manicomio, la Von Franz ne “Il mondo dei sogni” parla delle istituzioni come di un’emanazione del materno salvifico e imprigionante al tempo stesso. Tutto ciò che avviene nel manicomio, infatti, non è altro che un’emanazione dell’eccesso di Femminile: si dorme legati, appena si affaccia un tentativo di timido dissenso, viene placato con pacatezza e in modo elusivo ma umiliante, tutti vengono nutriti sistematicamente con farmaci che annebbiano e inibiscono l’aggressività e la sessualità, la crudeltà viene inflitta attraverso la gentilezza, la musica di per sé piacevole in realtà impedisce di parlare. Ogni interazione tra personale e pazienti è basata sul  ricatto morale e il rimprovero, sono trattati come bambini.

 Madre Cucolo 2Accanto all’infermiera Mildred c’è il personaggio dell’infermiere-guardia Washington che non a caso si chiama così… e non a caso è afroamericano perché rappresenta esattamente la società occidentale, la finta uguaglianza ipocrita e il buonismo che nasconde il lato crudele della lotta fra emarginati. In questo materno onnipresente si inserisce Mc Murphy ( Nicholson) che porta Eros all’interno della struttura, disobbedisce alla “mamma” e la vede per quello che è realmente, instaurando un rapporto dialettico e diventando la voce di tutti gli altri pazienti. La parte di Anima positiva è invece rappresentata dall’amica di Mc Murphy, l’archetipo della Prostituta ingenua e buona. Mc Murphy sovverte tutte le regole rappresenta il Folle, il Caos, il Trickster, il Puer, il figlio ribelle e allo stesso tempo schiavo dei dogmi genitoriali: non mette mai radici, è piuttosto egoista ed insensibile, elude ogni responsabilità, segue solo il proprio piacere ma ha una natura profondamente buona, volta al bene.

Ci accorgiamo subito che Mc Murphy è invischiato nella lotta all’autorità in generale, è immerso nel complesso paterno negativo (nel film ben rappresentato dalla rivalità con Washington), in modo simile al suo amico nativo americano che invece è bloccato dalla paura di diventare alcolista come il padre e per questo si impedisce di vivere. La cosa che ci illumina sulla presenza del complesso materno negativo nei pazienti stessi è il fatto che molti sono lì spontaneamente! cioè provano un profondo senso di colpa per ciò che sono, in perfetta risonanza con l’istituzione e l’etichetta in cui si sono volontariamente rinchiusi.

4385_bigA questo proposito è bellissimo il dialogo dove finalmente viene detto loro da Mc Murphy che sono normali e dovrebbero stare altrove. Questi uomini sono quindi in uno stato particolare: una prigionia esterna scelta per effetto di una prigionia interna, invisibile.

Tutto il gioco di scambio di ruoli tra identità del medico e identità del “matto” che si vede nella gita in barca, evidenzia ancora di più come malattia e normalità siamo in prevalenza recitazione di un ruolo. La notte della festa nel manicomio con le due ragazze è onirico-rituale e su questo punto si gioca tutto il film: l’intera coscienza maschile del gruppo è proiettata su Bill, il ragazzo romantico e ancora vergine che balbetta.

Bill fa l’amore per la prima volta con l’amica di Mc Murphy e questo rappresenta simbolicamente un vero e proprio matrimonio psichico tra maschile e femminile ma il problema è che Bill non è un maschile pieno, è ancorato alla Madre.

Madre Cucolo 3Quando arriva mattina e si presenta l’infermiera Mildred apprendiamo che rappresenta proprio il Drago del viaggio dell’Eroe: Mildred è una cara amica della madre di Bill, il prolungamento di una donna profondamente disturbata e castrante che ha fatto rinchiudere il figlio sano lì dentro. Ecco allora che Bill potrebbe affrontarla e vincere, ha dietro di sé tutto il gruppo che lo sostiene: Mildred allude alla possibilità di dire all’amica che il figlio è stato con una donna e lo riporta subito al ruolo di “bambino cattivo”. Lui potrebbe controbattere: “diglielo. non mi importa.” sarebbe un simbolico e liberatorio “sono altro da te-da lei e vado bene così” , invece comincia a balbettare e china la testa. Impotente, viene portato via anche se riesce a gridare “No” con una voce finalmente piena. L’unico modo che gli rimane è infliggersi la morte e questo poi porterà a tutti gli eventi successivi del film ripercuotendosi drammaticamente su Mc Murphy che verrà distrutto da elettroshock e lobotomia. una-scena-di-qualcuno-volc3b2-sul-nido-del-cuculo-film-del-1975-di-milos-forman-il-protagonista-interpretato-da-jack-nicholson-viene-sottoposto-a-elettroschock-nellospedale-psichiatricL’unico che compie l’ultimo passo è “Grande Capo”, di per sè aveva già fregato tutto il sistema fingendo di essere sordo e muto (questo ci dice che in qualche modo è in un rapporto diverso con il femminile, si è già differenziato). Essendo un nativo americano è portatore di un mondo istintuale, arcaico, spirituale ma anche guerriero. Un’integrazione tra Maschile e Femminile.

“Grande Capo” appropriandosi di tutta la sua forza, supera la paura di essere come il padre e prende su di sè la responsabilità di uccidere Mc Murphy ponendo così fine alle sue sofferenze, poi stacca il lavandino in marmo che nessuno aveva mai avuto la forza di rompere e finalmente l’ acqua comincia a zampillare (una sorta di liberazione dell’Anima dalle restrizioni), infrange la finestra e corre via lontano. La gioia con cui tutto questo viene accolto dagli altri pazienti, ci fa capire che questo gesto rappresenta per loro una catarsi: qualcuno ce l’ha fatta e può diventare ispiratore del coraggio per liberarsi e vivere.

(Elena Massone)