Materiali una conferenza/dibattito – a cura di Pietro Brunelli
Una tragedia psicomitologica della coppia e della famiglia
La storia mitica di Medea, celebrata nella tragedia di Euripide (V secolo a.C.) nasce da un intreccio di racconti che si sono modificati in varie epoche (Omero, Esiodo, Pindaro, Apollo Rodio, Apollodoro fino a Diodoro Siculo, Ovidio, Pausania e molti altri autori dell’ antichità). La Medea viene rivisitata con un film da Pasolini, e qui proponiamo in particolare argomenti e informazioni per riflettere su Medea secondo Pasolini. Dobbiamo comunque fornire brevi cenni sull’antichità.
Erodoto apre le sue Storie narrando dell’ inizio delle guerre tra Oriente ed Occidente (tra cui quella di Troia) a causa di diversi rapimenti di donne: la principessa greca Io, quella fenicia Europa e quindi Medea rapita dai Greci. Medea era figlia di Eete, Re della Colchide, una regione a sud-est del Mar Nero. Ma Erodoto cerca di trasformare il mito in Storia, e quindi si sofferma appena su questioni leggendarie come quella degli Argonauti, un gruppo di Eroi greci, che dovevano recuperare il Vello d’Oro, originariamente di loro proprietà, ma da molto tempo posseduto da Eete. Medea che si trovava ‘ai confini del mondo’ nella magica soglia dell’Oriente, figlia del grande sole d’oriente, diventa attraverso molte sfide e peripezie la compagna del greco Giasone. Questi guidava il viaggio dei mitici Argonauti, gli eroi del vascello Argo (così come racconta il Centauro Chirone).
MEDEA di Pasolini (1969).
httpv://www.youtube.com/watch?v=wHhFgJi7UWY
Pasolini legge la Storia i Medea evocando il realismo magico del mito, inserito nel suo tempo antico, ma la sua Medea appare come una metafora della crisi del nostro tempo. La Medea di Pasolini è atemporale, tuttavia sembra asserire una drammatica escatologia, cioè la fine della storia, o l’inizio della fine, in un epoca dove ogni valore sacro e le stesse basi dei rapporti materiali tra esseri umani e tra questi e l’ ambiente si sono inevitabilmente corrotte.
La Leggenda di Medea è una tragedia delle relazioni parentali, dove Medea è l’artefice di una evoluzione della istituzione familiare e l’ emblema della contraddizione uomo-donna. Nella Grecia del V secolo la Medea di Euripide nella sua dolorosa drammaticità risuonava come un monito di civiltà, come l’ inizio di una storia che rigetta le ultime barbarie: la magia e la società tribale per incamminarsi verso la scienza e la democrazia. Per Pasolini Medea esprime invece una lacerazione irreparabile epocale e attuale, che riferita agli anni sessanta (quando il film è stato realizzato) assume significazioni sociologiche, politiche e filosofiche di grandissima portata ed anche di cocente pessimismo… oggi il figlicidio di Medea rappresenta l’immagine di una ‘madrepatria’ e di una società matrigna che uccide il futuro dei suoi figli…
Ma ritorniamo alle leggende su Medea per una lettura del film di Pasolini, cercando di individuare alcune sue grandiosi ispirazioni ed elaborazioni in riferimento alle antiche fonti letterarie del mito.
Eolo (da cui è derivato il nome di uno dei Sette Nani di Biancaneve [sic!]) era il capostipite semidivino di una grande famiglia greca da cui discendeva Esone, padre di Giasone (il “guaritore”, il cui nome originario era Diomede). Gli intrecci famigliari della genalogia di Giasone sono importanti per capire il mito di Medea nel quadro di un’antropologia della famiglia.
Eolo, il nonno di Giasone, era padre anche di Atamante, Salmoneo e Creteo. La principessa Tiro figlia di Samoneo ha da Poseidone due figli, uno dei quali è il re Pelia (quello che chiederà a Giasone di riprendere il Vello d’oro). Tiro però avrà successivamente figli anche dallo Zio Creteo, tra cui Esone, padre di Giasone. Intanto il figlio di Atamante (cugino di Giasone), Frisso, era scappato, o secondo alcuni magicamente portato da un ariete volante in Colchide, la terra di Medea. Il vello di questo Ariete è il Vello d’oro.
Pelia si impossessò del regno di Iolco che secondo la legge sarebbe dovuto spettare ad Esone padre di Giasone. Pelia avrebbe voluto uccidere Giasone appena nato, ma la madre di quest’ultimo, Polimedia, fece finta che il bambino era nato morto facendo piangere tutte le ancelle sul suo corpicino. Quindi segretamente il bambino fu portato dal Centauro Chirone, sul monte Pelio, che lo allevò come avrebbe fatto in seguito con Achille, Enea ed altri Eroi.
Ecco che in questo ‘Caos’ familiare, emerge una ‘legge’ primordiale, che potremmo chiamare la ‘legge dello zio’. Di regola Pelia essendo nato da Tiro e Poseidone prima di Esone avrebbe dovuto avere il regno, eppure siccome Tiro ha concepito Esone con lo zio Creteo, questa discendenza risulta più forte ed avente maggior diritto.
La famiglia originaria, arcaica, come spiegano i primi studi antropologici del Morgan, conferiva un grande potere alla figura dello zio materno, (dal latino avunculus) o comunque di un maschio legato con vincoli di sangue diretti alla madre. Voglio dire che il marito, il padre biologico dal punto di vista legale, rispetto ad una vera potestà rispetto alle decisioni nei confronti del figlio, contava ben poco e, comunque assai meno di quanto accade con l’affermarsi del patriarcato instauratosi con l’uccisione del padre totemico, Secondo Freud, in Totem e Tabù (1913) il primo padre-padrone era il capobranco dell’orda primitiva, il quale considerava tutti i componenti della tribù come di sua proprietà, fino ad avere esclusivi diritti sessuali sulle femmine -incluse le figlie. I figli, tra loro fratelli da parte di padre si ribellarono e uccisero il padre. Poi in preda a sensi di colpo istituirono rituali e regole (Tabù) per onorarlo, ma per cancellare la colpa del parricidio, sostituirono il padre con un animale totemico. In tal senso il vello d’oro potrebbe essere il segno del padre originario (il ‘nome del padre’ nel senso di Lacan). Ma la sostituzione del padre padrone primordiale non ebbe come conseguenza la leggittimazione di nuovi capofamiglia padri, quanto quella dei fratelli della sposa, cioè gli zii. Questo ebbe modo anche di appurare Malinowski nei suoi studi sugli abitanti delle isole Tobriand in Polinesia.
In tempi arcaici la paternità biologica era sconosciuta, non si sapeva di una diretta relazione tra atto sessuale e gravidanza, così che la donna era considerata una riproduttrice magica. In questo senso si parla di matriarcato e di una ‘ età dell’ oro’ in cui vi era un relativo potere delle donne o comunque una pace e una parità tra i sessi. Ma dopo questo Paradiso, la donna venne sottomessa ai maschi della sua famiglia, specialmente ai fratelli i quali la davano in dono ad un altra tribù e quindi ad uno straniero. In tal modo secondo Levi-Strauss nasce il tabù dell’ incesto e quindi le diverse strutture familiari, la cui matrice di base è la famiglia avuncolare (dello zio), imperniate su un sitema di reciprocità, per cui figli e sorelle devono essere donate da una famiglia ad un’altra e quindi non possono avere relazioni sessuali con maschi all’ interno della famiglia. In realtà questo non era per nulla ben recepito dai padri e dai fratelli, poiché il primo tipo di famiglia sarebbe stato quello fondato sulle relazioni tra consaguinei (famiglia consaguinea del Morgan) sicché per cambiare le cose fu necessario rapire le donne, o inserire regole rituali che servissero a superare le resistenze dei maschi della famiglia a favore di altri maschi. Medea, si trovava dunque in una situazione di estrema soggiacenza al mondo maschile, e i suoi atti rivelano la dimensione epocale ed epica della evoluzione dell’ istituzione familiare.
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Giasone, l’eroe, l’uomo nuovo che simboleggia il processo evolutivo delle relazioni interumane e dello spazio sociale viene allevato da un Centauro, non da una donna… Si narra che una volta cresciuto per aiutare Era, moglie di Zeus (che si era travestita da vecchia), nel guadare un fiume perdette un sandalo. Così si recò senza un sandalo da Pelia a rivendicare il suo Regno. Pelia riconobbe subito il nipote minaccioso perché un oracolo gli aveva predetto che questi si sarebbe presentato un giorno con un piede nudo. Giasone chiese il regno per suo Padre, offrendo a Pelia di rimanere in possesso di terre e armenti. Pelia acconsentì, ma con la pretestuosa richiesta a Giasone di recuperare il Vello d’Oro poiché un sogno, in cui era apparso Frisso, lo tormentava da tempo, rivelandogli che se il Vello non fosse tornato ad Iolco, il regno sarebbe caduto in disgrazia. Giasone acconsentì, sicché venne costruita Argo (che significa la rapida) e venne formato l’ equipaggio di eroi, gli Argonauti, tra cui Eracle, Castore, Polluce, Orfeo, Teseo ed altri celebri figli di regnanti e di dei. Si trattava di una missione lunga e pericolosa, poiché bisognava arrivare nell’ al di là, in un tempo mitico a ritroso della storia, nel mondo dei barbari, un luogo pre-civilizzato che pareva quasi la terra dei morti. In questo luogo geograficamente, immaginario, corrispondente però alla Colchide nella Caucaso, regnava Eeete, padre di Medea. Sotto il regno di Eeete ancora si praticavano sacrifici umani, là dove venne sacrificato Frisso (che era scappato dalla Grecia con il Vello d’Oro). Frisso, aveva sposato una figlia di Eeete, ma venne sacrificato poiché vigeva l’ epiclerato, secondo cui i figli concepiti dalla figlia erano del padre di questa, come dire che il potere familiare era dei nonni, e non dei mariti. In ogni caso la famiglia era subordinata ai maschi consaguinei alla donna, in questo senso si può parlare di un matriarcato che non è proprio tale, cioè non significa che il potere era maggiormente dalla parte delle donne, quanto dei maschi della loro famiglia d’origine, padri e fratelli. Certamente in un tempo mitico, ancora anteriore, che solo le dee possono rappresentare, la donna avrebbe avuto un potere magico e una automomia speciale, ma con la creazione della famiglia monogamica e il riconoscimento biologico e giuridico della paternità, anche le figure olimpiche subiscono una generale ristrutturazione in senso maschilista. Il viaggio degli Argonauti, il tempo omerico degli Eroi, corrisponde a questo processo, e la tragedia greca ne è il compimento, con un’esaltazione generale delle figure maschili rispetto a quelle femminili, le quali risultano, perdenti, come Antigone e Cassandra, e molto spesso negative, come Clitennestra e Medea.
In ogni caso, prima degli Eroi, secondo il mito delle razze di Esiodo, vi erano le età del ferro, del bronzo, dell’ argento e dell’ oro. Gli Argonauti compirono un viaggio verso l’ età del bronzo, dove viveano uomini ad essi inferiori: il popolo dei morti nello Hades. (Ade), un infernale sottosuolo. Eppure, osserva Kerenyi, quel territorio conservava ancora, in alcune sue regioni e usanze sapienziali, l’arcaica luminosità dell’ oro, di un’epoca cioè precedente, più miticamente connessa agli Dei. Eeete era un figlio di Elio e della moglie del Sole Perse, ed era fratello di Circe. Così Medea aveva in sé un’energia solare da cui discendeva e per zia la maga più celebre della tradizione omerica. Il palazzo di Eete può essere immaginato come la casa del Sole, ma nello stesso tempo come una casa dell’ invisibile di Ade. Qui, secondo alcune leggende si nascondeva il Vello d’Oro, mentre secondo altre era in un bosco custodito da un drago gigantesco.
Dunque, Medea viveva nel mondo della ‘mantis‘, cioè della mantica e della scienza magica, uno spazio e un tempo psicomitico nel quale era la donna la depositaria della sapienza maggiore, eppure questo mondo era già caduto sotto la dinastia dei patriarchi, era una terra di mezzo, dove non era ancora giunto l’inizio della Storia, giacché la Preistoria era sul finire, ma non ancora finita. L’ inizio della storia, almeno della storia occidentale, può essere inteso come l’evolversi di una lotta interna alla sapienza greca tra mithos e logos, tra una mantica invasata e una mantica tecnica. E di uso pressoché comune far corrispondere la sapienza femminile al mito e la sapienza maschile al logos , e, el resto così veniva inteso nel V secolo, il secolo della grande trasformazione del mondo grecoche darà inizio alla ‘nostra Storia’. Tuttavia il femminile e il maschile dovrebbero sempre essere intese alche al di là di un puro riferimento di genere sessuale, e considerate anche come qualità ed energie psichiche.
Il mito di Medea è stato recentemente interpretato in chiave antimisogina e femminista, e ciò offre importanti riflessioni. Ad un livello più profondo la lotta tra femminile e maschile in Medea esprime anche lotta tra Oriente ed Occidente, tra anima e corpo, tra irrazionalità e razionalità, tra divinità e terrestrità e, se si vuole, in senso psicofisiologico tra emisfero destro ed emisfero sinistro.
L’ eroe, psicoanaliticamente, rappresenta l’ io eroico che si dibatte per emergere dal mare degli dei, e questo mare è la madre.
Argo è come il bambino che lotta per separarsi per staccarsi dalla madre, e che poi ha bisogno di un unirsi nuovamente per riparare a questo suo atto di distacco. La madre è il tutto, mentre l’io è l’individuale, il maschile... (JUNG, Hilman…)
Che la leggenda di Medea sia imperniata su una lotta, non tanto tra l’uomo e la donna, ma sul sapere femminile e il sapere maschile, lo rivelano anche alcuni espliciti episodi dell’ avventuroso viaggio degli Argonauti. Le informazioni su come passare le Planktai (le rocce mobili) e soprattutto come ritornare ripassando attraverso esse, cosa ancora più pericolosa, si ebbero da una donna, ovvero la Maga Circe (la quale le diede anche ad Odisseo). La prima isola su cui gli Argonauti sostarono fu Lemno dove regnavano le donne. Esse come le figlie di Danao e le Amazzoni non tributavano ad Afrodite, la quale le aveva punite dando loro un odore non afrodisiaco e anzi cattivo. Erano nate perciò guerre con i mariti, e quindi con tutti gli uomini che cercavano altre concubine nella vicina Tracia. Infine le donne cospirarono tra loro e stertminarono non solo i peccatori, ma tutti i maschi: padri, mariti e figli. Quando però giunsero gli Argonauti, superati i primi alterchi, decisero di concedersi nuovamente all’ amore, anche perché la loro stirpe rischiava ormai di estinguersi. Questa situazione di amore, più o meno libero durò mesi e forse anni, fino a quando Eracle (l’uomo più forte del mondo) spazientitosi andò a cercare gli Argonauti nelle loro alcove intimandoli di proseguire il viaggio verso il Vello d’Oro. Dopo altre peripezie gli Argonauti incontrarono nuovi piaceri e nuove calamità al femminile, tra cui le Ninfe, la regina degli inferi, le Arpie, le Amazzoni…
Giasone e i suoi giunsero anche all’ isola di Filira, nome della figlia di Oceano che accoppiatasi con Crono concepì il Centauro Chirone. Questo avvenne perché avendo Rea, la madre degli dei sorpreso la coppia di amanti, e quindi suo marito Crono, questi scappò via come un cavallo sciogliendosi dall’ abbracciò di Filira con un balzo equino… Filira fuggì sul monte Pelio dove nacque Chirone e dove venne allevato Giasone… Da tutte queste vicende si intravede la circolarità della narrazione mitica, il gioco di incastri e di intrecci, che consentono alla leggenda di iniziare e di terminare in ogni punto della narrazione, ma in termini di contenuto si osserva ancora una volta la lotta e la congiunzione delle polarità maschile e femminile, tra gli dei come tra i mortali.
httpv://www.youtube.com/watch?v=Rd-ADEpJIgo
Prima di giungere sul Caucaso gli Argonauti videro l’ acquila di Zeus che divorava il fegato del titano Prometeo e udirono i suoi lamenmenti poiché esso era incatenato sulle montagne caucasiche. Finalmente Giasone giunse al cospetto di Eeete, il figlio del Sole, deciso a chiedere il Vello d’Oro, dapprima con buone maniere e solo in caso di un rifiuto con la forza. Così Giasone incontrò “Medea” dai buoni consigli figlia di Eeete e di Neera, donna saggia il cui nome si riferiva alla luna.
In tutte le narrazioni Eete era sospettoso e malvagio, e Medea aveva un fascino anch’esso malvagio. Tuttavia Afrodite chiese all’ irequieto figlioletto Eros di lanciare una freccia nel cuore di Medea affinché si innamorasse di Giasone e quindi lo aiutasse a conquistare il Vello d’Oro.
Nel film di Pasolini è la stessa Medea che ruba il vello facendosi aiutare dall’ ingenuo fratello Aspirto (SENZA ALCUNA MAGIA…). E’ chiaro che il Giasone di Pasolini è un vero disgraziato, come del resto tutti gli Argonauti che sono costantemente ridicolizzati. Essi non hanno nulla di eroico e Argo è una specie di zattera senza onore né gloria. Il viaggio di andata verso la Colchide viene rappresentato solo con qualche razzia al livello di ladri di cavalli e ai danni di gente inerme. Questi ‘eroi’ pasoliniani sono ‘eroi’ di Stato, una specie di marines che sembrano fare la guerra per divertirsi e viaggiare…
Nella leggenda Giasone dovrebbe affrontare il drago nel boschetto di Ares, come nella storia di Cadmo e Armonia, era un luogo di morte riservato all’ Ades. Il drago quasi lo divorò, ma poi Giasone riusciì a salvarsi grazie a magici unguenti di Medea, ed anche perché sarebbe riuscito ad uccidere il drago approfittando dell’ incantesimo con cui Medea lo aveva sottomesso.
Si racconta anche che secondo i rituali delle nozze, lo sposo doveva superare diverse prove. Eete ne impose tre: quella del drago che è stata ora accennata; quella di fare un solco nel campo arato tanto profondo come quello che facevano i tori emanati fuoco posseduti dal re; la semina dei denti del drago morto, dai quali nascevano guerrieri contro cui combattere. Questa prova deriva da quella sostenuta da Cadmo a Tebe, poiché Atena aveva trattenuto una parte dei denti di quel drago. Così come fece Cadmo, Giasone fece lottare i guerrieri nati dai denti l’uno contro l’altro e poi eliminò i superstiti gettando una grande pietra nel campo di combattimento. In tutte le prove Giasone ricevette l’ aiuto magico di Medea.
Secondo altre narrazioni il Vello d’ Oro si trovava nel palazzo di Eete.
Questi dopo che Giasone ebbe superato la sfida di aratura con i tori, (simbologia della fecondazione), lo invitò ad una grande cena con l’ intento di ingannarlo, e quindi di bruciare quella sera stessa la nave Argo. Ma anche questa volta Medea venne in aiuto a Giasone e ai suoi, avvertendoli per la fuga. Inoltre ella consentì di trafugare il Vello durante la notte, che in questa narrazione si sarebbe trovato nel palazzo di Eete.
Durante la fuga di Medea e Giasone, si narra che la principessa dovette offrire un sacrificio ad Ecate.
Ecate era la dea delle arti magiche, madre di Circe e sceondo alcuni anche di Medea. Sarebbe stata Ecate su intercessione di Medea a dare a Giasone l’ unguento magico per proteggersi nella gara con i tori. Questo sacrificio servì a trattenere Eete e i Colchidi dal’ inseguire i fuggiaschi. Il sacrificio-stratagemma consistette nell’ uccidere e smembrare il fratello giovane di Medea, disseminando i resti, affinché il padre Eete avesse dovuto recuperarli, rinunciando così al suo inseguimento.
Nel film di Pasolini è Medea stessa ad uccidere e a smembrare Apsirto, rivelando ancora l’inezia degli ‘eroi’. ‘Questa’ Medea uccide il fratello per sacrificio, per ribellarsi al giogo della sua famiglia, ma soprattutto perché nella sua efferratezza è accecata dall’ amore per Giasone.
I due andarono da Circe per farsi purificare da quello assassinio. Circe li purificò, ma poi li cacciò via in quanto Medea aveva tradito il padre.
Sulla via del ritorno, presso le Planktai (rocce mobili) si narra che queste, grazie alla magia di Medea, rimasero per sempre aperte (lo stretto del Bosforo).
Si vede dunque che la geografia del mito è fantastica poichè Circe avrebbe abitato a volte in Oriente altre in Occidente (vicino Roma) mentre gli eroi avrebbero navigato anche sul Dannubio e sull’ Eridano, l’odierno fiume Po, per avventurarsi anche in Gallia e in Libia…
Medea seguì Giasone come sposa vergine, in queste ed altre peripezie, ma il vero matrimonio e il primo incontro amoroso tra i due si ebbe sull’ isola di Feaci, l’ odierna Corfù. Qui regnava il Re Alcinoo, dal quale i Colchidi pretesero la consegna di Medea. La moglie del re, Arete, insistette per salvare Medea. Così, si fece immediatamente celebrare e consumare il matrimonio tra Medea e Giasone, affinché essa essendo ‘regolarmete’ sposata non potesse essere riconsegnata la padre secondo le leggi vigenti. Venne preparato il letto nuziale e su di esso steso il grande vello per i due amnti, ora sposi.
Nel film di Pasolini è da questo momento che inizia la tragedia personale di Medea.
Ella si rende conto che Giasone e i suoi non credono in nulla, essi amano solo mangiare, bere e cantare (CONSUMISMO…). Medea prima di congiungersi a colui che ora appare solo come un bell’ imbusto, corre disperata sulla terra arida rammaricandosi penosamente di aver perso il contatto con gli archetipi del sole e della terra questi non le parlano più. Essa prova a scuotere l’ indolenza degli Argonauti, incutendo loro il timore della sventura in quanto essi ‘non cercavano un centro’, costruivano le capanne senza un rituale, senza un valore sacro autentico… ma essi rispondono solo con sguardi sornioni pieni di tracotante menefreghismo. Medea si congiungerà a Giasone, il quale si accinge alla ‘prima volta’ fischiettando, senza sentimento né passione. Medea, con lo sgurado tra l’ impietrito e la pena della sua interprete Maria Callas, lo accoglie in sé, abbracciando colui che amava e che ora purtroppo inizia a rivelarsi per quello che è, e gli appare come un impavido sconosciuto.
Nella leggenda, quando gli Argonauti giunsero a Creta, Medea uccise l’ uomo di Bronzo dissanguandolo attraverso un incantesimo. Poi quando tutti arrivarono finalmente a Iolco, Medea fece uccidere Pelia dalle stesse sue figlie con un inganno. Essa le persuase di poter ringiovanire il padre taglaindolo a pezzi e facendolo bollire in un pentolone, così come aveva dimostrato di saper fare tagliando e bollendo un vecchio agnello e facendo emergere dal pentolone un agnellino vivo (grazie ad un ingegnoso trucco e non a una magia). Altre leggende narrano che Pelia era già morto, che questi aver spinto a morte Esone e sua moglie, genitori di Giasone, e il fratellino piccolo in tenera età.
Nel film di Pasolini, Pelia è un mentitore che non tiene fede ai patti con Giasone. (Lo STATO…) Questi tuttavia è disinteressato al Regno e ai suoi genitori, (la Piccola BORGHESIA politicante…) in segno di spregio butta il vello per terra ai piedi del re e dice che esso non vale più niente lontano dal Paese in cui si trovava. Giasone dopo aver strizzato l’ occhio ad una schiava, prende per mano Medea, che osservava passiva il contenzioso tra il re e l’ eroe, e prosegue la sua vita di avventuriero recandosi con lei a Corinto.
Corinto era originariamente città in cui regnava Elio (il Sole) padre di Eete. In tal senso Medea poteva rivendicare dei diritti su tale città. Qui, Giasone, dal momento che il divorzio era lecito, abbandonò Medea, decidendo di sposare Glauce, figlia di Creonte re di Corinto. Medea per vendicarsi, fingendo di perdonare Giasone, inviò per mezzo dei suoi due figli un dono mortale a Glauce, si trattava di uno splendido abito e di una corona d’oro. Glauce, un volta indossati i paramenti, morì avviluppata dal fuoco, e con lei morì suo padre, nel tentativo di strapparla alla morte. Vi sono, comunque, anche in questo caso diverse narrazioni sulla vendetta di Medea.
Nella narrazione di Pasolini Medea sogna e desidera questa vendetta, ma la compie solo con l’ immaginazione. Glauce e suo padre, moriranno suicidi a causa della loro pazzia acutizzatasi per i sensi di colpa e il turbamento nei confronti di Medea.
Secondo alcune ipotesi narrative, Medea non uccise i suoi figli, ma questi vennero uccisi dai Corinzi, e addirittura essi pagarono Euripide affinché nella sua tragedia accusasse Medea. Altre leggende dicono che Medea sacrificò i suoi figli ad Era, credendo di renderli immortali. Era però fece morire i figli di Medea, poiché di quest’ultima era gelosa dato che Zeus se ne era invaghito (sebbene Medea avesse chiaramente rifiutato gli approcci del dio). Un altro filone di leggende ascrive la morte dei figli ad un incidente e quindi ad una serie di equivoci durante le pratiche sacrificali. Infine nel mito prevale l’ipotesi di omicidio premeditato, quella più indegna dunque, costruita impietosamente da Euripide.
Pasolini riprende la narrazione euripidea, ma la intreccia con l’ atto sacrificale di Medea, la quale lava i suoi figli prima di ucciderli, e li consegna alla morte per non farli vivere in un mondo di sofferenza e di ingiustizia i PUNK sono i FANTASMI dei figli di MEDEA…)
Del resto anche in Euripide è evidente questo sentimento di Medea, che si stempera in un misto di pietà e di vendetta. Infatti dopo l’ assassinio di Glauce e di suo padre i Corinzi avrebbero ucciso comunque i bambini e Medea non avrebbe potuto ripararli in nessun luogo, data la sua fama di indegna traditrice del padre e di omicida del fratello.
Ricordiamo che Levi- Strauss pubblica Le strutture elementari della Parentela nel 1967, due anni prima della Medea di Pasolini.
In questo periodo la sinistra giovanile e gli ambienti studenteschi avevano ormai maturato un dibattito politico sul modo di vivere il privato, che investiva direttamente le relazioni di parentela, la coppia, la libertà dai vincoli famigliari e la rottura con la generazione precedente, la specificità sessuale, quindi il femminismo, l’ omossessualità, e tutto ciò che in generale venva definito dal motto “Il personale è politico”.
Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ’70 vengono pubblicati innumerevoli studi, articoli e saggi sulla famiglia e sulle sue possibili alternative: si ricordi in Italia il censurato Manuale di difesa contro la famiglia di Stampa Alternativa, La politica della Famiglia (1969) di Laing, la Morte della famiglia di David Cooper… (gli scritti di Reich, di Marcuse, di Fromm, di Adorno e Horkheimer, di Habermas e altri le diverse elaborazione dell’ opera di Engels Le origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato.
[1] Il ‘mono sandalismo’ ha un certo significato simbolico nelle narrazioni leggendarie, nei miti, come nei sogni. La zoppia, o la fragilità ad un piede, o comunque un certo disequilibrio provocato dal monosandalismo rivela un ‘complesso materno’, un’incapacità del puer di intraprendere la sua strada a piedi, e con le su scarpe a staccarsi dalla madre. Anche Edipo, ben noto per il suo ‘complesso materno’ era menomato ad un piede.
Un prolisso arzigogolo per giustificare un film vacuo e pretenzioso. Ho rivisto il film Medea a distanza di 40 anni e sono arrivato alla conclusione che certe opere di Pasolini siano drasticamente da ridimensionare.
Beh… è un film che fa riflettere. Il testo deriva dal tentativo di indagare su un approccio antropologico e transculturale… ha i suoi limiti certamente.