jung albedoAlbedoimagination è un blog fortemente ispirato dalla psicologia junghiana, cosicché quasi tutti gli articoli contengono riferimenti a Jung, considerabile come il più grande esploratore degli aspetti trascendenti e incommensurabili della psiche, e quindi del mistero che coniuga l’anima individuale all’universo. Perciò qui propongo una ‘miniatura’ su alcuni elementi base del pensiero junghiano, affinché possa essere utile al lettore neofita e non specialista ad avvicinarsi più agevolmente al pensiero di Jung che accompagna gli articoli di Albedoimagination. Al fine dell’articolo riportiamo il video  DAL PROFONDO DELL’ANIMA   di grande valore divulgativo che potrà ulteriormente aiutare a conoscere il pensiero junghiano, ma che è anche veramente capace di toccare emozionalmente ed ispirare nuove visioni su se stessi, la collettività e il mistero del nostro essere nel mondo, tra finito ed infinito, tra anima, corpo e spirito.

Il fondamento del pensiero junghiano è eracliteo nel senso di un dinamico confluire degli opposti, ma è riferibile anche al pensiero taoista che vede nello Yin e nello Yang le polarità maschile-femminile, attività-passività, luce-tenebra. In Tipi Psicologici (1921) Jung evidenzia i fondamentali aspetti polari dell’introversione e della estroversione della psiche umana, e nello stesso tempo esprime un suo straordinario contributo per una elaborazione psichica del pensiero dualistico dell’uomo occidentale che per ragioni di scientificità separa la materia dallo spirito, il corpo dell’anima, e che quindi vede la divisione, là dove invece lo sguardo della psiche intende comprendere l’unione.

Per quanto riguarda la visione junghiana della struttura della psiche riportiamo il seguente passo ‘riassuntivo’ scritto dallo stesso Jung:

“Riassumendo vorrei dunque osservare che dobbiamo distinguere nella psiche tre strati: 1) la coscienza; 2) linconscio personale, che consiste di tutti quei contenuti che sono divenuti inconsci o perché hanno perduto la loro intensità e quindi sono caduti in dimenticanza, o perché la coscienza si è ritirata da loro (rimozione), e di quei contenuti, in parte percezioni sensoriali, che per la loro troppo scarsa intensità non hanno mai raggiunto la coscienza eppure sono penetrati in qualche maniera nella psiche 3) l’ inconscio collettivo, che è un patrimonio ereditario di possibilità rappresentative non individuale, ma comune a tutti gli uomini e forse a tutti gli animali, e costituisce la vera e propria base della psiche individuale” [Jung, 1927/1931: 170].

Dunque, la visione junghiana  della psiche si sviluppa attraverso tre aree interagenti:  coscienza, inconscio personale e inconscio collettivo. Carotenuto spiega sinteticamente che:

[…] l’inconscio personale è il luogo dei contenuti complessuali che derivano dalle esperienze infantili, l’inconscio collettivo è il luogo di strutture psichiche cui Jung dà il nome di archetipi [Carotenuto, 1991: 208].  […]Il complesso è definito da Jung come ‘l’insieme delle rappresentazioni che si riferiscono a un determinato avvenimento a tonalità affettiva’ (Jung 1904/1905:88) e costituisce la base della nostra dimensione personale inconscia. Il complesso è dunque un insieme di immagini e di idee raggruppate intorno a un nucleo e fortemente colorate da una comune tonalità affettiva, e agisce in maniera autonoma all’interno della personalità: può essere controllato con la volontà cosciente, ma mai represso completamente [ibidem].

Illustrazione di Jung, dal suo LIBRO ROSSO

Illustrazione di Jung, dal suo LIBRO ROSSO

Il “complesso a tonalità affettiva” (vedi anche Jung, 1934; Galimberti, 1992d: 196-197), iperattivato da fattori interni e esterni  all’individuo, può diventare un pericoloso nemico interiore. Se si riesce ad averne coscienza o anche ad esprimerlo creativamente significa che si è messo in moto un processo per cui non lo si subisce passivamente.

Il complesso, nonostante costituisca il nucleo della psiche personale, posa su una base archetipica, cioè esso è una sorta di ‘interpretazione personale’ di fattori (archetipi) che hanno la loro origine ‘strutturante’ nell’ inconscio collettivo.

E’ quindi ora  necessario fare un breve accenno alla concezione junghiana degli archetipi in quanto ‘determinanti dell’ inconscio collettivo’.  Una definizione univoca sugli archetipi non viene proposta da Jung, al fine di essere coerente con la loro qualità praeformandi, nel senso che essi precostituiscono la psiche individuale. Pertanto Jung suggerì che gli archetipi sono da intendersi kantianamente come ‘a priori’, che sfuggono ad ogni spiegazione univoca restando così indefinibili per la coscienza.

Gli archetipi corrispondono a disposizioni innate aventi un carattere sia istintuale e sia spirituale. Jung ebbe modo di suffragare le sue ipotesi sugli archetipi, dimostrando che essi, cum grano salis, hanno una valenza universale, poiché  costituiscono  il comun denominatore psichico dei miti, dei simboli e dei riti di tutte le antiche tradizioni. Jung osservò che tale denominatore psichico archetipico era riscontrabile anche nei sogni,  nelle fantasie, nei deliri e nelle allucinazioni dei suoi pazienti, scoprendo così una sorta di anima mundi che presiede all’ anima individuale, e che indicò come “inconscio collettivo”.Jung evidenziò attraverso metafore narrative e immagini di ispirazione mitologica le principali componenti archetipiche dell’ inconscio collettivo: il Sé, l’ Anima/Animus, la Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Puer, la Persona, l’ Ombra. Su alcune di queste immagini archetipiche ci soffermiamo attraverso gli articoli di Albedoimagination. In particolare Albedoimagination indaga, anche con la collaborazione dei partecipanti, l’archetipo dell’ANIMA/ANIMUS relativamente alla psicologia dell’esperienza amorosa. Ma vi sono anche articoli sul Sé, come quello sul simbolismo della Rosa, o sulla ricerca parateatrale di Rena Mirecka, così come sul Puer, il Senex, la Persona e l’Ombra (Vedi per questi ultimi due l’articolo sui simbolismi psicopatologici e psicoterapeutici del Carnevale e sul Dottor Jekyll e Mr. Hyde… – ricordiamo che inserendo una voce nel tasto “cerca” si possono trovare vari articoli contenenti quella voce).

In particolare, la psicoterapia junghiana mira a favorire una presa di coscienza della parte più oscura e inaccessibile dell’’opposto della coscienza’ che è nell’incoscio, cioè l’Ombra.[3] Essa è costituita da contenuti inconsci irrisolti che non si può, e a volte non si vuole riconoscere in se stessi, e che spesso si proietta o si riconosce negli altri. L'”Ombra” contiene il negativo della personalità, così anche le contraddizioni morali, i pregiudizi penosi che, come spiega Carotenuto:

[…] generano colpa, vergogna, senso di impotenza, vissuti persecutori, autosvalutazione. Lo stato naturale dell’’Ombra è di essere rimossa dalla coscienza e difensivamente proiettata all’ esterno, su soggetti e situazioni che ne forniscono l’aggancio [Carotenuto, 1991: 224].

La psicologia junghiana attraverso la nozione di “inconscio collettivo” indica la dimensione oggettiva della psiche soggettiva. In tal senso la biografia dell’individuo può essere letta per mezzo di una trama ‘archetipica’ che risponde ad un immaginario riconoscibile dall’ intera collettività. Questo immaginario si rappresenta nel mito o nella fiaba, ma lungi dall’ essere solo una rappresentazione si esprime attraverso i comportamenti e le idee tipiche di un determinata società e di un determinato periodo storico ed epocale (cfr. Bonvecchio e Risé, 1998). La cultura in tal senso è una proiezione della psiche, che ha la sua corrispondente struttura proiettiva sia nell’individuo e sia nella specie umana.In tal senso i “complessi a tonalità affettiva”, che come abbiamo riferito evidenziano la dimensione psichica individuale, sono variazioni di temi archetipici che configurano la dimensione della psiche collettiva. L’Ombra, è dunque, quella componente psichica archetipica, inerente alla società e all’individuo, che risulta essere maggiormente sommersa e inconscia, e maggiormente contraddittoria rispetto ai contenuti coscienti. L’inconscio collettivo  appare nei sogni, i quali sono quindi indicativi di una condizione individuale, ma anche di come questa sia archetipicamente emergente dall’inconscio collettivo. Per esplorare i simboli e le trasformazioni dell’anima-psiche, individuale e collettiva Jung ha studiato la filosofia, le religioni, le mitologie ed in particolare i linguaggi e le immagini simboliche dell’l’alchimia. Ovviamente Jung ha fatto fondamentali scoperte attraverso la pratica clinica con i pazienti, ma ha lavorato moltissimo su se stesso, anche attraverso esperienze artistiche, iniziatiche, viaggi nei luoghi delle antiche culture e nel rapporto vivificante e ispirativo con la natura.

 

http://www.bollatiboringhieri.it/ricercaav.php?collana=24&trova=Invia

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Da un punto di vista junghiano una presa di coscienza e un’integrazione dell’Ombra  favorisce la maturazione del “Processo di individuazione” (vedi Sassone, 1992). In termini junghiani si potrebbe dire che tale processo di individuazione matura quando parti inconsce indifferenziate, rendendosi riconoscibili al soggetto un’espansione della coscienza verso una maggior consapevolezza del  Sé. Qui di seguito una pregnante sintesi del concetto di “processo di individuazione” nello psicodramma ci rifacciamo nuovamente a M. Gasseau e G. Gasca:

“Jung riteneva l’uomo parte di un processo in continua evoluzione; ogni individuo dopo la crescita fisico-biologica era spinto, da quello che egli definì principio di individuazione, a sviluppare un ampliamento della sfera della coscienza che aveva come meta lo sviluppo della personalità del singolo, riconciliando la tensione degli opposti presente nello sviluppo umano. Jung aveva una visione ottimista delle forze che agiscono nelle profondità psichiche dell’individuo e postulò così una funzione trascendente, ovvero una funzione complessa composta di altre funzioni psichiche fondamentali annullante la scissione e incanalante le tendenze in contrasto nella mente umana in un alveo comune, spesso rappresentato da un simbolo; con ciò la stasi delle forze vitali ha termine, e la vita può proseguire con rinnovato vigore verso mete nuove” [Gasseau e Gasca, 199: 19).

jung-324La psicoterapia, ma anche l’arteterapia e la ricerca interiore favoriscono il processo di individuazione, nella misura in cui ‘aprono’ ad esperire la “Funzione trascendente“, funzione che  Jung spiega nei seguenti termini:

“La “funzione trascendente” psicologica risulta dall’unificazione di contenuti “consci” e contenuti “inconsci”. L’esperienza ha insegnato ad abuntatiam a chiunque si occupi di psicologia analitica che coscienza e inconscio coincidono di rado quanto a contenuto e a tendenza. Questa mancanza di parallelismo non è, a quanto dice l’esperienza, causale o accidentale, ma poggia sul fatto che l’inconscio si comporta con la coscienza in maniera compensatrice e complementare. Si può anche formulare la cosa in termini rovesciati e dire che la coscienza si comporta in maniera complementare verso l’inconscio. Questo rapporto deriva dal fatto che: 1) i contenuti dell’inconscio posseggono un valore limite, cosicché tutti gli elementi troppo deboli permangono nell’inconscio; 2) la coscienza, grazie alle funzioni ‘direzionate’, esercita una ‘inibizione’ su tutto il materiale inadatto (inibizione che Freud ha definito col termine di censura), a causa della quale questo materiale inadatto cade in preda all’inconscio; 3) la coscienza forma il “processo di adattamento momentaneo”, mentre l’inconscio contiene tutto il materiale dimenticato del passato individuale e tutte le tracce ereditarie, strutturali, di funzioni dello spirito umano in generale; 4) l’inconscio contiene tutte le combinazioni della fantasia che non hanno ancora varcato la soglia e che con l’andar del tempo, e in circostanze adeguate, emergeranno alla luce della coscienza. Da questo emerge da sé l’atteggiamento complementare dell’inconscio verso la coscienza [Jung, 1957/1958: 83].

E dopo questo MINIATURA… UN GRANDE VIDEO. DAL PROFONDO DELL’ANIMA  (curato dallo psicoanalista e formatore Daniele Ribola e dal regista di Werner Weick ):

https://www.youtube.com/watch?v=S-jgOnp0q6w

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Carl Gustav Jung nacque a Kesswill, in Svizzera, nel 1875. Iniziò la sua attività nel 1900 come assistente psichiatrico nel famoso ospedale «Burghölzli», diretto da Eugen Bleuler. Qui mise a fuoco la sua nozione di realtà psichica e alcuni strumenti per la comprensione dei disturbi mentali. Nel 1907 entrò in contatto con Freud, con cui stabilì uno stretto rapporto di studio e di lavoro clinico, ma nel 1912 la pubblicazione di Simboli e trasformazioni della libido, con l’interpretazione di quest’ultima come energia psichica anziché come pulsione sessuale, segnò la rottura del loro sodalizio umano e scientifico. Ne seguì un lungo periodo di «malattia creativa», caratterizzata da un serrato corpo a corpo con l’inconscio e le sue immagini archetipiche. Esperienza decisiva, da cui si cristallizzarono, negli anni della maturità, il sistema della psicologia analitica e un’eccezionale messe di indagini storico-religiose, soprattutto nel campo dell’alchimia, dell’astrologia e del pensiero orientale. Jung morì nel 1961, ormai trasformato nel «mito» di se stesso quale Vecchio Saggio di Küsnacht.