Magritte

Visione e Realtà

Sin da tempi remoti, filosofi, artisti, uomini e donne di medicina si sono resi conto che la realtà non è come la vediamo, ma anche che attraverso la visione possiamo sapere cose che vanno oltre la realtà. Non mi riferisco alla visionarietà magica o alle apparizioni mistiche, o alle allucinazioni indotte da stati di coscienza disturbati o distorti attraverso l’uso di sostanze psicogene o per mezzo di tecniche psicocorporee, mi riferisco a condizioni di percezione visiva nella normalità. Innanzitutto ogni oggetto che vediamo presume un punto di vista, nonché determinate condizioni di luce e un certo contesto, per cui lo stesso oggetto muta. Va poi detto che la visione dipende anche dall’esperienza e dalla conoscenza, per cui da determinati dettagli uno stesso oggetto appare in forme e significati differenti. Ad esempio un medico può trarre valutazioni da determinati segni sintomatici che appaiono sulla pelle di una persona, laddove senza una competenza specialistica tali segni non verrebbero notati. Oppure un bambino può non osservare la differenza tra una capra e una pecora. Un primitivo che va al cinema la prima volta non comprende che sullo schermo vi sono immagini proiettate e non la realtà. Insomma queste semplici considerazioni ci fanno comprendere di come il rapporto tra visione e realtà sia assai più complesso di quel che sembra. Questo rapporto si complica ulteriormente quando attraverso la creazione di immagini gli esseri umani hanno cercato di riprodurre la realtà o di fornire informazioni su di essa.

Le arcaiche raffigurazioni rupestri e delle caverne rivelano da una parte il tentativo di creare immagini elementari aventi similitudini con la realtà (per lo più animali, esseri umani, utensili, abitazioni) e da un’altra parte l’invenzione di codici visivi non aventi similitudine con la realtà, ma una loro autonomia consistente nei prodromi della scrittura. Quindi, sin dalle prime esperienze di raffigurazione gli esseri umani si sono resi conto che il mondo dell’immagine aveva sue proprie leggi, indipendenti dalla realtà. Basti dire che la realtà è tridimensionale mentre le immagini sono bidimensionali, sebbene sin da tempi remoti sono state elaborate tecniche congiunte di scultura e di figurazione. Con ciò è stato possibile sperimentare e verificare le fondamentali proprietà della forma relativamente alle leggi fisiche e quindi alla realizzazione dei primi elementi architettonici e dei manufatti. Ad esempio si è potuta osservare l’importanza dell’angolo retto, praticamente inesistente in natura, ma che è essenziale affinché certi costrutti possano essere posti in verticale e risultare solidi.

Simbologie e illusioni ottiche

Nell’evoluzione umana il disegno grafico, oltre ad essere rappresentazione e scrittura, è servito come strumento di progettazione e di misura. Si pensi dunque all’evoluzione della geometria e alle prime fondamentali scoperte sulle forme elementari che hanno consentito di misurare distanze e superfici di ordine geografico e astronomico. La figurazione quindi ha dato luogo ad un modo di pensare investigativo e modellante rispetto alla realtà e ciò, grazie alla constatazione che le forme, anche le più elementari, come un punto e una linea hanno leggi specifiche in se stesse e relativamente allo spazio. Soprattutto si è potuto constatare che la figurazione ha il potere di fare ordine laddove la realtà risulta relativamente disordinata. I rapporti spaziali potevano essere ripartiti in modo pressoché perfetto, attraverso la progettazione visiva di superfici divise in parti uguali, o con il tracciare linee perfettamente parallele, o forme perfette, come un cerchio o un quadrato. In tutte le tradizioni d’origine sono state osservati elementi figurativi basati sulla simmetria e sulla ripetizione al fine di fornire una visione della realtà schematica, ordinata ed equilibrata. Così sono anche nati i primissimi stili artistico-figurativi che caratterizzano i linguaggi visivi originari delle diverse culture. Infatti la realtà è stata osservata in senso strutturale al fine di sintetizzare le sue forme basilari costitutive in termini di rappresentazione visiva di forma e colore.

Tuttavia, seppure vi sono similitudini formali tra le arti primitive, notiamo che esse si differenziano fortemente a seconda delle culture, e persino delle tribù di una certa etnia. Ecco allora che la rappresentazione visiva è diventata anche espressione di un’identità culturale e quindi di modi di pensare alla realtà e non solo di raffigurarla. La geometria primitiva, di ogni latitudine, era quindi connessa ad un pensiero magico, all’idea di poter controllare la realtà e di poter evocare fenomeni e trasformazioni degli stati del mondo. Sebbene  con modalità assai differenti troviamo che alcune forme elementari erano oggetto di considerazioni magiche universali ed archetipiche. Il cerchio, ad esempio ha evocato idee e visioni di totalità, il triangolo ha evocato indici di verticalità ‘spirituale’ (si pensi all’occhio di Dio in un triangolo), il quadrato ha suggerito immagini di fortificazione e di controllo. Le forme allora, attraverso un design magico, diventano costrutti simbolici che giungono ad elevatissimi gradi di contenuto filosofico e religioso con l’evolversi delle culture. L’uomo leonardesco posto in un quadrato i cui angoli si sovrappongono alla circonferenza di un cerchio perfetto è un esempio principe di come finanche nel rinascimento lo studio delle forme elementari sia una modalità visiva per esplorare i nessi filosofici e scientifici della realtà.

Perturbazioni visive

Quanto abbiamo fin qui sintetizzato rivela come la figurazione abbia avuto una funzione non solo rappresentativa, ma investigativa e ordinatrice della realtà. Vi è però un’altra dimensione della figurazione che tende ad un superamento della realtà e questo sia attraverso la rappresentazione di mondi e di creature fantastiche e sia attraverso giochi visivi che mettono in crisi la percezione abituale, tendono cioè ad ingannarla e a deformarla. Per quanto riguarda il primo caso, quello delle immagini ‘surreali’, va osservato di quanto esse abbiano avuto un potere perturbante rispetto ad un pensiero logico e razionale, dando luogo a fantasie mitiche e religiose e quindi ad una visione del mondo trascendente volta ad esplorare non solo il mondo esterno all’essere umano, ma anche la sua dimensione interna, psichica e spirituale (non rappresentabile in termini puramente logici). In questo breve articolo però,  ci occupiamo di come forme e figure abbiano perturbato non il pensiero, ma la percezione, consentendo di esperire e di verificare fenomeni visivi che nella realtà sono inesistenti o sono solo abbozzati. Si pensi ad esempio al disegno della spirale nella pittura rupestre degli aborigeni boreali, e quindi di una figura difficilmente rintracciabile in natura, seppure osservabile, ad esempio, nel movimento di certi animali predatori che si avvicinano alla preda attraverso cerchi concentrici consecutivi. La spirale è ben nota per il suo effetto ottico che dà un’illusione di movimento.

Si tratta di un effetto visivo che si sviluppa quanto più si osserva la spirale in un atteggiamento di assorta concentrazione. Altri fenomeni visivi non immediatamente dati da oggetti, stati del mondo e immagini, si manifestano attraverso la loro attenta contemplazione. Tipico è l’osservare un volto nella luna o figure animali nelle nuvole, o un profilo significativo in una pietra o in una roccia. Da questi esempi si può comprendere che una ‘perturbazione visiva’ da una parte dipende da caratteristiche proprie di un oggetto o di una forma, ma da un’altra parte dipende anche dal modo di osservare, per cui è la percezione stessa che in sé provoca il verificarsi di determinati effetti illusori, entro certe condizioni.

La percezione può dunque andare oltre l’apparire della realtà, sia per eccesso, individuando fenomeni illusori che evocano aspetti inesistenti, e sia per difetto, cioè diminuendo lo stesso apparire, come nel caso della mimesi. I fenomeni mimetici sono allora stati concepiti o come la capacità della realtà di rendersi invisibile, o al contrario, come la capacità di una raffigurazione di fornire un effetto di realtà, che però è inesistente. Il mito greco della pittura, riferito a Zeus e Parnaso, presume una capacità demiurgica dell’artista, il quale attraverso il trompe d’oil crea una realtà più vera del vero. In questo caso però si deve presumere una percezione distratta, non ben attenta, cosi ché essa risulterà perturbata da un’illusione di realtà. Tuttavia, sia che la percezione visiva risulti vigile e concentrata e sia che risulti fugace e deconcentrata si evince che l’effetto illusorio si basa su un doppio gioco ottico, giacché il suo segreto sta da una parte nelle qualità di un’immagine e da un’altra parte nella natura stessa della visione. Nel corso delle epoche il tentativo di rappresentare la copia della realtà ha indotto ad una sperimentazione volta a creare effetti chiaroscurali, di profondità e di movimento in modo verosimile, eppure illusorio si pensi alla prospettiva che è stata messa a punto in termini scientifici da Paolo Uccello e che secondo uno studioso dell’arte come Barilli è stata il fattore primario per lo sviluppo del pensiero moderno.

Raffigurazioni magiche

Sin dall’antichità gli esseri umani hanno indagato sulla relazione tra realtà, immagine e visione; così, gli artisti e gli architetti, pur senza disporre di conoscenze scientifiche evolute,  hanno creato immagini capaci di stimolare particolari effetti visivi. Si pensi ad esempio all’evoluzione dell’immagine nel barocco, la cui aspirazione consisteva nel creare una sorta di incantazione e di rapimento capace di travolgere i sensi al di là di ogni possibilità visiva proveniente dal reale. Nel classicismo invece venivano prediletti l’equilibrio e l’armonia, secondo un’ideale virtuoso di ordinamento statico del disordine cinetico della realtà, che aspirava all’immortalità e quindi ad una vita spirituale imperitura.  Questi storici esempi servono solo ad indicare di come certi stili pittorici e architettonici siano stati progettati al fine di indurre stati dell’anima trascendenti la realtà e quindi non solo rappresentativi di essa, ed a tal fine si sono serviti di figurazioni e colorazioni capaci di provocare effetti propriamente psico-visivi.

D’altra parte sin da epoche remote la psicadelicità della visione veniva indotta da droghe e da tecniche psicocorporee, capaci di modificare gli stati di coscienza e con essi la percezione visiva. Certe modalità magiche ed artistiche di considerare i fenomeni visivi  hanno sviluppato diverse filosofie circa l’effettiva esistenza della realtà, inducendo la sapienza di ogni tempo a chiedersi se la realtà fosse solo un’apparenza fenomenica, o avesse una sua effettiva verità noumenica: ‘la cosa in sé’. Da un pensiero dapprima mistico e poi filosofico, che postulava l’esistenza di una realtà diversa rispetto al suo modo di apparire, si è passati nel corso delle epoche ad un pensiero scientifico che ha dimostrato i limiti delle possibilità percettive rispetto ad un’approfondita conoscenza della realtà, e li ha amplificati e perfezionati attraverso strumenti ottici come il microscopio o il telescopio che hanno rivelato entità e causalità prima inimaginabili. La scienza ha quindi potuto investigare il funzionamento della percezione visiva, giungendo a capire il funzionamento dei recettori visivi dell’occhio e dei lobi occipitali del cervello, comprendendo che è questa la sede effettiva delle sensazioni visive, mentre l’occhio è solo uno strumento di ricezione degli stimoli visivi.

Psicologia della figurazione

Sebbene pittori e studiosi di ogni epoca abbiano sperimentato i meccanismi della percezione visiva, soltanto nel ‘900 la psicologia della percezione e la neurofisiologia rivelano i fattori psichici e cerebrali della visione. Un grande salto nel modo di intendere la visione è avvenuto nel passaggio tra l’associazionismo e la teoria della forma. Nell’associazionismo si considerava la visione come la capacità del cervello di sommare gli stimoli visivi in un tutto unico – un po’ come fa una videocamera digitale che scompone l’immagine della realtà in particelle puntiformi che unite danno una visione complessiva. Nella teoria della forma (Gestalt) si considera che il cervello ha la capacità di completare gli stimoli visivi e di discriminarli in funzione di leggi specifiche, quasi fossero leggi fisiche, che esamineremo in questo libro, soprattutto attraverso esempi applicativi e creativi. Una legge specifica della visione riguarda la capacità di discriminare il rapporto figura sfondo. Per cui, seppure può sembrare scontato di considerare che il cielo continua dietro la luna o dietro il sole e che quindi vi è una percezione naturale del rapporto figura sfondo, ciò è possibile grazie a  sofisticatissimi dispositivi innati nella neurofisiologia della visione, la quale si sarebbe adattata nel corso dell’evoluzione  a certe qualità visive della realtà.   La teoria della forma ha poi avuto diversi sviluppi, nonché critiche, in particolare per quanto attiene alla nozione di innatismo, secondo la quale un certo modo di vedere la realtà sarebbe connaturato nell’essere umano e non appreso. Alcuni studi di carattere psico-antropologico tenderebbero a dimostrare che certe capacità percettive della visione sarebbero invece apprese e non innate, ad esempio certe modalità di lettura del rapporto figura sfondo.

Uno studio sui pigmei che vivono nelle foreste africane ha rivelato che essi nel corso della loro vita non hanno mai modo di vedere oltre una distanza di 15-20 metri giacché la vegetazione è fittissima ed altissima. Quando uno di questi pigmei venne portato per la prima volta in una pianura dove in lontananza si vedeva una mandria di bufali, chiese di che tipo fossero quegli insetti che credeva di vedere a pochi metri davanti a sé. A mano a mano che la jeep su cui si trovava si avvicinava ai bufali fu assai sconcertato nell’osservare che questi si ingrandivano e occorse molto tempo affinché potesse rendersi conto che non si trattava di un sortilegio magico, ma di un normale fenomeno visivo che non aveva mai avuto modo di osservare nella foresta. Dunque, si potrebbe dire che la capacità di recepire certe configurazioni relativamente alla realtà non siano innate, ma apprese nel corso dell’esperienza. Nel corso dei tempi artisti e progettisti dell’immagine hanno ‘speculato’ in forma pratica sugli effetti dell’immagine e sulle aporie della percezione visiva. In particolare i moderni illustratori, grafici ed artisti pubblicitari hanno indagato sulla possibilità di trarre vantaggio in termini di curiosità, sorpresa, glamour dalle perturbazioni visive, così che potremmo dire che in tutte le immagini mediatico-pubblicitarie più celebri possiamo individuare ‘doppi giochi’ e trucchi visivi che divertono e ingannano, fino al punto di creare accanto alla realtà effettiva, una realtà delle immagine, che ha sue proprie leggi e segreti e che caratterizza in modo non da poco, la società e la cultura del nostro tempo.

Perciò non lasciamoci ingannare dalle immagini, piuttosto giochiamo con esse e lasciamoci catturare dall’immaginazione creatrice, alla psiche piace.