Tiziano, Amor sacro e amor profanto, 1514 Tiziano, Amor sacro e amor profanto, 1514

Nella  fiaba di Amore e Psiche  di Apuleio si narra di come, attraverso le pene d’amore, l’essere umano sia costretto – sotto la minaccia di morire –  ad elaborare l’esperienza erotica come un ponte tra la sua vita istintuale e la sua vita spirituale.  L’elaborazione della sofferenza amorosa dell’anima comporta lo sviluppo di una visione trascendente e spirituale della vita. Morendo di dolore d’amore si è costretti a lottare prer  sentire interiormente l’anima che vuole rinascere, altrimenti si rischia di morire davvero. Perciò  si è spinti a scoprire che non vi è altra possibilità per vivere se non quella di  aprirsi alle fonti spirituali di un amore che sembra sgorgare da una sorgente sovraumana, divina, cosmica, trascendente. Quest’apertura è nella ‘valle dell’anima’, nel senso indicato da Hillman che parla di patologizzazione psichica ed esistenziale anche  come  sofferenza o condotta ‘anormale’, che può essere necessaria per ‘fare anima’. Si è quindi attratti da una relazione tormentosa, e da persone tormentanti, al fine – inconscio –  di  conoscere il proprio mondo interiore e non essere ciechi rispetto ad esso. Ma ciò comporta il rischio di perdersi, di essere dissanguati in una relazione vampirizzante.

Van Dyck  Amore e Psiche 1638-1640

Van Dyck Amore e Psiche 1638-1640

In seguito ad una patologizzazione da trauma amoroso è fondamentale medicarsi e nutrirsi attraverso la ricerca di una fonte spirituale d’amore. Solo in tal modo sarà possibile tornare ad irrigare l’anima inaridita e devastata dalla sofferenza amorosa.  E’ vero quanto dice Hilman in ‘Picchi e valli’[1] che bisogna patologizzare per ritrovare la ‘valle del fare anima’, ma è pur vero che viene il momento in cui è necessario cercare di salire sui ‘picchi spirituali’, laddove la sostanza dell’anima si fonde e si sublima con quella divina. Ciò non vuol dire affatto che bisogna seguire il sentiero tracciato da un credo o un cammino spirituale specifico o obbligatoriamente ortodosso,  ma che bisogna ‘aprire gli occhi’ verso la direzione di un ‘amore celeste’ e quindi di una fonte spirituale della vita amorosa che non sia solo derivata dall’’amore terrestre’. In tal senso nella terapia del trauma amoroso il detto ‘chiodo scaccia chiodo’ non vale, almeno fino a quando non si sia riacquistata la vista di un amore più elevato, che si scorge dai picchi della vita spirituale.  Ripetiamo che la parola spirituale non vuol dire necessariamente ‘religioso’,  vuol dire essere mossi da una visione che va al di là del proprio ego, della propria immanenza, della materialità, delle pulsioni e degli istinti. Tutto ciò va elevato in una visione di sé e del mondo ispirata in senso trascendente, cioè mossa da uno ‘spirito’, che può essere artistico, politico, filosofico, scientifico ed eventualmente anche religioso, ma che sia essenzialmente uno ‘Spirito d’amore’.  Si tratta di ricercare lo ‘Spirito d’amore’, inteso come una più matura capacità e sensibilità relazionale affettiva ed erotica interna a se stessi. Quindi,   prima di trovare un nuovo amato con il quale consolarsi di pene e traumi amorosi, è fondamentale ricercare lo ‘Spirito d’amore’, nelle sue molteplici forme simboliche e concrete,  affinché si possa veramente guarire e rinascere ad una nuova vita interiore e relazionale. Tuttavia bisogna ben comprendere la differenza tra l’aprirsi alla visione dell’amore celeste che dà la facoltà di vedere il mondo interiore rispetto al cieco affidarsi a visioni religiose, spirituali, magiche considerabili come disperata soluzione salvifica di redenzione e rinascita. Una sentita religiosità e un credo possono aiutare moltissimo, ma purché vi sia un’elaborazione della propria Ombra, del ptroprio vissuto e dell’inconscio, affinché lo Spirito senta l’ Anma e viceversa. Non si tratta di abbracciare una fede visionaria che mortifica l’Eros per sacrificarlo ad un divino superiore, ma di credere nella forza generativa e bellissima dell’amore in ogni sua manifestazione – anche nella sua caduta agli inferi, nel suo lato oscuro. Così l’amore con le sue gioie e i suoi dolori, nelle sue passioni e patologie è la forza che ‘fa anima’.

Scheffer, I fantasmi di Paolo e Francesca appaiono a Dante e a Virgilio, 1835

Scheffer, I fantasmi di Paolo e Francesca appaiono a Dante e a Virgilio, 1835

La sofferenza amorosa è così dilaniante che fa esperire l’inferno, il purgatorio o il paradiso, o altri mondi dello spirito, delle religioni e del mito come stati del proprio mondo interiore, psichicamente tangibili e narrabili solo attraverso visioni e immagini poetiche, figurative, fantastiche, inverosimili eppure appartenenti ad una ‘realtà psichica’. Le pene d’amore acuiscono la sensibilità interiore, cosìcché simboli, miti, immagini e narrazioni spirituali penetrano e fecondano l’anima.

Il mistero dell’amore per essere esperito in profondità richiede di essere vissuto sia nella gioia e sia nel dolore; la sua presenza si percepisce anche in funzione della sua assenza. Ben sanno gli innamorati di come l’amore si percepisce in un senso di mancanza. Così, nel dichiarare amore si dice ‘mi manchi’, ‘I miss you’, e quindi io soffro senza te, morirei senza te. Così nella gioia amorosa c’è il trepidare di una sofferenza in potenza, che per essere evitata non ha altra soluzione che non sia quella di essere evocata, come un ‘morir d’amore’, o ‘morire tra le tue braccia’, affinché l’eternità amorosa possa essere sentita   ‘oltre la morte’. L’amore quindi, nella sua contraddizione tra infinitezza e fine, tra illimite e limite,  ci impone un esercizio di trascendenza che attraverso lo psichismo connette materia e  spirito.

L’amore, con le sue pene, ci costringe ad interrogarci sull’anima, e quindi su una dimensione spirituale dell’esistenza, che trascende dal tempo e dallo spazio, che viene percepita come infinita e immortale. Questo dilemma nel mito e nelle arti è stato espresso come  sfida e alchimia dell’anima tra Amor e sacro e Amor profano.

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D’altra parte tutte le forme religiose originarie considerano  l’amore erotico come una forza divina che connette la natura animale dell’essere umano  alla sua natura spirituale. I tabù e i divieti sessuali nascono sia per esercitare forme di controllo sociale e sia per contenere la scissione nell’anima tra animalità e spiritualità.  In tal senso vanno letti certi divieti e certe rigidità anche nelle religioni monoteiste. Ma alla base di tutte le religioni la sessualità viene considerata come una manifestazione dello spirito che porta la vita, ed è quindi sacra.

Il trauma amoroso è un trauma che violenta e uccide lo Spirito dell’amore anche violando e umiliando l’intima sacralità della sfera sessuale. La vita sessuale nella relazione amorosa è un tramite sensibile di fusione e unione con la totalità. La sessualità congiunge per via sensibile l’anima all’universo, alla totalità, allo spirito. Quando questa sessualità viene umiliata, negata, ferita non si perde semplicemente il piacere, il godimento dell’atto fisico, ma la possibilità di congiungersi all’eternità e allo Spirito. Ciò che si perde nel distacco erotico dall’amante è la possibilità di percepire la vita oltre la morte, in un trasporto poetico passionale che rende esperibile in senso psichico “l’amore che unisce il sole e l’altre stelle” e placa ‘l’ansia d’infinito’. Perciò la persona traumatizzata in amore si sente molto ferita quando qualcuno le dice che il suo trauma consiste in fondo nella banale perdita dell’oggetto sessuale’. In verità essa si tormenta non per aver  perso il piacere sessuale, ma l’immortalità dell’anima. Si tra tratta di una tragedia che ha la sua radice archetipica leggibile nel mito Afrodite, la dea dell’amore.

Baglione, Amor sacro e amor profano, 1602

Baglione, Amor sacro e amor profano, 1602

Afrodite, che vuol dire, ‘colei che nasce dalle spume del mare’, è secondo la leggenda principale (le Teogonie di Esiodo)  la più antica di tutte le dee, infatti nasce dagli dei più primari: Urano (Cielo) e Gea (Terra). Questi erano abbracciati per un tempo eterno in una copula continua, fino a quando Saturno loro figlio – il dio del tempo – non li separò tagliando con un falcetto il fallo al padre Urano.  Così cessò l’eternità – cioè l’esistenza  senza tempo – ed inizio il tempo. Il fallo di Urano cadde nelle acque del mare, e dalle spume che si sollevarono nacque Afrodite,  la dea dell’ Amore che per gli umani  rappresenta‘quel che resta dell’eternità’. L’amore afroditico ci fa sentire eterni nell’anima e riecheggia nei ‘per sempre e nei mai’ e nel poetico ‘senso di infinito’ degli innamorati. Se non si è elaborata una visione immaginale del mondo interiore e quindi un senso spirituale dell’eternità, si può facilmente cadere in dinamiche amorose vampirizzanti, come vampirizzato o come vampiro amoroso. Un visione ingenua dell’eternità insita nell’amore richiede rassicurazione che esso sia possibile per sempre, che non finisca mai, che leghi per tutta la vita ed anche oltre. Ma l’amore è per sempre solo in ogni suo attimo, esso è vissuto come sentimento di eternità e immortalità, non può mai essere considerato in modo provvisorio o transitorio, altrimenti non è amore. Ciò non toglie che l’amore non possa finire, ma  non è possibile viverlo pensandolo come se potesse finire. L’amore è un’eternità che si conferma nel suo divenire, non sarebbe possibile altrimenti, la fiamma perenne che illumina e unisce può alimentarsi solo attraverso un sentimento spirituale di eternità. Una persona che rinuncia per comodità, superficialità, distrazione alla ricerca di tale sentimento spirituale ‘extra-temporale’ può diventare facilmente un vampiro amoroso o un vampirizzato.

Waterhouse, The Siren 1900

Waterhouse, The Siren 1900

Quando vi è una capacità di sentire, toccare, vedere nell’amore una forza trascendente, spirituale e infinita,  allora gli amanti si amano davvero e possono superare i loro conflitti in un processo di crescita e reciprocità ‘genitale’, cioè generativa di vita e di vitalità.  Tra i due amanti il legame è tanto più sano ed autentico quanto più  è dato dal riconoscimento dello ‘Spirito dell’amore’ che genera, e quindi che  unisce e anche separa, a seconda della sua volontà generativa.  Lo Spirito dell’amore che sta tra gli amanti capaci di vederlo e sentirlo – in quanto sono sufficientemente maturi per  vederlo  e sentirlo dentro se stessi –  consente di sviluppare una particolare forma di co-dipendenza basata sulla fiducia reciproca, garantita da una percezione spirituale, e per la quale è possibile essere uniti in una reciproca indipendenza. In ciò sta un fondamentale mistero del’amore che preserva ad un tempo vincolo e libertà, che fa sentire legati, eppure liberi. Quando lo Spirito dell’amore non si vede, perché non è stato cercato, coltivato e cultualizzato,  ritualizzato e simboleggiato attraverso una visione immaginale del mondo interiore il più possibile liberata da complessi e rimozioni infantili, tanto più le pene e i traumi amorosi sono tremendamente necessari e possibili.

Ogni crisi amorosa è una sfida per maturare e rigenerare la presenza dello Spirito dell’amore, ma quando questa rigenerazione non avviene si mette in moto un processo degenerativo e regressivo dal quale riemergono fantasmi e condizionamenti del nucleo infantile complessuale. In questa fase il rischio è che lo Spirito dell’amore, ovvero l’energia di legame generativa tra gli amanti, lascia il posto ad un’energia di legame degenerativa , e nella metafora da noi adottata ad una dinamica amorosa traumatica e ‘appassionatamente vampirizzante’, il cui destino non è più quello piacevole e vitale come vorrebbe l’amore, ma tragicamente doloroso e mortale, come vuole l’odio.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa d'Avila, 1652

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa d’Avila, 1652

Quando si perde l’amore si perde l’anima e allora nasce un conflitto tra l’abbandonarsi e rinunciare ad essa tra depressione, ansia, disperazione e follia e una tensione a ritrovarla e a guarire.   Ma se l’anima ha subito anche un processo di vampirizzazione a causa di una relazione patologica segnata da dinamiche narcisiste e borderline il dolore è assai più acuto e pericoloso e ritrovare e guarire l’anima è una missione possibile, ma  alquanto più ardua e tormentosa. Occorre un grande sacrificio, occorre immolare la propria sofferenza affinché ritorni lo Spirito dell’amore: una luce azzurra e trascendente che è la medicina essenziale affinché  si rigeneri il  nobile ‘sangue blu’che può nutrire e curare l’anima vampirizzata.

Manuale cover definitiva

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[1] James Hillman,   “Picchi e valli. La distinzione fra anima e spirito come fondamento delle differenze fra psicoterapie e disciplina spirituale”, ora in J. Hillman, Saggi sul Puer, Milano, Adelphi, 1988.