by Usotsuki

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La solitudine come scelta forzata

di Pier Pietro Brunelli

Hikikomori è una parola giapponese che sta diventando tristemente di moda, vuol dire:  RITIRO (deriva da hiku, ossia tirare indietro, e komoru, ritirarsi) ed  indica una modalità con cui alcune centinaia di migliaia di  persone in Giappone hanno deciso di esprimere il proprio male di vivere. Per quanto sia stato scoperto in Giappone esso si sta diffondendo in tutte le società capitaliste, che spingono l’individuo a perseguire il successo e l’esaltazione dell’immagine in ogni  ambito. Questa spinta porta un enorme peso sulle persone, soprattutto sugli adolescenti, che sentono il dovere di soddisfare le aspettative non solo della società, ma anche dei genitori che con tale società appaiono in buona sintonia. Si tratta di richieste sociali e genitoriali che in nome di successo in termini di immagine e di ruolo negano una comprensione intima e profonda della persona nella sua fase di crescita. Ciò può condurre al fenomeno dello Hikikomori, cioè a  scegliere di autorecludersi nella propria stanza per mesi e anni, costruendosi supporti essenziali per farsi arrivare il cibo e dotandosi di internet per comunicare e ‘vivere’ in modo virtuale, spesso solo ed esclusivamente come un nickname e un selfing. Alcune persone che scelgono lo Hikikomori escono ogni tanto, ma solo per recarsi in un minimarket aperto 24 ore su 24 , il tempo sufficiente per comprarsi qualche cibo precotto e gli oggetti di cui hanno bisogno, spesso accessori per il PC. In altri casi i genitori, o altri parenti, si sono rassegnati a portare loro del cibo sulla soglia della porta della loro stanza, sperando si tratti di un periodo, ma la situazione si cronicizza e a volte si aspetta molto tempo prima di chiedere aiuto a specialisti della salute mentale.

solitudine adolescenzaCome mostrano le immagini più crude e poi come si potrà approfondire con le seguenti schede di Federica Pezzulla (tecnico della riabilitazione psichiatrica) ed  Alessandra Mangiarotti (Giornalista- Corriere della sera) – Hikikomori è una tristissima forma di autoisolamento sociale, praticata soprattutto da adolescenti, ma non solo, anche moltissimi giovani adulti.

Vorrei dapprima soltanto ricordare che C.G. Jung, quando studiava le forme estreme di psicosi e di stati disturbati coglieva dinamiche archetipiche che poi servivano a comprendere la psiche delle persone cosiddette normali. Allora osservando il fenomeno dello Hikikomori possiamo sviluppare un punto di vista radicale ed estremo sul tema della solitudine e dell’isolamento.  Si tratta di modi di essere e di stati d’animo sofferenti, sempre più sentiti nella quotidianità e nelle esistenze delle persone, che si coniugano a varie forme depressive e di infelicità nella vita affettiva e relazionale.  D’altra parte capita di sentirsi soli anche in famiglia, e persino in coppia, quasi che si avverta un’impossibilità di comunicare in modo autentico e di capirsi. Forse capire le cause sociali oltre che psicologiche del crescente fenomeno Hikikomori può farci comprendere qualcosa che sta ferendo l’inconscio collettivo e quindi in modi differenti anche ciscun essere umano (in tal senso prima di approfondire il senso psicopatologica di questa condotta, vogliamo introdurre ad una riflessione junghiana sul suo senso archetipico, che investe tutta la società)

I social network, per quanto siano uno straordinario strumento di partecipazione, hanno finito con il dare un’ illusione di amicizia e di contatto, che è andata a sostituirsi sempre più alle relazioni reali. Di fatto, per una serie di circostanze, dovute all’era digitale, alla crisi e al diminuire delle aggregazioni che c’erano nei mondi del lavoro di un tempo,  le relazioni umane dirette sono sempre più difficili, dispersive, rarefatte. Tuttavia, in qualche modo, sono le persone stesse  che scelgono di isolarsi in quanto avvertono una grande frustrazione nella socializzazione. Gli incontri sono sempre più competitivi e narcisistici, il look, la moda, gli status symbol finiscono con il contare più delle persone. I mondi dell’arte. della cultura, della ricerca spirituale sembrano diventare sempre più settari e riservati ad elite. Il mondo della politica è percepito come gravemente ipocrita. Quello della professione mette sempre in gioco una facciata competitiva. Si è stufi di sentirsi chiedere: “Cosa fai?” in un periodo di crisi dove spesso non si sa cosa poter fare e ci si sente costretti a dichiarare il proprio precariato. Oppure ci si imbatte sempre più facilmente in personalità narcisistiche, capacissime ad esibire tutto il loro falso sé grandioso, e a svalutare e a intimidire il prossimo. Insomma non si riesce a reggere di essere giudicati, nel bene e nel male a seconda delle proprie prestazioni, competenze e delle proprie merci spettacolo. Nel profondo si desidera essere riconosciuti e amati e amare per come si è.  Ma la cultura dominante basata sul potere e la manipolazione di sentimenti ed emozioni a scopo commerciale e di consenso politico, non predilige questa possibilità esistenziale basata sulla ricerca di un autentico incontro con gli altri e con se stessi.

hikikomori6Ecco allora che una cultura senza più autentica cultura relazionale – dove i mass media spettacolarizzano il potere, insieme ad orrore e ingiustizia a ritmo serrato, e insieme a spettacolini frivoli, sfilate di moda e pubblicità di oggetti non accessibili ai più – genera una tendenza alla frustrazione e al ritiro in se stessi. La sessualità pornograficizzata ovunque, e in forme più o meno esplicite, diventa uno strumento di potere, tanto che i sentimenti appaiono persino di ostacolo, e vengono rappresentati come un veicolo di malessere che finisce con l’ingannare le persone. Non ci sono punti valoriali di riferimento, esempi guida. Ma ai genitori non interessa il malessere sociale, essi sono inossidabili e ce l’hanno fatta ad ‘inserirsi’ con astuzia e competenza.

La scuola poi chiede di rendere, e spesso pretende una resa inadeguata e ipernozionistica  rispetto a quella che è la realtà storico-sociale.  Inoltre la società richiedente sacrificio e impegno non restituisce con il lavoro, con il merito. La scuola diventa area ove si rischia di imbattersi nella competizione drogata (in modo figurato e concreto) e persino nel bullismo.   I genitori ben sistemati, appaiono come ignavi e ignari, cioè come persone che non hanno alcuna posizione critica verso la società, la scuola, la politica. A loro interessa solo il successo del loro figlio, e il loro successo personale, poi il mondo può andare a ramengo. Non credo come sostengono alcuni esperti che lo Hikikomori derivi da un iperprotezionismo materno a fronte di una indifferenza del padre troppo preso dai suoi impegni di lavoro, certo questi sono anche fattori causali, ma diventano pertinenti quando i genitori non si rendono conto dell’effettiva negatività sociale, o la dissimulano, o addirittura la traducono in loro vantaggi che vorrebbero poi favorire anche ai figli. C’è quindi una profonda perdita di fiducia verso le figure parentali, gli altri, la società e in un modo che l’adolescente non riesce ad elaborare e ad esprimere, cosicché si chiude prima in se stesso e poi trasforma la sua stanza in una cella. Ma senza arrivare ai casi più estremi il fenomeno dell’autoisolamento e della rinuncia a relazioni affettive e alla vita sociale è sempre più diffuso ed in molteplici forme, anche non appariscenti.

1hikikomori2L’archetipo della relazione umana, se così si può dire, è gravemente ferito, in una società ove si privilegia l’egoismo, il narcisismo, la capacità di trarre vantaggi manipolando il prossimo, ed anche la sostanziale indifferenza verso la sofferenza del mondo, considerata come un male a cui rassegnarsi.  Ingiustizie, violenze , devastazioni sono da osservare con il distacco di chi assiste al solito triste spettacolo che i media trasmettono tutti i giorni, senza speranze, né soluzioni, che non si traducano nell’obnubilamento e nelle fantasie consumistiche. Ecco che nelle persone più sensibili e meno capaci di strutturare un’identità narcisistica di esaltazione di sé, vi è un potenziale Hikikomori, un bisogno di chiudersi in casa e stare davanti al computer, senza la voglia di fare nulla , né di cercare nessuno.

Nell’adolescente la tendenza allo Hikikomori è anche, paradossalmente, una scelta di riparazione narcisistica, un modo per essere comunque qualcuno, una sorta di eroe che si chiude nella roccaforte della sua stanza e resiste alle malate e umilianti invasioni del mondo esterno. Non trovando valori autentici, stimoli genuini, affetti e amicizie veraci, l’adolescente si mura vivo nella sua stanza fino a condizioni di sopravvivenza patologica di non vita. Un aspetto connesso alla scelta dell’isolamento è anche la sempre più diffusa  alessitimia, cioè l’incapacità di esprimere le proprie emozioni. Le persone sentono dentro di sé sentimenti, positivi e negativi, ma si rassegnano a non riuscire a comunicarle e quindi si corazzano dentro personalità introverse che rifuggono dalle relazioni o che prediligono contatti estremamente motivati da interessi precisi, come uno sport o un hobby, un videogioco on line, ma senza la possibilità di aprirsi sulla base di simpatie spontanee. Lo Hikikomori sceglie in modo più estremo di dare un senso alla sua alessitimia isolandosi, fino a negare ogni contatto con gli altri se non attraverso internet. Non si tratta di vera e propria netdipendenza, ma di una scelta estrema, che è quella di affermarsi negandosi. Ma questa affermazione autocastrante conduce a perdere consapevolezza di se stessi e  della realtà, portando a disturbi e sofferenze che rendono sempre più difficile uscire dalla autoimposta clausura dello Hikikomori.

anzianiOra io mi auguro che questo articolo possa aiutare qualche ragazzo/a o qualche genitore a riflettere sul perché del fenomeno dello Hikikomori.  In ultima analisi possiamo semplicemente dire che c’è bisogno di più amore e meno narcisismo, più autenticità e spontaneità, e meno immagine e facciate di successo. Forse si può dire anche che gli adolescenti in certi casi dovrebbero essere non repressi, ma incoraggiati dagli adulti ad esprimere la loro protesta verso una società così ingiusta e priva di valori e ipocrita, come quella attuale.  Forse  il temperamento ribelle, controcorrente, contestatario dei giovani non va mortificato, snobbato, punito, ma va compreso in quanto autentico e spontaneo bisogno e desiderio di vita, di creatività e  di libertà. Inoltre non vanno imposti loro ideali di successo considerati come più importanti della conoscenza di se stessi, dei sentimenti, e del diritto ad essere diversi dagli schemi imposti dalla competizione e dai media.  Vorrei quindi che tutti aiutassimo questi ragazzi ad uscire da questo isolamento così doloroso, cominciando con il comprenderli, nel loro intimo e nel senso sociale di questa loro condotta di vita così rifiutante, estrema, ma che in fondo vorrebbe proprio il contrario di ciò che fa, vorrebbe cioè abbracciare in modo vero e far scorrere emozioni e sentimenti più veri tra le persone e nel mondo.

In riferimento al pensiero di Jung, o di Hillman – e di molti altri autori che considerano come fondamentale l’interdipendenza tra psiche individuale e inconscio collettivo e i fattori sociali e culturali –  possiamo dire che i giovani Hikikomori sono il sintomo di un mondo malato, di una Anima Mundi che è malata, perché viene oppressa nei suoi cardini di umanità. La specie umana sente in qualche modo di essere giunta ad un punto limite, la sua evoluzione può portarla ad autodistruggersi e questo anche perché non vi è più un senso archetipico della relazione, della solidarietà, quasi che l’egoismo abbia ridotto l’altruismo ad un’energia gravemente ferita se non morente. Laddove degenera l’archetipo dell’altruismo, quale energia relazionale che è indispensabile per l’evoluzione umana, l’inconscio collettivo degenera e tale degenerazione viene espressa in modo particolarmente emblematico da Hikikomori, e dal potenziale Hikikomori che pesa nell’inconscio individuale di sempre più persone, le quali si ritirano  in se stesse e forzatamente scelgono con varie modalità consce e inconsce di isolarsi. Hikikomori ci avverte che dobbiamo impegnarci per un cambiamento prima che i processi egoistici e narcisistici degenerativi diventino sempre più devastanti e inarrestabili nelle nostre vite individuali e nella collettività.

E’ un cambiamento che dobbiamo iniziare a perseguire dentro noi stessi, individuando il potenziale  Hikikomori che c’è in noi quando ci sentiamo frustrati, avviliti, quando tendiamo ad isolarci non per stare con noi stessi, e coltivare un giusto senso di indipendenza, autonomia, ispirazione, ma perché sentiamo un’alienate sfiducia verso gli altri e verso la vita.

hikikomori5Un’altra cosa da osservare  è che, a mio avviso, il fenomeno Hikikomori sebbene abbia la sua specificità nell’adolescenza e nei giovani adulti, in qualche modo riguarda anche gli anziani.  Quante persone anziane vivono isolate come dei rifugiati che hanno perso ogni speranza di potersi relazionare ad altri, a causa di una società che tende ad escluderli, in quanto li considera inutilizzabili in senso narcisistico e come facciata di successo? Ma il discorso va troppo in là, e questo perché Hikikomori ci chiama a riflettere sul valore autentico della persona, sul senso autentico delle relazioni e degli affetti, e sull’autostima e il rapporto con se stessi.  Dobbiamo ricordarci che ciascuno di noi è prezioso per cambiare questo mondo e per aiutare il nostro prossimo in ogni età della nostra vita. La via – che la si chiami in un modo o in un altro – è l’Amore, il cui senso è in una sfida di vita che è sempre da vivere e da scoprire. Ciascuno può preservare e valorizzare il gesto che dà senso d’Amore alla propria vita dal momento che si apre all’ascolto di quella degli altri. Ma indipendentemente dagli altri, quando si sta con se stessi, mai si è soli o ci si sente forzati ad esserlo quando si riesce ad entrare in connessione con il senso profondo dell’Amore, che si può trovare, ad esempio,  nella bellezza spirituale della natura e nella natura spirituale della bellezza, oppure nella partecipazione e nella passione sociale, nelle arti, nelle pratiche per la crescita personale, così come nella quotidiana semplicità di vivere con coraggio e fiducia, impegnandosi a fare del proprio meglio, nel bene.

httpv://www.youtube.com/watch?v=50Y7R5zP0wc

HIKIKOMORI una scelta di reclusione e una persona da conoscere

A cura di Federica Pezzulla (Tecnico della riabilitazione psichiatrica)

hikikomori2Il soggetto hikikomori può fare parte di una famiglia fin troppo protettiva nei suoi confronti, ma in realtà alquanto assente sul piano affettivo e della comprensione. Si tratta di una famiglia di solito di estrazione sociale medio-elevata, con genitori che hanno un ruolo professionale soddisfacente o elevato. Ciò li rende spesso assenti per questioni lavorative, non solo in termini temporali, ma come presenza emotiva e partecipativa. Nella mente del figlio questi genitori  diventano un irraggiungibile modello di perfezione verso cui tendere. Anche i genitori spesso investono il figlio come il prescelto per una vita di successo che dovrà conquistarsi, e da questo punto di vista possono risultare alquanto affettivi. Ma il bambino e poi l’adolescente registra un’assenza affettiva e una forte difficoltà a soddisfare i genitori e poi la stessa società attraverso la costruzione di un sé idealizzato che non gli corrisponde. Egli si sente amato per quello che dovrebbe arrivare ad esser, ma non per quello che è, ed in tal senso fa sempre più fatica a trovare un’identità capace di relazionarsi con gli altri e con il mondo.
hikikomori 3A mano a mano che aumenta il contatto con la società , diventando adolescenti, si avverte che il mondo non incoraggia per nulla quelli che erano gli ideali dei genitori che pure si era provato a seguire e si diventa sempre più frustrati e mortificati. Ecco allora che si inco0minciano ad adottare strategie di isolamento che diventano sempre più estreme, fino a scegliere di stare reclusi nella propria stanza, per mesi e anni.
Questo ritiro sociale isola il soggetto dal mondo esterno, portandolo ad una autoreclusione nella propria abitazione o nella propria stanza, interrompendo le normali interazioni sociali e arrestando il suo sviluppo sul piano accademico o lavorativo. L’ingresso in hikikomori si manifesta soprattutto in età adolescenziale toccando il picco nel periodo del liceo e dell’ingresso all’università, ovvero fra i 15 e i 19 anni (37.4%), si ripresenta poi all’inizio dei 40 anni, età in cui può avvenire un fallimento nel mondo del lavoro, legato alla crisi economica. Il rifiuto scolastico e/o lavorativo è una delle più frequenti problematiche ed è spesso il primo sintomo del manifestarsi del ritiro sociale.
Esistono leggere differenze tra i casi hikikomori in Italia e in Giappone, legate ad un diverso contesto socio-culturale; analizzando il fenomeno in Italia si nota come: il periodo medio di isolamento sociale è di circa 69 mesi, ma può protrarsi anche per anni o decenni; nel 79% dei casi si tratta di casi maschili, per lo più primogeniti o figli unici, ovvero i figli investiti di maggiori responsabilità; solo la restante parte dei soggetti interessati è di sesso femminile e di solito il periodo di reclusione è più limitato nel tempo. Il corpo viene “paranoicizzato” perché ad esso viene attribuita la causa di tutti i suoi  fallimenti: e può essere proprio questa voglia di fuggire allo sguardo della  società il motivo che lo spinge ad entrare in hikikomori. Attualmente la psichiatria non considera l’hikikomori  come una diagnosi, bensì come abbiamo già detto, una condizione di vita scelta da migliaia di adolescenti per esprimere la propria sofferenza sociale.
Si tratta di individui dotati di un QI normale e privi di altra patologia psichiatrica, che a causa di un prolungato stato di isolamento possono però sviluppare una determinata gamma di disturbi.
HIKIKOMORI-photo-2I sintomi secondari che possono dipendere da una situazione di hikikomori, descritti dal professore Tamaki Saito, sono l’antropofobia, l’automisofobia, la dismorfofobia, l’ipocondria, l’agorafobia, le manie di persecuzione, il timore di un contatto oculare/visivo con gli altri, alcuni sintomi ossessivi e compulsivi, il
comportamento regressivo, il timore di emanare cattivo odore, l’apatia, l’umore depresso, i pensieri di morte, così come l’insonnia, l’inversione del ritmo circadiano di sonno-veglia e forme di violenza domestica.
Tutti gli hikikomori italiani sono dipendenti da Internet, contrariamente a quanto avviene in Giappone dove, il numero di hikikomori in completo isolamento è pari al 30%. Tuttavia la dipendenza da internet non è la causa quanto più una conseguenza di tale fenomeno, che potrebbe aiutare il ragazzo a mantenere un contatto con il mondo esterno e consentendo la messa in atto di pratiche ludiche che hanno lo scopo di permettere un’occupazione del tempo senza che il senso di vuoto sia troppo incombente.
otakuroomCome i giapponesi, la maggior parte degli hikikomori italiani non si considera malata, pertanto non desidera sottoporsi ad un percorso di terapia.
Uno dei pochi centri presenti attualmente in  Lombardia che si occupa della presa in carico di adolescenti affetti da ritiro sociale acuto è la Fondazione L’aliante, un centro diurno per la neuropsichiatria di Milano, all’interno della quale è presente un’equipè multidisciplinare che si prende carico dell’individuo nella sua dimensione globale di persona e lo pone al centro di attività educative e riabilitative.
Per prima cosa vengono predisposti interventi domiciliari, qualora l’adolescente non sia disponibile ad uscire di casa; l’operatore potrà così toccare con mano la condizione psichica in cui vive sia il ragazzo che l’intera famiglia, e comprendere meglio le situazioni di cui spesso neppure il giovane ed i suoi genitori sono
consapevoli. Lo scopo iniziale è quello di aiutare il ragazzo, in tempi più o meno lunghi, ad uscire e cominciare un percorso all’interno del
centro di recupero prima di rientrare nella vita di tutti i giorni. Durante questo percorso sarà consentito al ragazzo di trovare la dimensione migliore per se stesso che può andare da un periodo di relativo isolamento a momenti di maggiore socializzazione. Si propone al ragazzo una terapia individuale, che consiste in sedute di psicoterapia, visite neuropsichiatriche, ed attività riabilitative e laboratoriali pensate per lui durante la quale sarà affiancato dal tecnico della riabilitazione psichiatrica di riferimento.
japan_culture_hikikomori_room1Le terapie di gruppo cominceranno quando il paziente sarà pronto ad essere inserito nel gruppo dei pari: si passerà così ad attività di piccolo gruppo all’interno della quale, guidato dagli operatori, il paziente potrà acquisire corretti modelli relazionali e comunicativi rafforzando tanto il suo senso di appartenenza quanto la sua autostima e quindi andando a controbilanciare i suoi precedenti vissuti di emarginazione e rifiuto.
hikikomori-treatmentFattore determinante per l’efficacia del progetto di riabilitazione dell’adolescente è la costruzione di un rapporto di partnership tra l’équipe multidisciplinare e la famiglia; parallelamente al lavoro con il ragazzo hikikomori è necessario dunque effettuare un’attività di counselling e di sostegno familiare: l’offerta di una consulenza individuale o del confronto con un gruppo di parenti che vivono una situazione analoga, rappresentano una condizione fondamentale per garantire un intervento che faciliti la comprensione del problema, che permetta di ridurre il livello di sofferenza dei singoli e di recuperare risorse al comune progetto riabilitativo.
3663-1012Un ulteriore obiettivo è dunque quello di insegnare ai familiari, oltre che al proprio paziente, i metodi d’attuazione di una comunicazione assertiva. Come afferma Carla Ricci svolte significative sono possibili nel momento in cui chi è recluso realizza che nell’ambiente sociale più vicino a lui, ovvero nella propria famiglia, si è verificato un cambiamento dello stato delle cose, rispetto a come erano state finora. I genitori dovranno riuscire a mettere in discussione loro stessi ed il proprio ruolo così come è stato svolto fino a quel momento. In tal modo, il giovane hikikomori ne verrebbe emotivamente contagiato, incorporando in maniera inconsapevole, come aveva fatto in passato, le nuove disposizioni psicologiche familiari che produrranno in lui una visione diversa di se stesso e del mondo in cui vive; proseguendo per un nuovo sentiero, in cui sarà accompagnato e non assoggettato dai propri genitori, potrà pian piano individuare la sua vera strada. – Federica Pezzulla (Tecnico della riabilitazione psichiatrica)

maxresdefaultGli psichiatri: ragazzi isolati per anni, come a Tokio I racconti: «Via dal mondo, niente scuola e amori, ci basta Internet».  

di Mangiarotti Alessandra –   (11 febbraio 2009) – Corriere della Sera

MILANO – Alex ha messo un chiavistello alla porta della sua stanza e per oltre sei mesi ha chiuso il mondo fuori. Andrea da nove passa le sue notti su Internet perché la vita vera, dice, è lì. Anna esce dalla camera solo di notte per assaltare il frigorifero. Luca risponde esclusivamente a chi lo chiama con il «nick» perché il suo nome gli suona vuoto come la sua esistenza. Confondono il giorno con la notte, parlano con gli sconosciuti e sono sconosciuti in casa loro. Sono le esistenze rovesciate degli hikikomori, i giovani autoreclusi, non più solo giapponesi. Per conoscere le loro storie devi parlare con le sentinelle impotenti del loro ritiro. Genitori, fratelli, amici: «Mio figlio per oltre sei mesi mi ha parlato solo attraverso la porta e solo per urlarmi “lasciami in pace”»; «Mia sorella esce quando tutti dormono: mi ruba le sigarette dallo zaino e torna a rinchiudersi». Ma per incontrarli non puoi che andarli a cercare nel loro regno: Internet. Ecco Chaoszilla, dà un nome agli autoreclusi come lui: «Io sono un hikikomori»; Pavély spiega cos’ è, un hikikomori: «È una parola giapponese. Indica il comportamento di quei ragazzi che per anni vivono in casa, senza affrontare la vita e l’ amore. Solo Internet e fumetti. Cosa importante: io sono uno di loro»; Miki s’ identifica, quindi quantifica il fenomeno: «Ve lo dico: hikikomori è un traguardo, è la frontiera. In Giappone sono circa un milione. In Italia siamo mostruosamente indietro ma la necessità di isolarsi dall’ orribile mondo esterno vedo che si diffonde sempre di più». Su una cosa Miki e il mondo fuori dalla sua stanza sono d’ accordo: gli hikikomori, anche in Italia, sono sempre di più. Non esistono statistiche sulla «lost generation» nostrana. Solo le testimonianze di psicologi: oltre 50 i casi che abbiamo registrato. E le storie (nascoste dietro nomi di fantasia) di Alex: 16 anni e una vita in 20 mq scandita dal rombo degli aerei di Malpensa; Andrea: un anno in più di Alex e una «cella» alle porte di Brescia; Valentina: rinchiusa in un appartamento sull’ Adriatico; Luca: solo di recente uscito dal suo «guscio» in Gallura. Più maschi che femmine. Quasi sempre «under 18», almeno in Italia. Molto intelligenti, creativi, ma introversi.

japan_culture_hikikomori_spare01Letteralmente giovani «in ritiro», ragazzi che senza un apparente motivo si chiudono nella loro stanza. Chi (come Oblomov di Goncarov) per incapacità di affrontare il mondo, chi (è il caso di Miki) per esprimere la sua rabbia. E ancora: chi per mesi, chi per anni. Il record nostrano: tre-quattro anni. Quello nipponico: 15 e più. Per alcuni la clausura è totale, per altri parziale: qualcuno esce dalla propria stanza per cenare con i genitori, per andare in vacanza, chi vive solo è obbligato a farlo per comprare del cibo nel supermercato più vicino. In Giappone gli hikikomori sono un fenomeno culturale e sociale: sono oltre un milione, l’ 1% della popolazione, il 2% degli adolescenti. Alcuni ricercatori, tra cui Michael Zielenziger (suo il saggio Non voglio più vivere alla luce del sole), hanno avanzato l’ ipotesi che anche la principessa Masako Owada, ne sia affetta. La colpa della loro autoreclusione è stata data alle pressioni sociali, alla severità del sistema scolastico, alla spinta verso l’ omologazione, alle madri oppressive, ai padri assenti, al bullismo. Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare quello che viene definito un disturbo («non una patologia»). Ma è stato anche il primo a evidenziare alcuni punti di contatto tra i ragazzi giapponesi e i «mammoni italiani». A ricordarlo è Carla Ricci, antropologa con una vita a Tokyo e autrice del libro Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione. «Il fenomeno è tipicamente giapponese. Ma da lì si sta allargando in Corea, Usa, Nord Europa, Italia». La prima analogia: «Lo stretto rapporto con la madre. Proprio il suo essere iperprotettiva, spesso entrambi i genitori lo sono, può rendere il figlio narcisista e fragile. E alla prima difficoltà si ritira». Inizia col passare sempre più ore nella sua camera, col disertare le cene in famiglia, niente amici, sport, cinema. «Finché un mattino dice di non voler più andare a scuola perché ha bisogno di riposarsi». Nell’ ultimo anno all’ Istituto «Minotauro» di Milano, dove lavorano Gustavo Pietropolli Charmet e Antonio Piotti, si sono rivolti i genitori di oltre 20 ragazzi. Le loro storie sono coperte dal più stretto riserbo. «Cinque i più gravi: vivono chiusi nelle loro stanze da ormai tre anni». Spiega Pietropolli Charmet: «In ogni momento storico e in ogni Paese i giovani hanno dato sfogo al loro malessere: le isteriche di Freud, i tossicodipendenti anni ‘ 60-‘ 70, le nostre anoressiche.

262687948_1280x720Gli hikikomori sono figli della cultura giapponese, ma i nostri “autoreclusi” condividono con loro più di un aspetto». Continua Piotti: «Innanzitutto la vergogna narcisistica. Lo scarto tra il loro desiderato e il reale è troppo forte. Colpa anche delle eccessive aspettative dei genitori». All’ origine c’ è poi spesso una fobia scolastica. «Ma mentre i ragazzi giapponesi fuggono da regole troppo severe, i nostri scappano dall’ incapacità di gestire relazioni di gruppo». Identico il risultato: «Si chiudono in una stanza. Sostituiscono la vita reale con quella virtuale. Ma Internet e i giochi di ruolo sono solo una conseguenza, non una causa», afferma Giuseppe Lavenia, del Centro Nostos di Senigallia, una decina di casi trattati. Spesso, come le anoressiche, negano il proprio corpo. Ultimo passo: l’ inversione del ritmo circadiano, vivono di notte e dormono di giorno. Più il ragazzo vive nel suo guscio, e per questo soffre, più è difficile farlo uscire. «Il problema è entrare in contatto con loro», dice Giovanna Montinari, psicoterapeuta della cooperativa romana «Rifornimento in volo», altri due casi allo studio. Non resta che parlare con i genitori, con gli amici. «Ma a volte il contatto arriva solo grazie a quello che chiamiamo “compagno o fratello maggiore”, un giovane psicoterapeuta». È il caso di Alex: la prima persona a cui ha aperto la porta, dopo oltre sei mesi di autoreclusione, è stata la «sorella maggiore» che ha bussato alla sua chat.

Mangiarotti Alessandra
(11 febbraio 2009) – Corriere della Sera