Il rospo che dobbiamo affrontare nella nostra vita è il nostro ‘complesso’, quando esso diventa troppo sintomatico entriamo in una dimensione psicopatologica, ma a prescindere da una patologia mentale sta di fatto che da esso dipendono molte sofferenze della nostra vita. Scelte sbagliate, relazioni disturbanti, infelicità e stati d’animo negativi non spiegabili in termini riportabili a cause evidenti, dipendono dal nostro complesso. Ma che cos’è un complesso? Come possiamo affrontarlo? E come possiamo persino trarre da esso un’ispirazione per conoscerci più a fondo, maturare e trovare un maggior equilibrio?
Vediamo allora una citazione che spiega cos’è il complesso.
“Jung riteneva che, qualunque fossero le sue radici nell’esperienza passata, la nevrosi consiste nel rifiuto – o nell’incapacità – di sopportare, “qui e ora” una sofferenza legittima. Invece questo sentimento doloroso o la sua rappresentazione sono scissi dalla consapevolezza e l’iniziale totalità – l’Io primordiale – è rotta. Una tale scissione “deriva in definitiva da un’apparente impossibilità di affermare l’interezza della natura dell’individuo” (Jung, 1934) e determina un’ampia gamma di dissociazioni e conflitti caratteristici dei complessi a tonalità affettiva. Questa scissione è parte normale della vita. La totalità iniziale è fatta per scindersi e ciò diventa patologico o diagnosticabile come malattia solo quando la scissione dei complessi diviene troppo ampia e profonda e il conflitto troppo intenso. Allora i sintomi dolorosi possono portare ai conflitti delle nevrosi o all’ego frantumato della psicosi.” (Sandner and Beebe, 1982)»
(Tratto da Psicologia Analitica, prospettive contemporanee di analisi junghiana – a cura di Joseph Cambray e Linda Carter
L’essere umano quando soffre a causa di un complesso non soffre solo con la mente, ma anche con il corpo. Stress ed emozioni negative coinvolgono aspetti corporei e psichici: il sistema nervoso, in particolare il cervello, ma anche la psiche, che vuol dire anima, quindi coscienza e inconscio, pensieri, sentimenti, attaccamenti, ansie, paure, malinconie, generano stati psicocorporei che devono essere curati ed elaborati, non solo per guarire, ma anche per crescere. In tal senso il complesso può essere considerato come il rospo della fiaba, nel quale si celava un principe, e che avrebbe potuto rivelarsi qualora fosse stato ‘baciato dalla principessa’, ovvero trattato ed elaborato con consapevolezza e amore; e più in particolare con una psicoterapia capace di individuare nel complesso anche fattori di ispirazione, autenticità e maturazione.
Difficoltà ad addormentarsi e a dormire normalmente, paure ingiustificate, angoscia del futuro, malinconie del passato, rabbia, frustrazione, calo dell’autostima, calo della libido, tristezza, infelicità, mancanza di voglia di vivere, perfino idee suicide sono stai d’animo e sintomatologie riferibili ad un ‘complesso inconscio’. Quando una persona patisce una sofferenza psichica nell’anima a causa di un ‘complesso inconscio’, in genere patiscono anche le persono che gli stanno vicino, a volte si tende ad isolarsi e ad essere isolati, abbandonati a se stessi. E’ allora fondamentale prendere coscuienza del propripo complesso inconscio, elaborarlo analizzandone le varie componenti, tra le quali ci sono anche quelle positive.
Quando la sofferenza psichica diviene acuta e insopportabile si può considerare che l’unica possibilità di sollievo siano gli psicofarmaci, soprattutto antidepressivi e ansiolitici. Molte persone tendono a bere più alcolici, a fumare di più se si fuma già o a prendere il vizio. Alcune persone ricorrono alle droghe, leggere e pesanti. Tutto ciò, protraendeosi nel tempo, comporta pericolosissimi effetti collaterali.
Insomma si assumono sostanze lecite o illecite per lenire le sofferenze psichiche, oppure ci si trascura, credendo di poter sopportare all’infinito, ma con il risultato di aggravare la propria condizione, nonché di recare dispiacere agli altri. In certi casi la tempesta può essere anche superata, ma se non se ne è compresa la natura relativamente al ‘complesso inconscio’, questo si ‘incista’, cioè finisce per nascondersi nelle rimozioni e, purtroppo non tarderà a produrre nuove erbacce infestanti e ad instaurare una ‘coazione a ripetere’ gli sbagli e quindi a ricacciarsi nella tempesta.
Sebbene certi sintomi dolorosi si attutiscono ne vengono fuori altri, che alla lunga sono peggiori. Se la sofferenza viene dalla mente e dai pensieri, cioè da esperienze che non sono corporee, ma riguardano i nostri sentimenti, la nostra immaginazione, le nostre fantasie e speranze (dall’anima), come è possibile pretendere da un farmaco o da una qualsiasi sostanza di curare in modo soddisfacente? Farmaci e sostanze non conoscono la persona che soffre, la sua intimità, i suoi perché, i suoi desideri, la vita che ha fatto e che fa, conoscono solo i sintomi, che sono fenomeni considerati in forma generale e quindi che si ipotizzano simili per tutte le persone. Perciò le sostanze, lecite o illecite, che agiscono sulla mente, modificano solo i sintomi , ma non guariscono le cause della sofferenza perché queste sono sempre nelle radici soggettive, e quindi differenti, di ogni persona.
Gli psicofarmaci sono tuttavia un rimedio di enorme importanza che in certi casi e SOTTO CONTROLLO MEDICO possono dare grande sollievo… ma quando si dice sotto controllo medico, si dovrebbe intendere con un sostegno psicoterapeutico, affinché il farmaco possa essere considerato cio che è, cioè un tampone, un rimedio provvisorio che aiuta attraverso un lavoro su se stessi a uscire dalla sofferenza (tranne in quei casi ove ci sia una patologia psichiatrica che tichieda un impiego continuativo di farmaci, laddove un sostegno psicologico resta comunque un importante coadiuvante per la qualità della vita del paziente). Ma nel caso di una sofferenza psicologica guaribile con la psicoterapia senza l’ausilio dio sostanze, va constatato che troppo spesso si ricorre a sostanze e che, spesso, non si rispetta ciò che c’è scritto nel ‘bugiardino’ (il foglietto che accompagna il farmaco) , ripeto ‘sotto controllo medico’, un controllo che trattandosi di sofferenza psicologica deve considerarsi in modo particolare come sostegno e terapia psicologica.
Insieme allo psicoterapeuta si compie un lavoro psicologico su se stessi, sulla conoscenza delle ragioni profonde, che sono diverse da persona a persona, si può giungere a capire, a capirsi e a guaririre attraverso una vera e propria trasformazione del proprio essere. Ricordo che la parola PSICOTEARAPIA vuol dire SERVIRE l’ANIMA… quindi curarla… detto ciò si comprende che un farmaco, per quanto in certe circostanze e sotto controllo, sia utile, non può veramente servire e curare l’anima…
La psicoterapia consente un processo di guarigione quando si instaura una forte alleanza e fiducia tra terapeuta e paziente, e quando, passo, dopo passo, un po’ alla volta, porta ad una trasformazione rigeneratrice. Si tratta di un processo lento, ma indispensabile per migliorare la propria vita (e quella di chi ci sta vicino) e per guarire da sofferenze psicologiche che, spesso sono terribili, le cui radici non retrocedono nemmeno con gli psicofarmaci più potenti.
La psicoterapia vi aiuta a comprendere le cause interne dei vostri problemi affinché le si possono affrontare ed eliminare (in tal modo si avrà più energia per affrontare e risolvere i problemi e le influenze negative esterne, che ci derivano dall’ambiente o da altre persone).
Questo processo di comprensione di Sé (il nucleo dell’Anima – vedi articolo nel blog su LA ROSA SIMBOLO DEL SE’), si fa attraverso la DIA-GNOSI che vuol dire dal greco ‘conoscenza a due’. Infatti non è possibile auto-conoscerci se non c’è un DIA-LOGO cioè uno scambio di parole e di pensieri che ci permette di vedere e di sentire quelle parti di noi che altrimenti sarebbe impossibile vedere e sentire e che sono disturbanti – cioè il complesso – ma che contengono anche elementi positivi da recuperare. Questa DIA-GNOSI è già la TERAPIA, più la si approfondisce e più la terapia è efficace, infatti (come Freud ha dimostrato) quando una persona riesce a far diventare coscienti certi conflitti che sono nell’inconscio allora riesce a liberarsene.
Carl. G. Jung ha chiamato ‘complesso’ quel nucleo inconscio problematico che – senza che ne siamo consapevoli – ci condiziona spesso negativamente e, che in determinate circostanze può provocare effetti davvero devastanti (addirittura condurci al suicidio o a comportamenti pericolosi per noi e per gli altri). La psicoterapia junghiana (verso la quale Albedo associazione culturale è più orientata) attraverso strumenti conoscitivi messi a punto con decenni di ricerche teoriche e cliniche, aiuta il paziente a conoscere il suo proprio intimo ‘complesso’, affinché possa esserne depotenziata la virulenza e poi anche trasformata la carica negativa in un’energia rinnovatrice e benefica. Infatti gli stessi ‘complessi’ che fanno stare male, se vengono compresi, interpretati – accolti nel loro linguaggio fatto di simboli, fantasie, sogni, immaginazioni – si trasformano, così come il rospo si trasforma in principe (anche se non viene baciato dalla principessa). Infatti il nostro inconscio ci infligge dure sofferenze, esasperando le cause esterne che pure ci sono e che spesso sono anch’esse tremende, perché in tal modo cerca di dirci qualcosa, cioè vuole che ci occupiamo del ‘complesso’, che ne teniamo conto, che lo sciogliamo e liberiamo le sue energie positive (che altrimenti resterebbero imprigionate da quelle negative). Quindi il successo della psicoterapia dipende dall’alleanza psicoterapeutica tra terapeuta e paziente, dagli strumenti analitici e conoscitivi che il terapeuta impiega e condivide con il paziente e dalla capacità del paziente di essere … paziente, cioè di impegnarsi con fiducia in se stesso e nel lavoro di analisi con il terapeuta.
Ma c’è un ulteriore elemento che è fondamentale.
La DIA-GNOSI, la conoscenza a due del ‘complesso’ diventa terapeutica quando tra paziente e terapeuta si instaura una relazione affettivamente propizia, vale a dire tecnicamente, un ‘trasfert positivo’, cioè un insieme di pensieri e sentimenti che anche se non vengono espressi verbalmente vengono intuiti e percepiti nell’anima di entrambi. E’ come se le energie psichiche del paziente e del terapeuta si contaminassero a vicenda al fine di affrontare il complesso in modo nuovo, per eliminarne le parti negative e raccoglierne quelle buone. Così il complesso ‘morboso e perturbante’, che sta nell’interiorità della persona, – e che le sostanze farmacologiche e le droghe non possono conoscere né scalfire – un po’ alla volta si apre e ne vengono fuori i semi per una rinascita.
La psicoterapia è un trattamento per servire l’anima (come fa notare il post-junghiano J.Hillman psiche = anima , terapia = servire). La parola ‘Trattamento’ a suo volta vuol dire ‘tirare fuori’, liberare, aprire affinché dal complesso patogeno venga tratta fuori l’energia benefica da impiegare positivamente, e quella malefica per farla defluire e liberarsene.
I benefici della psicoterapia sono immediati e sono cumulativi. Ogni seduta consente di fare un passo avanti verso il benessere interno e ci dà un sostegno nei momenti più difficili, ma seduta dopo seduta, si crea un percorso che, se svolto con cura ed amore, dal terapista, ma anche dal paziente, quindi insieme, porta ad accumulare le risorse benefiche e a scaricare quelle malefiche. La psicoterapia è a tutti i livelli un metodo di terapia per un’ampia gamma di patologie e disturbi mentali, ma lo psicoterapeuta non si avvale di psicofarmaci. Detto ciò, la psicoterapia non si pone come un metodo di cura contro gli psicofarmaci – in certi casi se il paziente ne sente proprio il bisogno, lo psicoterapeuta farà presente al medico psichiatara la situazione affinché venga prescritto il farmaco giusto.
Solo che lo psichiatra o il medico, non hanno il tempo di fare la DIA-GNOSI come la si fa in psicoterapia, quindi quando prescrivono il farmaco devono essere molto intuitivi e non sempre riescono ad individuare quello giusto (ecco perché spesso si devono cambiare i farmaci e i dosaggi). Quindi se si prendono gli psicofarmaci c’è un motivo in più per fare la psicoterapia, innanzitutto quello di riuscire a liberarsene perché comunque hanno effetti collaterali indesiderati e dannosi, e poi perché se proprio bisogna prenderli è opportuno che il medico psichiatra che li prescrive possa avvalersi del parere di uno psicoterapeuta che viene a conoscenza di problematiche profonde del paziente.
La psicoterapia junghiana è fondamentale per liberarsi dall’energia negativa dei complessi e far scaturire da essi l’energia positiva… così dal male può venire il bene… Con la psicoterapia junghiana il rospo si trasforma in principe… anche senza il bacio della principessa.
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Per un primo chiarimento on line rivolgiti al Dott. Pier Pietro Brunelli pietro.brunelli@fastwebnet.it
Il Dott. Pier Pietro Brunelli applica i principi della Psicologia analitica junghiana che fanno riferimento al Processo di individuazione, cioè a quel fondamentale percorso vitale che Jung aveva così denominato per indicare il più elevato livello di conoscenza del proprio Sé, il centro della persona umana che sta in relazione con la propria individualità, ma anche con l’universo (nexus rerum – la connessione del tutto, il ‘punto di unione’ della totalità in ciascun essere … il cui raggiungimento è il verso e il fine di ogni processo di guarigione dalla sofferenza psichica).
Articolo molto illuminante, mi trova assolutamente d’accordo. Fra l’altro, sono laureata in farmacia – anche se non esercito più da anni – e conosco gli aspetti positivi e negativi dei farmaci; so che in determinati casi devono essere impiegati…ma giustamente, come scrive Lei, vanno prescritti da uno specialista, e con un dosaggio ben definito che deve essere seguito scrupolosamente dal paziente. In questi casi, il “fai da te” può essere molto negativo…eppure so che c’è questa tendenza da parte di molte persone. Grazie Dottore, buona domenica!
Grazie Carla, se vuole dare ulteriori indicazioni con la sua esperienza, eventualmente anche con un articolo, ne sarei lieto. Cordialissimi saluti
Buonasera Dottore, La ringrazio molto per la risposta. Ora qui posso scrivere informazioni di carattere generale per quanto riguarda la mia esperienza in campo lavorativo; probabilmente, molte persone che leggono gli articoli di questo blog, le conoscono già…ma un “ripasso” non fa male a nessuno, neppure a me, ovviamente.
Come premessa, vorrei dire che i farmacisti seguono un corso di laurea in Farmacia, che è ovviamente diverso dal corso di laurea in Medicina. Ovvero, anche noi diamo un esame di Anatomia, ma è un esame molto molto meno dettagliato rispetto ai medici. Diciamo che studiamo molta chimica, e le materie più importanti per noi sono Chimica Farmaceutica e Farmacologia, materie che riguardano specificamente i principi attivi utilizzati in Medicina. Studiamo quindi la composizione chimica dei principi attivi, le loro proprietà terapeutiche, le indicazioni terapeutiche, i dosaggi e le modalità di assunzione, le eventuali controindicazioni, i meccanismi d’azione, gli effetti collaterali ed indesiderati, le eventuali interazioni con altri principi attivi assunti contemporaneamente o anche con cibi e bevande.
Fatta questa premessa, quindi, va detto che un farmacista non può e non deve sostituirsi al medico, ovvero non può fare di testa propria e decidere di somministrare un determinato farmaco ad un paziente senza l’autorizzazione del medico. Pertanto, se una persona entra in farmacia per acquistare un farmaco e gli viene richiesta la ricetta, non significa che il farmacista “non capisce niente” o è “cattivo”…il farmacista sta solo facendo il suo dovere. Ovviamente, non si parla di piccoli disturbi, tipo un lieve arrossamento agli occhi, o una puntura di zanzara, per cui ci sono i farmaci da banco, che in genere possono essere utilizzati tranquillamente.
Ciò che scrivo, vale per qualsiasi farmaco, e naturalmente, come giustamente Lei fa notare, anche per gli psicofarmaci, che vanno assunti seguendo scrupolosamente le indicazioni dello specialista; solo lui può valutare, attraverso il colloquio con il paziente, la descrizione dei sintomi ed anche la sua esperienza, quale può essere, eventualmente, il principio attivo più idoneo ad aiutare il paziente..anche perchè la chimica interna delle persone varia, a seconda dei momenti, dell’età e di tantissimi altri fattori, ed è solo uno specialista che può stabilirlo. Questo è essenziale, perchè non si può ad esempio interrompere di colpo un trattamento di questo tipo; è solo il medico, che può stabilire se scalare la dose, o aumentarla, o cambiare il farmaco…l’interruzione improvvisa potrebbe causare sindrome d’astinenza, e questo non tutti lo sanno, o non ci fanno caso. Anzi, nei periodi in cui lavoravo in farmacia, capitava che alcune persone richiedessero un farmaco anzichè un altro, perchè “un amico lo prendeva e gli aveva fatto bene”…nulla di più sbagliato, ogni persona è un caso a parte.
E’ vero che tutto questo sta scritto sul “bugiardino”; ma va anche detto che non sempre è ben comprensibile, perchè per esempio non tutti possono sapere cos’è l’atassia…oppure altri termini medici di uso non proprio comune.
Concludendo: compito del farmacista è anche fare una specie di “educazione sanitaria”, ovvero informazioni sui farmaci, consigli, suggerimenti…tenendo sempre presente che si ha di fronte una persona con i suoi problemi, i suoi disturbi, la sua storia…e quindi, essere sempre disponibile ed attento alle esigenze di chi gli chiede aiuto.
Spero di essere stata di aiuto a qualche persona, scrivendo queste considerazioni personali…e ringrazio ancora Lei, Dottor Brunelli, per la Sua accoglienza e disponibilità.
Buona serata a tutti.
Gentilissima Carla , grazie per questi suoi preziosi chiarimenti. La invito quando può a dare uno sguardo anche all’articolo sugli antidepressivi al presente link https://www.albedoimagination.com/2010/03/antidepressivi-meglio-psicoterapia-arte-e-socializzazione/ sarebbe interessante anche qui un suo punto di vista. Cordialissimi saluti.
Bellissima metafora quella del principe imprigionato nel corpo di un rospo come un complesso che all’interno dell’individuo in un certo momento della sua vita, blocca le energie buone all’interno di una più generale negatività del particolare complesso di cui è portatore e dal quale possono con il tempo, attraverso un lavoro su se stesso e con se stesso, liberarsi energie positive, così come un principe può riapparire nella sua bellezza e dinamicità.
Forse, quando il principe si scopre tale, nella sua bellezza interiore, può anche accettare meglio le sue parti più oscure?