Cos’è il dono? A Natale si fanno e si ricevono regali, qual’è il senso profondo di ciò? Quali sono le origini arcaiche del donare, e come ciò si collegava all’amore e alla solidarietà?
Nella società primitiva, un dono senza controdono è pressoché inconcepibile, così come nella società attuale è inconcepibile comprare qualcosa da qualcuno senza ottenere questo qualcosa; in entrambi i casi si rileverebbe la truffa e l’immoralità.  Malinowski -. il celebre antropologo – ci fa notare che, tra gli abitanti delle iso­le Trobriand, il dono gratuito, seppure esiste, viene con­siderato ingiustificato, e quindi in ogni caso se ne deve comprendere lo scopo.

“Si deve ricordare che i doni casuali o spontanei, come l’elemosina e la carità, non esistono, poiché tutti quelli che sono nel bisogno vengono mantenuti dalle proprie fami­glie. Inoltre vi sono tanti obblighi economici ben defini­ti, connessi con la parentela e l’affinità, che chiunque ha bisogno di una cosa o di un servizio saprà dove andarlo a chiedere. E quindi naturalmente non saranno doni liberi, ma doni imposti da qualche obbligo sociale” (1922:184).

Un esempio che evidenzia in modo particolare il pensiero dei trobriandesi circa il dono gratuito riguarda la rela­zione padre-figlio. Malinowski spiega che questi indigeni non conoscono la paternità fisiologica, per cui,il padre risulta essere non un genitore, ma solo il marito della madre. Quando il padre prova affetto per i ‘figli di sua moglie’, lo esprime attraverso doni e cure, che natural­mente non possono essere contraccambiati. Tuttavia gli in­digeni spiegano che i doni del padre ai figli sono una forma di risarcimento per le relazioni sessuali che egli vive con la madre. Questa logica, che ai nostri occhi può apparire alquanto brutale, si verifica nel corso di tutti i rapporti che implicano un coinvolgimento amoroso e ses­suale:

“L’amore disinteressato è praticamente sconosciuto fra questa gente dai costumi sessuali assai rilassati e o­gni volta che una ragazza accorda i suoi favori ad un a­mante si devono fare immediatamente alcuni piccoli doni” (Malinowski, 1922:188)

Va ricordato che, alle origini della storia della pro­stituzione, vi è una concezione sacra che si collega con i valori simbolici del dono e dell’ospitalità. Ad esempio, Erodoto, racconta della prostituzione sacra esercitata nei templi spiegando che era considerata come uno scambio di doni reciproci senza contrattazione (cfr. La descrizione del complesso sistema di prostituzione sacra nelle Sto­rie).

George Bataille osserva: “[…] se dapprincipio la pro­stituta ricevette somme di denaro od oggetti preziosi, si trattò di un dono: la prostituta si serviva dei doni che riceveva per le spese sontuarie e per i vezzi atti a ren­derla più desiderabile […] La legge di questo scambio di doni non era la transizione mercantile” (Bataille, 1957:141).

Così, la relazione amorosa veniva considerata come uno scambio, forse il più desiderabile (cfr. Mead, 1935), e comunque, sempre vincolato al principio di reciprocità del dono.

E’ sorprendente notare come, nelle tesi di Lévi-Strauss, il principio di reciprocità abbia influito sulle origini del matrimonio e sulle “strutture della parentela”. Egli osserva che il tabù dell’incesto è il perno di una strut­tura sociale organizzata intorno al principio di recipro­cità: “Lo scambio, fenomeno totale, è innanzitutto uno scambio totale che abbraccia le cibarie, gli oggetti fab­bricati e la categoria dei beni più preziosi: ossia le donne” (Lèvi-Strauss, 1947:111).

Nella società primitiva la donna è considerata “il bene più prezioso”, la sua capacità di creare la vita era es­senziale per l’economia di gruppo e ciò le conferiva valo­ri magici e simbolici. Essa era l’anello più forte con il quale una famiglia si congiungeva ad un’altra, la forza di questo anello, sarebbe garantita dal tabù dell’incesto.

La considerazione di Lévi-Strauss, che può sembrare un po’ cinica, è quella di paragonare alcuni aspetti dell’in­cesto con il consumo di alimenti pregiati e di lusso, i quali ancora oggi servono a testimoniare la volontà di fe­steggiare collettivamente, e quindi ad esprimere il senso della reciprocità: “Una bottiglia di vino vecchio, un li­quore raro, un foie gras, invitano gli altri a far echeg­giare una sorda rivendicazione nella coscienza del pro­prietario: sono bevande o vivande che non potremmo compe­rare o consumare da soli senza un vago, sentimento di col­pa […] Sembra che in questo compimento individuale di un atto che normalmente richiede la partecipazione colletti­va, il gruppo percepisca confusamente una sorta di incesto sociale”. Dunque, nelle culture di tutto il mondo, gli a­limenti più preziosi e prelibati devono essere offerti e consumati nelle occasioni di festa, per dimostrare che si dà agli altri quanto si ha di meglio. Secondo Lèvi-Strauss tali tradizioni di reciprocità avrebbero origine nel tabù dell’incesto. Infatti, nei tempi arcaici il bene più pre­zioso era rappresentato dalle donne.

George Bataille per spiegare il pensiero di Lèvi-Strauss si ispira a queste considerazioni: il padre che sposasse la propria figlia, il fratello che sposasse la propria so­rella sarebbero simili al possessore di spumante, il quale non invitasse mai gli amici, che bevesse da solo tutte le bottiglie che ha in cantina. Il padre deve inserire quella ricchezza che è sua figlia, il fratello quella rappresen­tata dalla sorella, in un circuito di scambi cerimoniali. Egli deve darla in dono, ma il circuito presuppone un com­plesso di norme ammesse in un dato ambito come avviene con le regole del gioco” (1957:217). .

Le regole del gioco con­sistono nel principio di reciprocità: il padre che dona la figlia sa di creare un’alleanza, ma inoltre alimenta quel ciclo di scambi per cui suo figlio , o suo nipote riceve­ranno a loro volta una donna.

L’istituzione del matrimonio, da sempre è accompagnata da un notevole flusso di regali, questi assieme ad altri oggetti e simboli di natura cerimoniale si possono consi­derare come una sorta di pegni per fortificare ulterior­mente l’alleanza tra le famiglie degli sposi. Ma come fa notare Lévi-Strauss il regalo più importante che viene ce­lebrato nel matrimonio è la sposa: “In effetti la donna stessa non è altro che uno dei regali, il regalo supremo tra tutti quelli che si possono ottenere soltanto sotto forma di doni reciproci” (1947:117)

 Che la sposa venga considerata come una specie di su­blime regalo,è testimoniato dalle parole e dai modi di di­re di molte lingue, ad esempio: “dare in moglie la fi­glia”, “chiedere in moglie una ragazza”.

Queste considerazioni possono sembrare immorali a causa del nostro etnocentrismo, così come spiega Sahlins: “[…] se si decide anticipatamente che il mondo in generale è differenziato, come lo è il nostro in particolare, una co­sa essendo i rapporti economici e un’altra quelli sociali (parentali), allora parlare di gruppi che si scambiano donne sembra un immorale estensione del commercio al ma­trimonio e un’infamia per tutti quelli coinvolti nel traf­fico […] L’ordine primitivo è generalizzato. Non vi ap­pare una chiara differenziazione delle sfere in sociali ed economiche, Quanto, ad esempio, al matrimonio, non è che si applichino operazioni commerciali a rapporti sociali, ma il fatto principale è che non avviene mai una completa separazione tra gli uni e gli altri” (Sahlins, 1972:187).

Ma, come giustamente osserva Ida Magli, l’ordine primi­tivo di cui parla Lévi-Strauss era fondato su un regime di sacralità patriarcale; solo in virtù del potere maschile la donna poteva essere considerata alla stregua di uno strumento produttivo da scambiare ( cfr. Magli,1980 e 1981).

Tuttavia se guardiamo alla vita di certi popoli primiti­vi, come ad esempio i polinesiani, possiamo trovare in queste genti il senso della purezza e dell’amore, di un e­rotismo libero da complessi, vissuto in armonia con la na­tura.

Se pensiamo all’amore come ad un reciproco donarsi, dai tempi più remoti fino ad oggi, nulla dovrebbe essere muta­to, da sempre i due innamorati fondono i loro animi scam­biando qualcosa del proprio essere. Ma che cosa in realtà viene scambiato? A questa romantica domanda, destinata a rimanere per sempre velata dalle segrete esperienze di o­gnuno, vorremmo dare una risposta attraverso le parole di Erich Fromm: “La sfera più importante del dare, tuttavia, non è quella delle cose materiali, ma sta nel regno umano. Che cosa dà una persona ad un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso, dà una parte della sua vita. Ciò non significa necessariamente che essa sacrifichi la sua vita per l’altra, ma che le dà ciò che di più vivo ha in sé; le dà la propria gioia, il proprio interesse, il pro­prio umorismo, la propria tristezza, tutte le espressioni e manifestazioni di ciò che ha di più vitale. In questo dono di sé stessa, essa arricchisce l’altra persona, su­blima il senso di vivere dell’altro sublimando il proprio. Non dà per ricevere; dare è in sé stesso una gioia squisi­ta.

Ma nel dare non può evitare di portare qualche cosa alla vita dell’altra persona, e colui che riceve si ri­flette in essa; nel dare con generosità, non può evitare di ricevere ciò che le viene dato di ritorno. Dare signi­fica fare anche dell’altra persona un essere che dà, e en­trambi dividono la gioia di sentirsi vivi. Nell’atto di dare qualcosa nasce, e un senso di mutua gratitudine per la vita che è nata in loro unisce entrambe” (Fromm, 1956:33).

L’amore, dunque, è quel meraviglioso equilibrio in cui il senso del dare e quello del ricevere sono inseparabili. Laing osserva: “L’io, quanto più riceve, tanto più sente il bisogno di dare. Quanto meno l’altro può ricevere, tan­to più l’io avverte il bisogno di distruggere”(1959:95). Vale a dire che, quando il dare e il ricevere non possono essere percepiti contestualmente, l’amore perde il suo e­quilibrio, l’io tende a distruggere quella parte di sé che dà, e che non sente più di poter ricevere.

Gli studi etimologici sulla preistoria delle lingue in­doeuropee rivelano che un tempo le nozioni di dare e di prendere erano intrisecamente legate, quasi che i popoli antichi fossero assai più consapevoli di noi contempora­nei, rispetto alla reciprocità insita nel dono e nell’amo­re. Emil Benveniste osserva “L’ittitta che dà alla radice (do-) il senso di prendere invita a considerare che in in­doeuropeo ‘dare’ e ‘prendere’, per così dire si ricongiun­gono nel gesto (cfr. ingl. to take to)” (Benveniste, 1969:59).

Anche Lèvi-Strauss propone alcuni esempi linguistici da cui si rileva l’indissolubilità tra il dare e il prendere: “Nel campo così caratteristico delle prestazioni alimenta­ri (di cui i banchetti, i té e le serate attestano il per­sistente vigore), è lo stesso linguaggio a dimostrarci, con l’espressione ‘dare un ricevimento’ che tra noi, come in Alaska o in Oceania, ‘ricevere’ è ‘dare'” (Lévi- Strauss, 1947:106).

Le conclusioni di ordine morale a cui possiamo giun­gere non dovrebbero riguardare l’amore in quanto sentimen­to verso una sola persona, ma all’amore come sentimento u­niversale, rivolto alla cooperazione e alla solidarietà.

Non intendiamo riferirci all’etica cristiana della cari­tà, ma piuttosto a quella della società primitiva in cui la carità non esisteva, poiché l’obbligo della reciprocità generalizzata, per amore o per forza, era la legge su cui si fondava il bene dell’intera collettività. Pertanto, l’esortazione di Mauss a conclusione del suo Essai, è la seguente: “Si adotti, dunque, come principio della nostra vita, ciò che è stato e sarà sempre un principio: uscire da sé stessi, dare, liberamente e per obbligo; non c’è il rischio di sbagliare. Lo afferma un bel proverbio maori:

Ko Maru kai atu

Ko Maru kai mai

Ka ngohe ngohe.

‘Dai quanto ricevi, tutto andrà bene'” (1)

(1) [la traduzione letterale è probabilmente la seguente: ‘ Quanto Maru dà, tanto Maru prende, e questo è bene, be­ne’. Maru è il dio della guerra e della giustizia] (Mauss, 1923:277).

Tratto da IL DONO – INDAGINE SEMIO-ANTROPOLOGICA
(Prima Tesi di Laurea di Pier Pietro Brunelli con il Prof. Umberto Eco – DAMS – BOLOGNA, 1990).