Tanto si dice e si scrive sulla depressione. Tutti sanno più o meno cos’è. Lo sanno meglio chi l’ha conosciuta sulla sua pelle e ancora di più chi la conosce in questo momento, mentre legge. Ci sono depressioni maggiori, quindi profonda tristezza e malinconia che impedisce qualsiasi slancio vitale per molti mesi, e minori, cioè meno gravi, ma che sono comunque dolorose e durature. In questo secondo caso si riesce ancora a sorridere e a simulare una certa efficienza, ma nel proprio intimo non si ha più fiducia in se stessi, nella vita e nel mondo. In genere si riesce a fare solo le cose principali, quelle secondarie che potrebbero comunque dare un po’ di entusiasmo alla vita si mettono da parte.  Ci sono depressioni reattive, cioè dovute ad un evento o a un periodi doloroso: un abbandono amoroso o di un famigliare, un’ingiustizia, un licenziamento, una qualche forma di mobbing, una malattia. La pandemia e la precarietà lavorativa determinano sindromi ansioso-depressive che possono aggravarsi in relazioe a vossuti personali. Un lutto in genere una depressione ‘normale’  che pertanto non può considerarsi vera e propria depressione, a meno che non si prolunghi per molto tempo (si considerano circa 9 mesi). Ma ci sono anche depressioni endogene che sopraggiungono senza un motivo apparente, anche se le cose non vanno poi tanto male. A volte le due forme, endogena e. reattiva, si evolvono in parallelo. E poi in ogni depressione c’è sempre una qualche forma ansiosa, di preoccupazione, di paura di non farcela, nel presente, come nel futuro. Le depressioni attengono comunque ad una dimensione del passato che si addensa di rimorsi, rimpianti, nostalgie, malinconie, perdite, sensi di colpa, atti mancati, incapacità… tutto ciò che non avrebbe consentito di dirigersi verso un presente che poteva essere migliore. Il presente allora si addensa di nubi grige, plumbee che paventano un futuro senza più sole. Manca l’amore, manca ma senza avere più la forza di cercarlo.  E non solo manca l’amore, manca anche la consapevolezza, la voglia di comprendere nel profondo.

Si cade in depressione a volte perché si è stati abbandonati, feriti nell’anima, umiliati. Oppure soltanto non si sa bene perché, ma solo che vivere non ha più senso. Ci si lascia vivere, mentre dentro si muore e talvolta si fantastica di voler morire e poi si teme di morire avendo vissuto invano. Allora si viene abbandonati anche da se stessi.  Fino a quando non accade un evento terapeutico o si compie un processo terapeutico nulla è capace di smuovere quel senso di tristezza che vibra in ogni istante del flusso vitale. Coglie di sera prima di addormentarsi, nei risvegli notturni, al mattino, quando fa svegliare troppo presto e non ci si vuole più alzare. E poi accompagna tutto il giorno, come se ogni ora ci fosse un funerale e un altro stia per arrivare. Tutto è vacuo, privo di valore, vano, senza scopo, se non quello di soffrire per poi morire. I ricordi belli sembrano fotografie ingiallite che tendono a svanire. Luoghi, momenti, persone, cose che un tempo recarono gioia, motivazione, vita sono sentite come lontanissime, così lontane che non potranno essere riavvicinate mai più.

Ci sono poi le cosiddette nuance depressive, cioè sfumature emotive e umorali, forme depressive leggere che spuntano come aliti appannati sul vetro, che colgono un po’ a caso, durante la giornata o non fanno dormire di notte. Arrivano come scampoli di nuvole passeggere senza un preciso perché,  anche quando tutto dovrebbe essere sereno… e tu sai che magari quella nuvola grigia nel cielo azzurro la vedi solo tu, mentre gli altri sono sereni e sorridono, ma sai che quella nuvola c’è, solo per te, nel tuo cuore, ma c’è!

E poi, anche se non si è propriamente depressi, ci sono le forme maniaco-depressive, bipolari di vario tipo ( anche leggere, ma pur sempre sfibranti), quelle che tormentano in varie forme di sù e giù dell ‘umore, senza che vi sia nessun motivo minaccioso ed effettivo imminente, se non quelli che tutti possono trovare ad ogni momento, come la fine del mondo, la morte, la malattia, la guerra, la vecchiaia, la solitudine, il terremoto o altre disgrazie e sciagure. Sono immagini angoscianti, ansiogene e depressogene, che passano nella mente e ci stanno più o meno a lungo come un caleidoscopio del dolore e dell’angoscia che non si riesce a togliere dall’occhio fisso della mente depressa. Il male domina, il bene è perdente. Allora può capitare che si venga colti da una specie di entusiasmo eroico, straordinario, ovvero maniacale. Qualcosa di effervescente e miracoloso appare all’orizzonte come un miraggio che si può agguantare una volta per tutte. Una grande occasione, un grande ideale, un invasamento mistico, un terno al lotto che arriverà, o l’amore della tua vita che ti travolgerà e ti porterà sulle vette del mondo. E poi… e poi la caduta, e di nuovo giù, giù nella valle depressiva. E tra queste oscillazioni, che a seconda dell’entità del disturbo possono essere più o meno forti avviene anche che si pensi di farla finita: la fantasia suicidaria, oppure il suicidio della fantasia, quando niente si può più creare e tutto appare distrutto, irreparabile o in via di decomposizione.

Come siamo fragili! Come siamo esposti nell’anima! Quanto male possiamo farci e possiamo fare a noi stessi e agli altri quando non ci prendiamo più cura del nostro essere profondo, oppure quando nonostante il nostro prenderci cura veniamo sopraffatti dall’oscurità, per via di un oscuro destino, di un karma incomprensibile, come una maledizione o una iattura. Gli altri non si accorgono del nostro dolore e noi non vogliamo che se ne accorgano e non ci accorgiamo del loro. Dobbiamo armarci di tutto il narcisismo che ci rimane per mascherarci, per nasconderci e nello stesso tempo apparire ancora in piedi, magari pure impavidi. Ma così facendo occultiamo il malessere e ci aggreghiamo al girone degli indifferenti, nel quale la hanno vinta soprattutto gli egoisti, gli iracondi, i prepotenti… una vittoria di Pirro, ottenuta solo diventando senz’anima e senza cuore. No, non si può mettersi contro la vita per paura della vita, anche perché alla lunga non ci si riuscirà e si verrà trascinati sempre più in una corrente di follia e di morte interiore. Ma il rischio è anche che per difendersi dalla depressione ci si mettano in atto strategie per deprimere la vita, e quindi per ferire, parassitare, sottomettere gli altri. E questa poi è l’essenza del narcisismo patologico, riassumibile contorcendo un vecchio adagio latino mors tua vita mea, solo che la vita mea è poi un ingorgo di pulsioni distruttive, mortifere e degenerative a spese soprattutto degli altri.

Noi psicoterapeuti abbiamo tutti i giorni a che fare con le varie forme di male depressivo dell’anima, e che aleggiano come vampiri intorno alle persone. Ci si deprime per la negatività degli altri, ma anche perché non si ha la capacità o la volontà di mettersi in discussione e guardare alle proprie negatività, immaturità e debolezze. E allora ecco che queste forze negative, insite nell’animo umano di ciascuno, anche il più buono e il più puro, restando sconosciute vengono alla scoperto e si impossessano del campo vitale rendendo arida la terra, tetro il cielo, putrescenti le acque. Sono immagini che abbondano nei sogni e nelle immaginazioni dei depressi di ogni tipo. E sono immagini che vogliono essere comprese, non solo scacciate via con qualche pastiglia, droga o qualche atto di fuga, di stravaganza, di agitazione pseudo-ravvivante, che poi è il l’ingresso ad un qualche rovinoso versante maniacale.  Le ombre della depressione vengono dall’archetipo dell’Ombra (Jung) dell’anima-psiche. Un archetipo che si ribella con i suoi sintomi destabilizzanti, e si ribella anche perché è stato silenziato, rimosso, relegato nei sotterranei dell’anima, sui quali sono stati costruiti narcisismi, ignavie, ambizioni, esaltazioni, attaccamenti morbosi, che non tenevano conto del mondo interiore, della sua natura spirituale e animica. Noi non siamo solo vittime degli altri, anzi a volte lo diventiamo perché siamo vittime della nostra Ombra rimossa e silenziata. La dimentichiamo quando mistifichiamo i nostri limiti, i nostri partiti presi, le nostre vanaglorie ostinazioni, i nostri difetti che tendiamo sempre a giustificare come se fossero solo gli effetti dei difetti di qualcun altro, della società o del sistema.  Allora le ombre depressive che vengono dall’Ombra, sentendosi incomprese e raggirate,  invadono l’anima-psiche delle persone come un Alien, e si impossessano di loro, succhiano la loro energia dal di dentro. Loro siamo noi, siamo noi quando cadiamo in preda della depressione. E può accadere a tutti, in forme assai diverse, ma nessuno è escluso. Anzi talvolta è la sfida necessaria affinché ci si possa migliorare accorgendosi che un mondo interiore esiste e che richiede un qualche altro modo di ‘essere al mondo’. Le persone depresse, che siamo stati o che saremo, sono persone che vanno a lavorare, madri e padri, figlie e figli, oppure sono adulti da soli, più soli dei bambini all’orfanatrofio o sono anziani che hanno tutto o quasi per vivere, tranne la voglia di vivere. Come curare questa marea di sofferenze, strazianti o larvate, croniche o acute, micidiali o striscianti? La prima cosa da fare è ascoltare le sofferenze, le preoccupazioni i dubbi di ciascuno e così si scopre che un conto sono i sintomi, più o meno uguali per tutti, ma un’altra cosa sono le ragioni e le esperienze consce e inconsce, per le quali ciascuno manifesta questi sintomi. Ciascuno ha la sua vita intima, la sua storia occulta, la sua natura inconfessabile e ciascuno per guarire, se viene ascoltato deve poter aprirsi e parlare a qualcuno che possa comprenderlo. La depressione, ogni tipo di depressione chiede di essere compresi. Si tratta di una comprensione che va oltre le parole, che si coglie nei gesti, nelle vibrazioni, negli sguardi. E non si parla solo della realtà, m anche di sogni, immaginazioni, fantasie. Ogni intimo vissuto conscio o inconscio può essere espresso e accolto come fosse portato da un qualche invisibile angelo terapeutico. Ciò non vuol dire che debbano essere cose belle, tutt’altro, come potrebbero esserlo se si è depressi. Magari in una pietra di carbone si potrà scorgere qualcosa che brilla, nello sterco si nasconde una coccinella, nella spazzatura c’è un prezioso amuleto. Ma a volte l’anima è piena solo di cose fatiscenti, di brutture e di pesantezze, di immagini divoranti e morenti, di rabbie, odio, morbosità. M tutto ciò va accolto pur sempre con amore, pazienza e dedizione, così come fa il medico quando cura ferite purulente, pus e altre deiezioni che il corpo sofferente elimina senza pietà per se stesso e per nessuno. Ecco allora che la pietà del medico è determinante, ma come ben si sà deve essere subito accantonata, da compassione deve diventare empatia, e poi dialogo, elaborazione, cura, immaginazione, desiderio e vita. Ma sono determinanti anche il coraggio del paziente, la fiducia, la pazienza certamente. Forza! Forza! E anche la forza divina può essere invocata da chi crede in essa, o quella del proprio spirito o dell’umanità intera, o della storia. Secondo Hillman infatti, certe depressioni sopraggiungono perché soffriamo per il decomporsi dello spirito della vita, in quanto siamo impotenti testimoni del disfacimento dell’umano e della natura. Eppure se ci resta anche solo un pulviscolo di luce vitale questa ci aiuterà a non restare totalmente al buio, e allora potrà iniziare un percorso che dal sottosuolo riporta alla vita e indica nuovi orizzonti, nuovi respiri di libertà. Liberarsi dalla prigione depressiva dipende anche dal mettere in atto un processo rivoluzionario e trasformativo della propria esistenza, come in un atto di ribellione.  Depressione è anche oppressione e repressione, occorre quindi lottare per emanciparsi e il terapeuta un guerrigliero di pace, con il quale allearsi per un processo di rinascita e di libertà.   Se questo faticoso processo di riscossa, poco a poco riesce  a rendere la persona depressa collaborativa, interessata all’ascolto di chi l’ascolta, allora incomincia a nascere nella psiche un piccolo spazio che si salva dalla depressione. La depressione resta tutta intorno a quello spazio ed è come un mare marcescente che tende sempre ad inghiottirlo. Ma se si tiene duro e si resiste un po’ alla volta quello spazio guadagna altro spazio liberato. Ingloba la depressione come fosse humus, materia putrefatta di scarto che pure diventa essenziale per ridare fertilità a ciò che era divenuto sterile. Allora basta un piccolo seme da gettare in quello spazio, e se lo si innaffia, se si ha pazienza di togliere erbe infestanti che pure si approfittano di quella fertilità, allora qualcosa incomincia a radicarsi e poi piano piano spunta un germoglio. Quel seme è il desiderio, una tensione verso qualcosa o qualcuno che si ama, ma più che altro si tratta di una tensione verso l’amore in se stesso. Quel seme è il migliore e il più autentico antidepressivo possibile, perché nasce dentro di te e trasforma la tua depressione in es-pressione, ri-creazione, ri-generazione.  In definitiva è irrilevante cosa si possa amare o chi, l’importante è che si ritorni ad amare. 

Secondo le metafore alchemiche investigate da Jung, si dovrebbe passare attraverso la Nigredo (opera al nero) dove ogni cosa si corrompe e si mortifica – quindi la depressione –  per arrivare alla Albedo (opera al bianco), dove inizia una purificazione e la luminosità comincia ad albeggiare all’orizzonte del mondo e nel cuore. Nell’Albedo vi è sempre un raggio d’amore che indica una nuova via, e questa via è l’immaginazione, la capacità quindi di avere una nuova visione attraverso il risveglio di una propria guida interiore. Il terapeuta cerca di risvegliare il terapeuta interiore del paziente che era stato inghiottito da un incantesimo tenebroso. Lo inviterà a partecipare gradualmente ad un processo alchemico-terapico e di passaggio dal de-primersi all’ es-primersi.  Quando la forza autoterapica del paziente si sarà ridestata dall’oscurità e sarà in grado di vedere una ‘nuova alba’, potrà incamminarsi verso di essa, e poi verso la Rubedo (opera al rosso), la fase alchemica del compimento, dell’evoluzione raggiunta e del nuovo giorno. Ma potrà farlo anche perché nella sua anima-psiche serberà la conoscenza di ciò che ha imparato passando attraverso le tenebre infernali della Nigredo e perché ha lottato per giungere alla Albedo. * Perciò questo blog si chiama Albedoimagination… per sintetizzare una filosofia e una creatività terapeutica. 

La depressione è in fondo una forma di morte vivente dell’amore e dell’immaginazione. Ascoltare con amore, partecipare con amore al dolore, comprendere con amore vuol dire indurre in una persona depressa una qualche risposta d’amore e di immaginazione. Ed è lì che il seme viene gettato in quel piccolo spazio libero dalla depressione che si è andato a costituire in una terapia al servizio dell’anima (che come ha evidenziato Hillman è nella stessa etimologia della parola ‘psicoterapia’).  Occorrono caritas (l’amore che scende), Eros (l’amore che sale),  esperienza, competenza, pazienza, perseveranza, creatività, visionarietà e tanti altri ingredienti di anima e di scienza e canoscenza. E’ un’alchimia antidepressiva nel laboratorio dell’anima-psiche, da compiersi non soltanto con il terapeuta che mette a disposizione il suo laboratorio nelle sedute, ma poi un po’ all volta e sempre di più anche fuori da esse, nel proprio laboratorio interiore. E’ difficile, è impegnativo, ma è anche avventuroso e appassionate. Provarci è sempre possibile e questo è già un atto d’amore, di immaginazione e di libertà, per se stessi, per gli altri e per il mondo.

Pier Pietro Brunelli, Psicologo-Psicoterapeuta