Appendice ad AGNESE E IL DARDO DI FUOCO  Rommanzo Psico-storico di Pietro Brunelli (L’Arpeggio libero editore, 2022) 

Non è un libro per ragazzi, è un romanzo storico, ma anche psicolgico,  che parla d’amore, di persecuzione e di ribellione. Una narrazione avvincente, piena di suspense e sorprese, all’insegna del romanticismo mistico e della rivolta contro la tirannide. Sotto il decadente Impero di Diocleziano, all’epoca dell’ultima grande persecuzione anticristiana 304 d. C.), il figlio di un corrotto uomo di stato fa stalking sulla giovane cristiana Agnese. La narrazione è un crescendo di emozioni, tra sette segrete, vestali, scugnizzi della suburra, medici e sapienti, despoti e criminali, gente del popolo, lupanari, schiave, donne sagge ed eroiche, guerrieri e imperatori. Un intreccio tra storia e leggenda che racconta una versione laica, ma non blasfema, di Sant’Agnese, una illuminata ragazza di 14 anni che in questo romanzo è un’adolescente come tante altre. Agnese però con il suo eroismo, il suo cuore, la sua intelligenza spirituale rivelerà una forza ineguagliabile, al punto di far mutare le sorti dell’impero romano.

Devo dire la verità, anche grazie alla eccellente cura della casa editrice Arpeggio Libero, specialista nel Romanzo storico, (e mi si permetta di aggiungere: ad anni e anni di mia ricerca creativa) il libro è un ottimo lavoro. Direi che è un Romanzo ‘PsicoStorico’ sui sentimenti di ombra e di luce dell’anima umana e anche sulla questione delle ingiustizie sociali, soprattutto quelle che colpiscono maggiormente la condizione femminile. L’ intricato e avventuroso racconto si ambienta nella Roma del III secolo al tempo dell’ultima persecuzione cristiana – ma i temi sono quanto mai attuali: violenza sulle donne, intolleranza religiosa, iniquità sociale, tirannide, ribellione, narcisismo psicopatico e il valore spirituale e umano di relazioni amorose ispirate dal profondo dell’anima e dallle primigenie forze dell’amore adolescenziale, il primo grande amore.
Autore Pier Pietro Brunelli
L’Arpeggio Libero editore
382 pag. 21 euro.
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La figura di Agnese nel contesto di un’epocale trasformazione storica e spiritualeConfidiamo che sia utile e buono quando riusciamo ad avvicinarci ai santi con laicità, a prescindere dalla fede, considerandoli nella loro dimensione più umana, ovvero nei sensi, nelle idee e nei sentimenti. A volte ciò può toccare il mondo interiore ancor di più di quanto possa fare una leggenda mistica o religiosa, quando resta relegata solo alla credenza, al mito e al folklore.

I fatti cruciali e i personaggi emblematici della nostra leggenda su Agnese si collocano ai confini tra fantastoria e storia, tra immaginazione, mistero e realtà.  Sebbene le ricostruzioni storiche e le relative polemiche di fede e di ideologia non siano centrali per la nostra versione dei fatti, dei personaggi e dei luoghi è indispensabile averne almeno un quadro generale più oggettivo.

Per avvicinarsi alla figura storica e religiosa di Agnese[1] è fondamentale fare un po’ di ripasso intorno all’epoca dell’ultima grande persecuzione, durante la quale caddero la maggior parte dei grandi martiri cristiani, e così pure la ‘nostra giovanissima santa’.

Le origini del cristianesimo, più di quelle di ogni altra religione, recano il segno del martirio, così come in principio rivela la storia ed il mistero della crocifissione di Cristo. La prima grande persecuzione avvenne sotto Nerone, nel 64 d.C., durante la quale perirono molte migliaia di persone, e che ebbe tra i suoi martiri Pietro e Paolo.

Nel corso dei primi tre secoli dopo Cristo molti furono i martiri, e solo di pochi conosciamo l’identità e di come vissero e morirono. Tuttavia gli storici più accreditati hanno ridimensionato la reale entità delle persecuzioni contro i cristiani[2]. Solo in rari casi queste furono effettivamente spietate e diffuse verso ampi gruppi di persone. Tuttavia si sa per certo che tutti cristiani restarono sottomessi al potere sacerdotale e militare dell’Impero romano, venendo ora tollerati ed ora perseguitati, in quanto testimoniavano idee e valori di pace e umanità incompatibili con gli interessi di Roma, fondati sulla schiavitù e le guerre di invasione.

Il mitico dio fondatore di Roma era Marte, nume della guerra, e quindi era sotto la sua egida che si doveva perseguire la gloria e la magnificenza della “Città eterna”, come la definì Adriano.

Roma-Basilica-Santa-Agnese-Mosaico

La spiritualità dei romani politeisti esaltava il potere molto più dell’amore, sia tra gli umani, e sia tra gli dei. Per non far adirare le molteplici divinità, ciascuna simbolicamente dominante di specifiche forze ed entità della natura e dell’immaginazione mitica, occorreva propiziarle e non necessariamente amarle. Gli dei capricciosi quanto numinosi andavano soddisfatti costruendo per loro templi e statue, nonché celebrando sontuosi sacrifici, cerimonie, ludi e feste. Lo Stato, oltre ad imporsi con il dominio violento, si legittimava agli occhi dei sudditi tutelando e magnificando il culto, affinché la cosiddetta Pax Deorum – la ‘pace con gli dei’ –  si rivelasse il più possibile propizia e fruttuosa.

Essendo il cristianesimo una religione monoteista, volta ad espandersi universalmente e quindi a fare proseliti (a differenza dell’ebraismo fedele ad un’etnia e alla sua terra), il mondo della religiosità politeista che si costituiva nello Stato romano veniva minacciato, in quanto doveva confrontarsi con una nuova teologia che implicava la sua totale ristrutturazione, ovvero la sua fine. Per quanto gli antichi sacerdoti romani fossero più che tolleranti con gli Dei degli altri – tanto che al Pantheon avevano ospitato Iside degli Egizi e Mitra dei persiani – essi non potevano proprio accettare chi, seppure pacificamente, voleva imporre l’idea di un unico Dio e, conseguentemente, demonizzasse o anche solo disconoscesse le loro divinità.  Il politeismo riconosceva il concetto che ogni popolo, e persino ogni persona poteva avere i suoi dei, e questo poteva valere anche per i cristiani, ma poiché costoro non potevano condividere l’idolatria, il pandeismo, nonché la legittimazione religiosa della ‘legge del più forte’ imposta con la violenza, vennero considerati come nemici da arginare o da combattere con accanimento. Sebbene i cristiani fossero pacifici i loro principi rischiavano di far vacillare la sicurezza dell’impero perché di fatto esprimevano una palese e vasta ribellione non violenta, capace di porre in una condizione di debolezza il potere costituito. Quindi la reazione persecutoria contro i cristiani, oltre che per questioni teocratiche, si scatenò anche per motivi politici ed economici. Va tuttavia sempre ricordato che l’agiografia cristiana ha divulgato un immaginario che mira ad esaltare i martiri dei primi tre secoli ben oltre quella che fu la ‘verità storica’. Di certo i cristiani vivevano in un clima alquanto intimidatorio e vi furono persecuzioni gravi, ma circoscritte a luoghi e a episodi specifici, e quindi in forma assai più limitata di quanto generalmente si è portati a pensare da narrazioni e ricostruzioni di tipo divulgativo ed edificatorio dei valori del cristianesimo.

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I valori di fratellanza e solidarietà permisero al cristianesimo non solo di resistere al clima intimidatorio e alle persecuzioni, ma anche di espandersi in strati sempre più ampi della popolazione, dai ceti più bassi a quelli più elevati. Tale diffusione e ascesa del cristianesimo costituiva un pericolo per le caste patrizie alla base della piramide del potere imperiale, così come per i suoi massimi vertici: consoli, magistrati, prefetti, senatori, capi militari, eminenti sacerdoti e l’imperatore, egli stesso considerato una divinità.

La Madonna con la pistola – Street-Art-a-Napoli-l’unica-opera-italiana-di-Banksy.-

Per i nobili e potenti patrizi devoti agli dei e all’imperatore risultava insopportabile che si potesse anche solo immaginare un mondo senza schiavitù e senza guerre di conquista, ove gli schiavi avrebbero potuto essere indotti a ribellarsi ed i soldati a disertare per motivi e valori religiosi.

Sotto l’imperatore Diocleziano[3], tra il 303 e il 306, vi fu l’ultima grande persecuzione contro i cristiani, di cui fu vittima la stessa Agnese nel gennaio del 305.

Secondo gli storici, in quel periodo l’intera popolazione dell’Impero Romano raggiungeva all’incirca cinquanta milioni di persone, tra le quali vi sarebbero potuti essere anche dieci milioni di cristiani, distribuiti ad oriente come ad occidente. Essi appartenevano ad ogni ceto sociale, anche i più elevati. I più abbienti erano proprietari di case, terreni e officine, ed anche esponenti di corporazioni professionali, della burocrazia statale e persino del senato. Ormai rappresentavano una pericolosa e crescente concorrenza per i ceti che tradizionalmente traevano vantaggi e privilegi in quanto ossequiosi delle caste sacerdotali al potere. Fu così che Diocleziano e il suo braccio destro Galerio promulgarono una serie di editti sanguinari contro i cristiani, lasciando però un ampio margine di discrezionalità nell’applicarli agli amministratori statuali locali, in particolare per ordine di prefetti e magistrati.

In ogni caso le persecuzioni furono più accentuate nelle regioni del medio-oriente, ove accadeva che le carceri si riempissero di cristiani a tal punto che si doveva fargli posto liberando i detenuti comuni. Non era pensabile e nemmeno conveniente arrestare i cristiani in massa, ed erano talmente tanti che non si poteva pensare di sterminarli tutti.

Gli editti persecutori e la loro applicazione anche attraverso la spettacolarizzazione di orrende torture ed esecuzioni nei circhi e nelle piazze, dovevano servire a terrorizzare i cristiani costringendoli a rinunciare alla loro fede e a mostrare evidenti segni di devozione agli antichi dei e all’imperatore, considerato esso stesso divino. Moltissimi cristiani dovettero cedere e per questo vennero detti lapsi (letteralmente ‘scivolati’ ad adorare gli dei per il terrore della persecuzione). E assai probabile che per la maggior parte, i perseguitati finsero di ripudiare il proprio credo (apostasia) e continuarono ad essere cristiani nella massima clandestinità; altri invece vollero resistere apertamente fino ad affrontare i supplizi del martirio.

Tuttavia gli editti persecutori non miravano ad essere applicati in larga scala, ma a permettere ai ceti pagani più potenti, fedeli alle caste sacerdotali imperiali, di tenere i cristiani sempre sotto minaccia, in modo da poterli costantemente vessare e ricattare, estorcendo loro capitali, beni e servigi.

I potentati del grande Impero Romano, sotto il dominio di Diocleziano e Galerio, ovunque si trovassero ad operare ebbero carta bianca per saziare la loro sete di dominio abbeverandosi al sangue dei cristiani. A tal fine questi ‘vampiri legalizzati’ si servivano anche di bande di criminali che avevano il compito di minacciare, angariare, uccidere e, di converso, di ‘vendere protezione’, come è nel tipico stile delle estorsioni mafiose. Intanto le autorità imperiali erano conniventi, oppure chiudevano un occhio e anche due affinché si fosse potuto taglieggiare i cristiani restando impuniti.

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In generale, tutti i regimi dispotici, ancor prima di mettere in atto persecuzioni e stermini in modo plateale, operano con metodi semiclandestini quanto mai crudeli e terroristici, in un vile consorzio tra personalità e gruppi criminali, politicizzati e non. E così fu anche per le persecuzioni contro i cristiani, che per lo più non si attuarono dandoli in pasto alle belve negli spettacoli dei circhi, ma soprattutto con stragi e razzie delle quali il regime si dichiarava estraneo, nonostante fornisse coperture ai mandanti e agli esecutori materiali.

E’ però importante riconoscere che non fu l’intero popolo dei cosiddetti pagani[4] a perseguitare i cristiani, in quanto coloro che lavorano e devono sbarcare il lunario, non hanno interesse a perseguitare chi ha un dio diverso dal loro.  E neppure molti pagani abbienti e potenti vollero partecipare o legittimare l’abominevole persecuzione dei cristiani, e talvolta capitava anche che facessero il possibile per proteggerli.  Inoltre la ‘guerra di religione’ non era avallata dai ‘saperi intellettuali’ più colti e preparati, e neppure dai ‘saperi popolari’ più autentici. Del resto da sempre sono i prepotenti e i violenti che, in nome di un qualche dio o principio soprannaturale, costruiscono pretesti ed alibi per legittimare il loro soprusi dispotici e i loro crimini politici. La Roma imperiale non si caratterizza per le ‘guerre di religione’ a scopo di conquista, eppure l’intolleranza verso i cristiani ed anche verso gli ebrei fu espressa costantemente, in certe fasi in forma subdola e meno acuta, ma in altre in modo veramente efferato, e alla base di ciò vi erano motivazioni economiche, mentre quelle di natura spirituale erano solo un pretesto. Purtroppo, quando nel IV secolo il potere religioso cristiano e quello statale imperiale si allearono, i pretesti spirituali legittimarono sanguinose e vendicative persecuzioni, non solo contro i pagani che resistevano alla conversione, ma anche contro i cristiani ‘eretici’, i quali esprimevano tesi e valori non conformi ai dogmi sanciti dalle autorità ecclesiastiche congiuntesi a quelle statuali. Ma le leggendarie storie dei martiri cristiani, come fu quella ‘ufficiale’ di Agnese, evocano un’originaria e innocente purezza, nella quale risplendono i rivoluzionari fondamenti e principi paleocristiani di pace, fratellanza e amore, che presumono rispetto, dialogo e perdono e non certo guerre e intolleranze religiose. Con ciò va ancora una volta ricordato che il racconto di Agnese e del suo Amore celeste che qui proponiamo, non intende puntualizzare questioni di carattere teologico, storico o politico, ma vuol far riflettere su una ‘psicologia dell’amore’ che, nella sua congiunzione spirituale e carnale è la più grande forza umana per resistere alle molteplici ‘forze del male’, contenerle e possibilmente redimerle, anche nelle condizioni più dolorose ed estreme.

SantAgnese-al-rogo-Ettore-Ferrata 1660 (SantìAgnese in Agone – Piazza Navona Roma))

L’Agnese da me narrata  in AGNESE E IL DARDO DI FUOCO (Arpeggio libero editore, 2002) è la protagonista di una leggenda è eretica, ieratica, erotica ed eroica all’insegna di un ‘romanticismo mistico e un po’ blasfemo’, ove si narra di come un’incantazione sentimentale adolescenziale si congiunse ad un destino di straordinario significato storico e di grande ardore spirituale.

  Che si consideri la fede un dono divino, o una fallace debolezza umana, la figura della nostra Agnese, nel suo ‘senso ultimo’ vuole esortare a scorgere una congiunzione trascendente tra Amore terrestre e Amore celeste.  Ciò risulta con maggior forza quando l’Anima individuale sconfina nell’Anima mundi, e lo Spirito del tempo pulsa nel cuore degli amanti.

[1]  La raccolta più completa sull’agiografia cristiana di Agnese resta quella curata da Domenico Bartolini nel 1858, Gli atti del martirio della noibilissima vergine romana Santa Agnese, nella quale troviamo oltre a documenti storici e immagini archeologiche i testi di Ambrogio, Girolamo, Prudenzio, Agostino, Gregorio Magno, Tommaso d’Aquino, della monaca Rosvita ed altri (ora è disponibile gratuitamente on line in http://books.google.com).

[2] La prima raccolta di testi che parla delle persecuzioni è intitolata Atti dei martiri (Acta martyrum). Si tratta di racconti che, insieme ad altri successivi ‘martirologi’, non sempre hanno una corretta corrispondenza con i fatti storici. In modo particolare hanno avuto funzioni agiografiche e di edificazione del nascente mondo cristiano. Nel corso dei secoli questi scritti sono stati rielaborati ed integrati, talvolta suscitando polemiche circa la loro veridicità storica e la loro effettiva funzione sacra e cultuale.  Il testo storico più attendibile che testimonia dei martiri resta la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (265340).  Secondo molti studiosi la difficoltà di reperire fonti storiche, tra le quali gli atti dei processi e delle condanne inflitte ai martiri, nonché le testimonianze degli stessi cristiani, sta nel fatto che all’epoca dell’ultima grande persecuzione di Diocleziano quasi tutti questi scritti e documenti furono bruciati.

[3] Diocleziano (Salona, 244 – Spalato, 313), veniva dalla Dalmazia e prima di diventare Imperatore si distinse come capo della cavalleria nelle guerre contro i Sasanidi. Fu un grande innovatore della macchina statale al fine di garantire maggiore stabilità all’Impero, insieme ad un miglior welfare per i cittadini romani e in generale per le popolazioni più collaborative e fedeli. Egli condivise il suo potere di Imperatore con altri tre colleghi inventando la “tetrarchia” – il potere dei quattro – per cui oltre a lui e a Galerio, imperavano anche Massimiano e Costanzo Cloro. I primi due risiedevano a Roma e avevano potere sulle regioni orientali dell’Impero, gli altri due stavano a Milano e comandavano le regioni occidentali. La scelta tetrarchica di Diocleziano era dovuta alla constatazione che l’impero era troppo grande e complesso per governarlo con un’unica autorità centralizzata a Roma, ma anche al fatto che da Giulio Cesare in poi almeno il 70% degli imperatori era perito di morte violenta a causa di suicidi, falsi suicidi e congiure per assassinarli e prenderne il posto. In pratica Diocleziano dividendo il potere in quattro, e restandone comunque politicamente il reggente, aveva ridotto di un quarto i mortali rischi annessi alla gloria di fare l’imperatore, considerabile come uno dei lavori più pericolosi del mondo. Nel tempo di Diocleziano l’impero era divenuto fragile per il fatto che nei suoi eserciti erano stati assoldati moltissimi barbari, provenienti da terre conquistate, e tra costoro si contavano anche capi che covano ambizioni di rivincita e di rivalsa. Bisognava proteggere Roma e l’impero da minacce provenienti da disordini e colpi di stato interni, più che da intenzioni bellicose di altri popoli. Dunque Diocleziano vide nei cristiani un fattore di ulteriore destabilizzazione che andava represso dando l’avvio all’ultima crudele persecuzione. Questa non consistette nella spettacolarizzazione della mattanza contro i cristiani come forma di “terrorismo di stato” volto a dominare e a sfruttare i cristiani delle classi più abbienti.

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Diocleziano soffriva di una sorta di disturbo bipolare, con forti sbalzi d’umore dati da cadute depressive e picchi maniacali. Nel 306 si ritirò nel suo magnifico palazzo a Spalato, abdicando al suo ruolo di imperatore. Pare che scelse di dedicarsi prevalentemente ad una delle sue passioni più tranquille che era quella di coltivare ortaggi. E’ possibile che il retroscena di questo ‘ritirarsi in campagna’ di Diocleziano fosse stato dovuto anche alla coraggiosa tenacia dei cristiani? Alcuni risvolti e retroscena a sorpresa sul bipolarismo e il ritiro di Diocleziano, sono qui narrati tra il leggendario e la realtà … Sta di fatto che al declino di Diocleziano, seguì che Costantino, sin dal 306 si imponesse come imperatore capovolgendo il destino dei cristiani, fino al punto che, nel 313, essi divennero detentori dell’unico culto di Stato.  Dopo tre secoli di semi-tolleranza e persecuzione, la Chiesa voluta da Costantino si costituì come il più grande potere politico-religioso della storia.

[4] I cultori e i fedeli delle antiche credenze politeiste e idolatriche furono chiamati pagani – come sinonimo di peccatore sacrilego –  solo quando vennero spodestati e a loro volta perseguiti dalla Chiesa Cattolica, la quale con Costantino si costituì come un totalizzante potere statale, assai spesso punitivo, spietato e intollerante.

Fu così che la Chiesa romana ‘cattolica’ (dal greco katholikòs, cioè unico, assoluto e universale) dovette – in certe sue espressioni di potere clericale – dovette adeguarsi a logiche di interesse e di compromesso che di fatto snaturarono molti presupposti di base del cristianesimo originario che invece era ‘ecumenico’, (dal gr. Oikouméne, per indicare il dialogo spirituale e filosofico tra tutti coloro che ‘abitano la terra’, nel rispetto delle differenti concezioni religiose).