“Del peso, comune a entrambi, della vecchiaia che già abbiamo addosso o almeno si avvicina a grandi passi intendo alleviare me e te, benché sia sicuro che, come ogni evento, la sopporti e la sopporterai con equilibrio e ragionevolezza. Ma quando avvertivo il desiderio di scrivere qualcosa sulla vecchiaia, eri tu che ti presentavi alla mia mente, degno di un dono che potesse giovare all’uno e all’altro di noi, in comune. Davvero la stesura di questo libro è stata per me così piacevole che non solo ha cancellato tutte le noie della vecchiaia, ma ha reso la vecchiaia persino dolce e piacevole. Mai, dunque, si potrà lodare abbastanza degnamente la filosofia [e la psicologia – aggiungo io] che permette, a chi la segue, di vivere ogni stagione della vita senza noie.”
(Marco Tullio Cicerone, La vecchiaia, 44. a.C.)

Questo mio studio ha carattere divulgativo e di sostegno a favore di tutti per la delicata questione dell’invecchiare e della vecchiaia, ma si rivolge anche agli specialisti della psicologia e non solo.

Lo studio è suddiviso in tre parti (in tre differenti link in Albedoimagination su cui è gradita la condivisione sui social), che pur essendo interdipendenti, possono anche essere lette non in successione. Inoltre si trova anche un compendio finale intitolato “Psicoterapia archetipica e poetica della senilità”

In pratica si tratta di un e-book on line gratuito, offerto da Pier Pietro Brunelli (Psicoterapeuta) per le amiche e gli amici di Albedoimagination.

 Rigidità e/o caoticità per invecchiare male

Come è noto, o almeno consueto, l’anziano è più prudente del giovane. Talvolta la sua prudenza è provvidenziale anche per i giovani che lo ascoltano, ma altre volte può trattarsi di una prudenza che in verità è sottomessa al pregiudizio, e quindi ad una posizione difensiva ultraconservatrice che porta all’irrigidimento di se stessi e alla pretesa che ciò avvenga anche negli altri. Ecco allora che per sopravvivere più a lungo alla battaglia tra la vita e la morte, nella quale l’anziano si ritrova sempre più in ‘prima linea’, le difese possono rivelarsi tanto più controproducenti quanto più si polarizzano su due opposte strategie: quella della rigidità e quella della caoticità, oppure in un inopportuno accavallarsi bipolare di questi due atteggiamenti, dando luogo a tratti nevrotici o francamente psicotici, in versioni tipicamente senili. La rigidità implica rassegnazione, chiusura, rinuncia ad ogni novità, fino a provocarsi una sorta

di autoisolamento che aggrava quello già tendenziale nell’invecchiare. Non si tollerano più di tanto le diversità, ciò che non è conforme alla propria rigidità, fino all’instaurarsi di conflittualità interfamigliari o interpersonali, per questioni che potrebbero anche essere di poco conto o tollerabili, come ad esempio il modo di vestire, lo stile alimentare, i modi di pensare, ecc. Insomma si tende a irrigidirsi facendosi dei nemici, dai quali poi difendersi con maggior rigidità, secondo un circolo vizioso che poi conduce all’instaurarsi di varie forme depressive, nevrotiche o psicoticheggianti. Sul versante opposto vi può essere la via della caoticità la quale non consiste più soltanto in una sorta di dionisismo creativo e stravagante, in funzione sdrammatizzante, quanto nel lasciarsi andare a vere e proprie stramberie nei modi di fare e di atteggiarsi.

Potendo, si accentua la tendenza a spendere e spandere, mentre nell’irrigidimento si rinuncia a cose utili anche se ce le si può permettere. Si diventa particolarmente irascibili quando gli altri non accettano il proprio modo caotico di relazionarsi, scambiando a volte la notte per il giorno o il pranzo per la cena, come se fossero regole alle quali, non si sa perché, gli altri devono adeguarsi. Posseduti da questa nevrosi senile isterizzata, si tende alla bizzarria, e spesso a voler parlare e straparlare e a pretendere ascolto ad ogni momento, mentre sul versante opposto, quello della rigidità ‘ossessiva’ ci si rifugia in una sorta di mutismo e comunque di rifiuto o di sterilizzazione delle relazioni. A cosa servirebbero queste forme di caoticità e/o rigidità dal punto di vista dell’energia psichica? Come spiega la teoria psicoanalitica a difendersi da soggiacenti minacce depressive – ad esempio ‘angoscia da fine vita’.  Ma il fatto è che queste difese poi si ritorcono contro se stessi e con un circolo vizioso riconducono al gorgo depressivo, correlato a disturbi d’ansia, con relative insonnie, ipocondrie, pensieri ossessivo compulsivi. Nelle forme più perniciose, gli eccessi di rigidità e caoticità, nelle loro forme unilaterali o miste, possono sfociare in forme psicotiche, le quali a prima vista possono anche essere scambiate, cioè diagnosticate, come demenze su base organica, quando invece si tratta di atteggiamenti più o meno deliranti, specialmente di tipo vittimistico e aggressivo, volti ad evitare di confrontarsi con il principio di realtà e cioè con la sfida di dover fare fronte coscientemente alla battaglia che la vecchiaia deve sostenere. Non è una battaglia che si possa vincere, dal momento che se il nemico è la morte non lo si può sconfiggere, tuttavia la si può vincere se consideriamo che la depressione è una forma di ‘morte vivente’, perciò è questo il vero nemico, e lo si può aggirare e sconfiggere. Non bisogna, come si suole dire ‘vivere come morti’, abbandonarsi alla depressione o non curarsela, e questo ovviamente ad ogni età, ma arrivati ad un certo punto, cioè ad una certa età, meglio evitarla del tutto, meglio invecchiare senza depressione, tanto questa non serve di certo a stare meglio, e anzi è cagione di problematiche ulteriori anche sul piano della salute fisica e della vita pratica.

Alfredo Perrotti segni-del-tempo

Perciò dato lo status quaestionis di cui ci stiamo occupando, è come sia possibile dunque ad ‘invecchiare bene’, rinunciando a difendersi dall’angoscia della vecchiaia sia attraverso la rigidità e sia attraverso il caos? Una risposta univoca a questa domanda risulterebbe presuntuosa, pretestuosa, unilaterale e più o meno goffamente idealistica. Con umiltà e responsabilità  una psicologia dell’invecchiamento può rispondere che ciascuno deve poter trovare una sua personale risposta, e che laddove non riesce a trovarla o si affatica troppo in tal senso, dovrebbe essere accompagnato da una psicoterapia che lo invita ad una rielaborazione della funzione trascendente (Jung)[1], quella funzione psichica che anela a porsi domande, più che risposte, sul senso della vita, del tempo, del destino, dell’eternità, della bellezza cosmica e artistuca, dell’assoluto e dell’essere nel mondo, nella realtà storica, mondana e in quella ultramondana e spirituale. Questa funzione trascendente considera il simbolico come un fenomeno energetico capace di connettere lo spirito alla materia, il conscio all’inconscio, l’anima e il corpo, il finito e l’infinito.  Il benessere psichico dell’essere anziani si rivela e si preserva solo nell’avvicinarsi attraverso il simbolico all’inconoscibile e al numinoso, nella coscienza, nello spirito e nell’immaginale animico e poetico.

In che senso  l’invecchiare è curabile?

Chiedersi se la vecchiaia sia curabile implica che in qualche modo bisognerebbe ringiovanire. Come abbiamo esaminato fin qui non si tratta tanto di curare la vecchiaia come fosse una malattia, ma di avene cura come fosse l’opportunità di una fioritura, difficile, impegnativa, ma che può far nascere il fiore della psiche più importante, quello della funzione trascendente e dell’autenticità dell’esserci. Ma i modi di pensare e di interessarsi alla vecchiaia, in genere sono assai distanti e fuorvianti dal nostro tentativo di averne profonda e speciale cura. I miti popolari e le pubblicità sono pieni di fontane della giovinezza e di trattamenti ringiovanenti. Occorre restare a tutti i costi giovani, con lo stile di vita, la dieta, l’abbigliamento, la ginnastica, gli integratori, le medicine e volendo e potendo anche con la chirurgia estetica. Insomma curare la vecchiaia consisterebbe in un tentativo di sopprimerla, annullarla o almeno rallentarla sine die. Per quanto questo atteggiamento possa dare luogo a comportamenti virtuosi e salutari, va osservato che nel suo accanirsi genera non poche ansie e preoccupazioni, inoltre il problema viene per così dire aggirato, ma non affrontato. D’altra parte il tenersi in salute, è un impegno e un’ideale da perseguire ad ogni età.

Svitana korolevskaya

E’ vero che nel bambino e nell’anziano le attenzioni e le precauzioni devono essere maggiori, ma mentre il bambino non si pone coscientemente il problema della sua fragilità e del suo futuro, nell’anziano è la coscienza stessa della fragilità, della caducità e del futuro che volge al termine a generare il problema e il timore della finitudine. Si tratta in tal senso di un tema estremo che affligge la coscienza, e i suoi correlati nell’inconscio; ma è proprio questo il patema che una psicoterapia dell’invecchiare dovrebbe curare: cioè come delimitare il soffrire ansiogeno-depressivo. Ne deriva anche di non risultare psicologicamente problematici per gli altri, riuscendo nel miglior modo possibile a godersi il vivibile, le relazioni, e tutto il meglio della realtà accessibile. In questi termini l’aver cura psicologica dell’invecchiare, non vuol dire indurre a ringiovanire, cioè a rifuggire il problema, ma semmai proprio al non volersi accanire a resistere e a perseguire un’improbabile, anzi impossibile ringiovanimento. Nonostante la gravità fisiologica ed esistenziale insita nella vecchiaia si tratta di poter essere in e verso essa con maggior serenità, pienezza e autenticità e persino con curiosità e gratitudine (considerando tra l’altro che non a tutti è concesso di viversela) – fino a poter dire: sono contento di essere diventato vecchio, perché ho incontrato me stesso, il mio essere nel mondo e il mondo nel mio essere!

La battaglia che l’essere umano compie nell’invecchiare per incontrare la profondità del suo esserci è quella di liberare la sua individualità dalla dipendenza istintuale dalla natura. I bisogni spirituali diventano essenziali, nonostante la natura si riveli sempre più aspra e più avversa. Ciò può apparire assurdo e dà luogo ad una complessa sfida psichica che ha bisogno di alleanze, di condivisioni, di comprensione psicologica e umana (anche nel senso della psicoterapia dell’invecchiare di cui qui stiamo parlando).  La sfida allora è o dare un senso superiore all’invecchiare o cadere in una condizione di resistenza nevrotica e finanche psicotica.

In un interessantissimo saggio sulla fenomenologia dell’invecchiare Erling Eng elabora il concetto che esprime nella seguente sintesi:

C’è un momento nella vita in cui siamo particolarmente esposti a queste due possibilità: la psicosi e l’invecchiare. In tale momento si inverte la visione fondamentale del significato del mondo, perché le oscure, ma definite attrattive della giovinezza, sono sopraffatte dalle chiare, ma indefinite esigenze della maturità (Erling Eng “ Fenomenologia dell’invecchiare” in Calvi, L.  – a cura di – Antropologia fenomenologica, Franco Angeli, 1981).

Circolo fotografico immagini Monreale

La psiche del giovane si avvale con istintualità della natura corporea nella convinzione narcisistica che essa le appartiene e non di appartenervi. Quando sente, per qualche evenienza interna o esterna, di perdere questa pseudoproprietà per la quale avrebbe la sua supremazia sulla natura e sul mondo cade in regressioni difensive, a sfondo psicotico e depressivo. Arriva un certo momento della vita, nel quale si percepisce che si sta per invecchiare e quindi che la perdita della supremazia sulla natura è destinata a confermarsi attraverso evenienze progressive e definitive. Allora si è chiamati ad una battaglia nella quale o si è sconfitti, nel senso di non riuscire ad accettare la perdita ineluttabile del proprio relativo potere sulla natura, o si riesce a considerare tale perdita come una liberazione, attraverso la quale l’essere, è costretto a rendersi indipendente dagli istinti e allora deve potersi trovare in una sufficiente condizione assistenziale per evolvere nella sua essenzialità individuale, cioè per diventare autenticamente se stesso, per compiere il suo compimento.

Senilità tra narcisismo ferito e spirito antidepressivo

L’illusoria onnipotenza giovanile, dal momento che incontra l’invecchiare si trova a un bivio tra il fallimento narcisistico con il rischio dell’esacerbarsi della difese nevrotiche e psicotiche, oppure deve sforzarsi di scegliere la faticosa via di trascendere il narcisismo, la visione egoica ed egoistica di essere nel mondo, per riconoscere nell’esistenza un senso che va oltre l’Io e perfino oltre il mondo. Questo è lo ‘spirito antidepressivo’ che dovrebbe sorreggere la vecchiaia fino alla fine, e che una psicoterapia elettiva, cioè ad orientamento fenomenologico, in senso filosofico, spirituale, simbolico e poetico, dovrebbe contribuire ad evocare e a fortificare. La depressione senile, intesa come l’emorragia inarrestabile di una ferita narcisistica pregressa, non curata e che tende a dilaniarsi, può essere curata solo e nella misura in cui il narcisismo sano rifiorisce in una luce trascendente e spirituale, in una nuova coscienza di Sé, quale manifestazione dell’universo nel senso di fenomeno assoluto. Un tale riconoscimento presuppone anche il coltivare una visione spirituale delle cose e delle essenze del mondo. Il godibile non è più solo ciò che è sotto il potere dell’Io, bensì è l’universo tutto, poiché è in esso che si è. Il godibile, nella vecchiaia, nella misura in cui si è riusciti a trascendere il narcisismo egoico – come ha spiegato anche Kernberg – sta anche nell’aver evoluto la capacità di godere del bene degli altri, del proprio prossimo più vicino, come di quello più lontano. La propria felicità, da vecchi, viene anche dalla capacità di valorizzare introiezioni e proiezioni che vengono dalla felicità degli altri, non solo dei parenti più stretti e degli amici, ma anche di tutti gli esseri del mondo. La vecchiaia allora diventa il tempo del bene e della compassione di sé che si congiunge amorevolmente al mondo: è il tempo nel quale si comprende e si coltiva – nella consapevolezza e non tanto nel fideismo – il senso miracoloso, salvifico e rigenerativo dell’amore universale come vibrazione, fuoco, luce e suono dell’assoluto e dell’eternità.

Riposarsi o attivarsi? Ma in che senso?

In generale, le due scuole di pensiero gerontologico ‘di base’ danno due indicazioni pressoché opposte per la salute psicofisica dell’anziano. Per sommi capi, l’una consiglia la ‘via del riposarsi’, l’altra ‘la via dell’attivarsi’. La prima via si è rivelata non solo inefficace, ma anche debilitante, in quanto l’organismo a livello psicofisico ha bisogno non solo di preservare energie, ma anche di mantenerle vive attraverso un allenamento fisico e mentale. La seconda via, quella che invita a fare ginnastica a iscriversi all’università per la terza età, a fare corsi di varia natura, a fare del volontariato e a dedicarsi con maggiore impegno alla famiglia, pera quanto sia la migliore presenta anche vari rischi a livello di frustrazione e di perseguimento di traguardi troppo impegnativi e faticosi. Il dover continuare a fare, a fare, a fare, pur di stare bene e in forma, può diventare stressante, come una continua lotta per ‘farcela’. Forse come dice il celebre monito ‘nel mezzo sta la virtù’. Ma non è solo questo, si tratta invece di considerare che il fare non è una questione solo di concretismo, di realizzazione pratica di obiettivi, ma è anche una questione ricettiva, contemplativa, osservativa della realtà:  quella di se stessi e degli altri, quella interiore ed esteriore, quella visibile e invisibile.  Si tratta allora di allenarsi a sentire, e quindi di dare un valore all’affinarsi di una più profonda sensibilità. Ecco allora che una psicoterapia dell’invecchiare, dovrebbe essere anche considerata come un’esperienza formativa della persona anziana, affinché diventi, per così dire, più filosofa e più poetica. In tal modo potrà approfittare di un periodo della vita di relativo disimpegno dal ‘fare’, per apprezzare il sentire del bene, del bello e del giusto. Questo attraverso un dialogo psicoterapico che non deve risultare invasivo dell’intimità, non deve rinvangare sul passato, su un esame di ciò che si è fatto, non si è fatto o di come si sarebbe dovuto fare o non fare, ma che volge ad uno sguardo più aperto, più intenso e profondo sull’essenza della vita, sul mondo, sui sentimenti, gli ideali, e il mistero stesso dell’essere e dell’esserci. Si potrà allora osservare – così come ho avuto modo di osservare nella mia pratica clinica – che i sintomi ansioso-depressivi più tipici della persona anziana, tendono a depotenziarsi nella misura in cui si riesce a dare un senso ricreativo, poetico, filosofico e affettivo alla proprio essere nel mondo.  Sebbene la gioventù sia ormai lontana, qualcosa di rinascente viene riconcepito nella mente e nel cuore, è come una sorta di nuovo se stesso, che c’è sempre stato, ma che finalmente è giunto a rivelarsi nella sua completezza.

Autosufficienza psichica vs insufficienza fisica

Anche quando l’autosufficienza viene meno una persona anziana deve sapere che la sua presenza non è da considerarsi solo come un peso per gli altri. Infatti la sua infermità e le cure che può ricevere dagli altri testimoniano la natura più umana dell’umanità e il senso stesso della civiltà. Così, l’antropologa Margaret Mead ci fa osservare che la civiltà umana non è nata tanto con la scoperta del fuoco, o della ruota, ma da quando un essere umano dopo essersi fratturato un femore per una caduta è stato ricoverato in un luogo sicuro, per poi essere nutrito, protetto e accudito. E’ da allora che siamo diventati diversi dagli altri animali, i quali se si azzoppano sono destinati a soccombere per incapacità di nutrirsi o diventando nutrimento di predatori. Perciò se l’autonomia fisiologica dovesse venire meno, non bisogna cadere nella vergogna o nella colpa, ma bisogna permettere agli altri, con orgoglio e gratitudine, di rendersi civili ed umani, che siano famigliari o operatori, ricevendo le loro cure e collaborando psicologicamente affinché sentano in loro stessi di esser buoni e soccorrevoli, perché questo li renderà più felici. Accade che chi deve prestare le cure non sia sempre pronto, non abbia l’attitudine caratteriale, non sia capace. In questi casi non resterà altro da fare che assumere un atteggiamento che risuona nell’altro come una possibilità di imparare a curare, almeno in senso psicologico. Ripetiamo che qui non si sta parlando di persone anziane con infermità mentali che compromettono la capacità di intendere e di volere, ma di chi, ed è la maggioranza giunge in età avanzata con buone facoltà mentali in senso psicologico, mantiene cioè attiva e coerente una coscienza ‘normale’.

Naturalmente personalità cosiddette ‘abnormi’ o ‘psicopatiche’, quindi non affette da degenerazioni neurologiche, ma aventi nature caratteriali problematiche e disfunzionali, nella senilità potrebbero ulteriormente peggiorare, ma, con una specifica assistenza psicoterapeutica (e se necessario psicofrmaologica) potrebbero anche migliorare.

Laddove si è riusciti a preservare un buon equilibrio coscienziale durante la propria esistenza giovanile e matura, occorre preservarlo quando si diventa anziani. Questo è un dono, ma anche un peso che va gestito e coltivato, in quanto una ‘coscienza sana’, nel renderci più consapevoli, ci rende anche meno capaci di fuggire dalla realtà (cosa che invece fanno quegli anziani, i quali, come abbiamo detto in assenza di danni organici sviluppano forme ‘pseudodemenziali’ e psicoticheggiant (‘sine materia’). Ecco allora che certe forme di ‘demenza senile’ possono leggersi anche come un rendersi irresponsabili e incoscienti, propro per ovviare al peso della coscienza, la quale nella misura in cui è attiva, sarebbe più aggredibile dalla depressione).

Comprendere le condizioni interne ed esterne di fragilità 

I molti e differenti concetti – circa i problemi e anche le virtù della vecchiaia –  dovrebbero far parte di un’educazione alla vecchiaia sin dalla giovane età, in tal senso io non credo tanto in una cosiddetta geragogia – cioè una pedagogia dell’anziano – bensì credo sia importante un’educazione del bambino, dell’adolescente ed anche dell’adulto che insegna ad invecchiare, e a dare un senso più corretto, meno ideologico e più ‘felicemente realistico’ a questa fase della vita. Occorre imparare a diventare anziani e anche re-imparare a rispettare gli anziani. Un tempo gli anziani erano i vegliardi, i maestri, i capostipiti ai quali era riconosciuto un senso sapienziale; al giorno d’oggi, l’anziano è un fardello, un numero da sopportare più che da supportare… al limite è uno che non sa usare neppure il cellulare!!  L’anziano, inteso come essere vetusto, fuori dalla società, dalla storia e dal suo fluire verso il futuro, è accusato anche di sottrarsi all’effimero; ad esempio è incapace di essere alla moda, di consumare con esuberanza, nonché di lavorare a ritmi serrati, e in definitiva non lo si potrebbe sfruttare come un giovane rampante (sia come lavoratore che come consumatore).

Così che nel mondo del lavoro si risulta vecchi già a cinquant’anni, generando fasce endemiche di disoccupazione e invecchiamenti psicologici precoci, che poi si convertono in ulteriori problemi somatici, famigliari e sociali. Nel mondo dei consumi invece, l’anziano viene profilato come potenziale sordo, sdentato e ipovedente innanzitutto, e quindi bersagliato da continui squilli telefonici che lo invitano a provare la tale protesi o il tale apparecchio. Abbondano poi le telefonate affinché si cambi gestore del telefono, della luce e del gas, in quanto come si tende a credere gli anziani hanno sempre voglia di risparmiare. La politica poi ha particolare cura di loro, in particolare quando stanno davanti alla TV, promettendo spesso grandi progetti a lungo termine, così a lungo che suggestionano nel senso di poter partecipare ad un futuro dell’umanità – che riguarda ad esempio i nostri figli e nipoti – mentre per i loro bisogni presenti si tende a fare ben poco. In questo clima l’anziano non è più un potenziale sapiente, ma un’ignorante, o uno che è divenuto tale per sopraggiunti limiti di età, del quale potersi approfittare in un modo o nell’altro.  Ciò comporta che il prestigio di cui un anziano un tempo godeva in famiglia venga sottoposto ad una severa revisione, e in certi casi addirittura azzerato. Le famiglie poi, nel bene e nel male, si sono decomposte, liquefatte, rarefatte e quindi vengono a mancare quelle semplici attenzioni quotidiane, che un tempo erano offerte in nome di consuetudini e usanze che conferivano dignità e onorevolezza a tutti i me membri della famiglia, anche a quelli più giovani.

Va però detto che, in un certo senso è un bene che la famiglia patriarcale classica sia in via di superamento – altrimenti la condizione femminile e la libertà filiale di scegliersi nella propria soggettività sarebbero restate imbrigliate in oppressioni post-arcaiche – ma è evidente che questa crisi della famiglia, prima di poter diventare ri-evolutiva, genera problemi, insicurezze e infelicità notevoli, negli anziani e non solo. In termini di prassi esistenziale nella quotidianità, ci rimettono in primo luogo gli anziani, o perché non possono più contare su una famiglia che si è praticamente disintegrata, oppure perché una famiglia non ce l’hanno più o non la hanno mai avuta. Di conseguenza il problema dell’anziano non è solo quello di mantenere un’autosufficienza sul piano fisico, ma di non cadere in una sindrome depressivo da isolamento, intellettivo e affettivo. Non avere nessuno con cui parlare, non poter scambiare un parere, non poter guardare un film o una partita di pallone insieme ad un altro per poi scambiarsi emozioni, non poter più ridere insieme (perché sorridere da soli si può, ma ridere no) – tutto questo determina la cosiddetta depressione senile, ma il punto è che non è senile, più che altro è da isolamento. Anche per questa ragione una psicoterapia per la persona anziana è essenziale per rompere quel muro di sordità, che non è solo fisiologica, ma psicologica e che nessun apparecchio acustico che tutti i giorni tentano di vendere con telefonate e volantini potrebbe rompere.

Isolamento e crollo dell’autostima

 La persona, quanto più è anziana e isolata, pur di avere un dialogo con qualche componente affettiva e intellettiva si espone a truffe e a raggiri, cedendo alle lusinghiere e promettenti proposte che si trovano su internet o ancor di più – come abbiamo sopra osservato –  da quelle elargite a spron battente dai venditori telefonici, che in qualche modo – pur di sbarcare il lunario –  si approfittano di certe debolezze e consentono di esperire un ‘rapporto umano’. Questa situazione incresciosa, dell’essere più o meno truffati o imbrogliati – non accade in particolare alle persone anziane con deficit intellettivi, anche perché ci sono normative di tutela in tal senso, ma invece va a colpire proprio a quegli anziani che sono dotati di cultura o comunque di efficienti funzioni intellettive ed emotive. Si cede allora alla chiacchierata telefonica, alla gentilezza del giovane che vuol proporre questo o quello, e poi si resta delusi, se non truffati (a volte gravemente). Ed ecco che questo genera un improvviso crollo dell’autostima, ci si sente stupidi, rimbambiti (con il timore di essere accusati di esserlo dai famigliari, ai quali perciò non si osa di raccontare l’accaduto). Attraverso un raggiro subito per essersi lasciati andare ad un momento relazionale, in modo volitivo e orientato a fare un affare, a realizzare qualcosa di buono, si paventa un amaro senso di incapacità, inadeguatezza, misto a vergogna e svilimento di sé, e quindi ci si avvia in tempi rapidissimi verso un calo depressivo dal quale risulta difficile o impossibile riprendersi. Gli anziani che involontariamente, in uno slancio relazionale fiduciario, vengono poi truffati sono quelli più aperti alla vita  ma non quelli più stupidi, e questa loro fallita apertura li porta crudelmente a un senso di profondo fallimento per la ‘colpa’ (che ovviamente non hanno) di essere anziani.

Native Sioux art

Un’altra, tra le varie cause che può portare ad un repentino crollo dell’autostima nell’anziano, può riguardare il rendersi conto di un effettivo decadimento delle sue capacita percettive e della manualità, quando ad esempio deve svolgere un certo compito o fare uno sforzo. Talvolta nel voler aggiustare un oggetto, come una presa elettrica, o un elettrodomestico, o di mettere in atto un riordino, ci si ritrova fare un pasticcio, oppure un oggetto cade e si rompe per un gesto incauto, o ancor si scoprono cibi scaduti o avariati dentro e fuori dal frigo dei quali ci si era dimenticati. Insomma si tratta anche di sciocchezze, ma che nella vita di un anziono possono provocare uno stato di delusivo avvilimento. Ma vi sono anche problematiche più serie, come il constatare una sopraggiunta inabilità anche paziale, rispetto a qualcosa che prima riusciva facilmente. Si accusa che pesa sempre più salire certe scalinate o andare a fare la spesa; si fa fatica a leggere, oppure si deve accettare che non si riesce più a guidare la macchina come si dovrebbe, ancor prima che la patente sia scaduta. Ecco allora che ci si sente inutili, inefficienti e si rischia di essere accusati inettitudine, cocciutaggine, stupidità. Eppure per quanto l’attività senso motoria fisiologicamente possa subire un qualche decadimento naturale e non grave, la psiche resta funzionante in modo normale, solo che si trova ad affrontare una fase del ciclo di vita Insomma sono ovviamente svariate le cause che minano l’autostima, possono riguardare cose semplici, come quelle più complesse (inclusa l’amministrazione dei suoi averi), pertanto si ha bisogno di un sostegno che non è soltanto pratico, ma anche psicologico, cosa della quale qui ci stiamo occupando nel tentativo di far riflettere e di individuare questioni di approccio specialistico e innovativo rispetto alla psicologia dell’invecchiare.

Va però osservato che una psicoterapia mirata alla vita dell’anziano, non deve essere specificamente riferita alla psicopatologia, nel senso che non si tratta di curare specifiche patologie mentali, ma di avere cura di una condizione vitale oggettivamente più problematica, anche sul piano sociale, oltre che su quello personale, laddove l’incombenza ansioso-depressiva è particolarmente minacciosa.

Una psicologia dedicata alle persone anziane deve quindi essere anche mirata a restaurare e preservare l’autostima incrinata e perduta, così da evitare il conseguente insorgere di perniciose crisi depressive e di altre reattività e condotte psicopatologiche e disturbate, di tipo autistico (autoisolamento), l’abuso di alcolici, di tabacco, di cibi inopportuni, oppure a sfondo vittimistico e paranoideo. In questa ultima malaugurata evenienza subentra la convinzione di doversi difendere da intenzionalità occulte o da persone, reali o immaginarie, che potrebbero perseguitarli e offenderli – inclusa la convinzione che la vita stessa nel suo insieme manchi di ogni possibilità di giustizia e di redenzione, e questo a prescindere dalle proprie credenze religiose o da principi morali e umanistici nei quali avevano creduto e per i quali si erano, in certi casi pure prodigati. Ecco llora che la questione triste e problematica non sta tanto nel perdere la giovinezza, ma nel perdere se stessi, il senso del proprio essere nel mondo e del voler ancor esserci.

Filosofia, religione, immaginazione come medicine di lunga vita

E’ ben nota la leggenda di Siddharta – che era figlio di un Re ricchissimo e potente –  diede inizio alla filosofia del Buddismo dopo essere uscita dal castello dorato in cui viveva con la sua famiglia regale, con il fine di conoscere la vera vita. Ed ecco che per prima cosa vide il volto di un vecchio, e non gli era mai capitato perché per non farlo soffrire i genitori lo facevano sempre accompagnare da giovani esultanti, Quando chiese al suo servitore Khanda perché quell’uomo fosse stato così brutto, questi gli rispose che tutti diventeremo un giorno vecchi e decrepiti come quell’uomo. Il giovane Siddharta perplesso volle continuare ad aggirarsi tra la gente comune, ed ecco che si imbatté in uomo avvolto da coperte graciele e tremante, e così seppe che era malato e che anche la malattia avrebbe prima o poi riguardato tutti quanti. Poco dopo vide un cadavere, ed ecco che scoprì la morte quale inesorabile e definitivo destino comune. Fu così che, sconvolto dall’aver preso coscienza di tanta umana sofferenza, abbandonò il regno del padre e iniziò le sue peregrinazioni attraverso le quali ricevette le illuminazioni per le quali divenne il Buddha.

ecchia e bambino con una candela di Pieter Paul Rubens (1616-1617 circa)

Ogni religione ha le sue narrazioni e le sue pratiche rituali per affrontare i temi dell’ieneluttabilità della sofferenza, e quindi della morte, ma una psicoterapia fenomenologica, dei giovani, dei meno giovani e dei meno anziani, deve potersi anche ispirare ad esse, senza però scadere in una sorta di eclettismo spiritualeggiante. La specificità del dialogo terapeutico deve restare dialettica, tra pensiero razionale e pensiero spirituale, tra logica e ispirazione, tra ragionevolezza e sentimento. E’ una pratica dell’aver cura, che si esprime per il tramite di una relazione umana che vuole essere autentica, non consolatoria, ma coraggiosa e creativa. Si tratta di una cura psicoterapica avente una speciale natura maieutica, volt a far concepire nell’invecchiare la nascita di un nuovo modo di esperire e di sentire la vita, per quanto essa possa avvicinarsi sempre più al cospetto della morte.Allora il punto è come fare a viversela, la vecchiaia, non solo alla meno peggio, ma anche come un’esperienza che nonostante tutta ha una sua intrinseca ricchezza umana, un’opportunità per sentire la vita e incontrare se stessi e il mondo con una nuova autenticità, come una riscoperta di sé, dei sentimenti, della bellezza che ha un suo valore assoluto e persino meraviglioso, senza negare o rimuovere il senso della sua caducità. Il sentire che si avvicina il giorno di dover lasciare questo mondo dovrebbe renderci non soltanto più tristi, ma anche più sensibili e più poetici. Una psicoterapia per l’autunno della vita e poi per il suo inverno dovrebbero lasciarsi ispirare da una poesia come la seguente di Rilke:

Signore: è tempo . Grande era l’arsura .

Deponi l’ombra sulle meridiane,

libera il vento sopra la pianura.

Fa’ che sia colmo ancora il frutto estremo;

concedi ancora un giorno’ di tepore,

.che il frutto giunga a maturare, e spremi

nel grave vino l’ultimo sapore.

(Giorno d’autunno Rainer Maria Rilke)

Particolare San Pietro penitente (Guido Reni, 1605)

Ma essere ‘psicopoetici’ non implica l’adagiarci in confortevoli visioni ultramondane o in esaltazioni esistenzialistiche che possono suggestionarci conducendo lo sguardo dolcemente verso un supremo altrove. No, resistiamo invece ancor nel coraggio di vedere e di elaborare le cose come stanno, cioè le cose che nella vecchiaia sono nel dolore e che ci spaventano e a volte ci ossessionano. La psicoterapia ci insegna che parlare di ciò che ci fa male, in una dimensione che non si lascia andare solo al lamento, ma che richiede consapevolezza, confronto, empatia, compassione, ed è questo ‘parlare autentico’ che ci aiuta moltissimo a superare anche le questioni più dolorose e difficili. Perciò parliamone della vecchiaia, anche nei suoi aspetti più dolorosi, affinché i pensieri che ci affliggano non restino sordi a noi stessi e agli altri, riducendo la vita interiore nell’isolamento, nella mancanza di ascolto e di dialogo, e quindi nella raggelata rassegnazione, nel sintomo intollerabile delle insonnie e delle somatizzazioni, nelle disperanti e deliranti elucubrazioni.

“Di soltanto una parola, e io sarò salvato” è la formula eucaristica, ma in senso della psicoterapia, che pure riguarda un modo umilmente laico di curare  l’anima/psiche, la parola, anzi le molte parole, nonché i silenzi tra di esse,  vanno alla ricerca di una forza interiore, che esprime il senso profondo del voler Essere, o del compimento del vero Sé, che può manifestarsi in noi anche nei momenti più estremi. Secondo Hillman la psiche della vecchiaia deve essere volta al compimento del carattere, alla scoperta cioè dell’opera del proprio autentico sé[2]. Così che solo alla fine di un libro, di un film ne possiamo apprezzare il senso compiuto, così come un quadro o una scultura non si rivela nella sua compiutezza fino al tocco finale, così una psicoterapia della vecchia deve accomapagnare al compiersi del Sé e quindi alla rivelazione dell’Essere che per lungo tempo era stato celato e trattenuto dalle cose troppo mondane, dalle cose, potremmo dire che sono troppo soltanto cose. Gli affanni, le preoccupazioni per raggiungere obiettivi successi, per farsi una famiglia o per disfarsene, o per non farsela, devono ad un certo punto essere superati per potersi dedicare al proprio ‘Essere nel mondo’. Non si tratta di egoismo, tuttaltro, si tratta anzi di lasciare andare il proprio ego per recepire oltre ad esso quell’essere che si è incarnato nel nostro esserci (e qui è ancora evidente il richiamo ad una psicoterapia fenomenologica ed esistenzialista piuttosto che di tipo analitico).

Si tratta allora di poter esprimere, accogliere e restituire certe sensazioni profonde che colgono malinconie, come esaltazioni di sfumature e sensibilità che nella vecchiaia e nella sua anticamera, invece di sbiadire risultano più vivide ed evidenti, quasi al contrario di ciò che avviene con l’affievolirsi dei sensi.La terza ètà, o la quarta, dovrebbero allora essere coltivate come una specie di terza e quarta rinascita, un tempo in cui si rinasce vecchi e bambini, fragili e forti, poveri e ricchi, primi e ultimi, soli e insieme…

Francesco Guccini, Lyric: Il vecchio e il bambino

Affinché la coltivazione dell’ultimo arco di vita possa dare i suoi ultimi e speciali frutti, occorre una sufficiente condizione socio assistenziale, ma anche un dialogo psico-esistenziale che dia la possibilità di trasmettere ciò che la vita ci ha insegnato e di ricevere un ascolto e una parola capace di darvi il giusto valore, sul piano umano, simbolico e spirituale.

(Pier Pietro Brunelli – Psicologo-Psicoterapeuta)

 

[1] Jung, C.G., (1957/1958) La funzione trascendente. (Prima stesura 1916) in “Opere”,  vol.8,

[2] Hillman, J. La forza del carattere. La vita che dura. Adelphi, 2000.

 

La prima e la seconda parte si trovano nei seguenti link : PRIMA PARTE ;   SECONDA PARTE

segue:  PSICOTERAPIA ARCHETIPICA E POETICA DELLA SENILITA