UNA PROFESSIONE VAMPIRIZZATA!

Sembra superfluo dirlo, ma anche gli psicologi e gli psicoterapeuti (colleghi e colleghe) hanno le loro ferite e le loro pene. Ma forse è terapeutico esaminarle, per se stessi e anche per risultare più chiari agli occhi dei pazienti e della collettività.

Innanzitutto consideriamo la differenza che qui intendiamo marcare tra “ferite” e “pene”. Le prime sono qui intese come problematicità personali, relazionali, affettive (perdite, lutti, complessi, malattie, ecc.  riferibili a periodi e/o eventi attuali o pregressi); le seconde riguardano prevalentemente i disagi, i rischi, le insicurezze, le inequità che può subire la vita professionale, relazionale e sociale. Qui consideriamo ferite e pene come condizione e confessione dello psicologo/psicoterapeuta. ma si tratta, come si vede, di considerazioni che possono riguardare sofferenze e angustie di ogni persona. Tuttavia l’insieme di ferite e di pene  che investono la vita professionale dello psicologo-psicoterapeuta lo espongono in una condizione di costante precariato, di rischi per la salute, di burn-out (crollo da esaurimento) e di vampirizzazione psico-sociale. Vediamo in sintesi perché.

LE FERITE PERSONALI

Le ferite che lo psicologo/psicoterapeuta si porta ‘dentro’ come ogni persona, possono risalire all’infanzia, all’adolescenza e alla vita adulta. Mi riferisco a ‘ferite psicologiche’ dovute a propri limiti e negatività, così come all’aver subito traumaticità o stress dovuti alla vita famigliare (in termini psicoanalitici il riferimento va fino alla prima infanzia e addirittura, secondo alcuni persino alla vita intrauterina). Oppure può trattarsi di sofferenze psichiche dovuta a situazioni disfunzionali in corso, ad esempio connesse alla vita erotico affettiva, al rapporto con genitori anziani, con i figli e con la sua propria identità. A volte si tratta di questioni semisommerse, che stanno latenti o in sordina. Altre volte emergono questioni acute, per le quali anche lo psicoterapeuta può manifestare disturbi del sonno, dell’alimentazione, della sessualità con vari riflessi funzionali sullo psicosoma. Secondo Aldo Carotenuto le ferite “sanguinanti” dello psicologo/psicoterapeuta possono essere impiegate ai fini di una maggior apertura empatica e terapeuta nei confronti di un paziente. Detto con semplicità, ovvero secondo una visione fenomenologica, riusciamo meglio a comprendere lo stato d’animo e i problemi degli altri quando ci siamo già passati, e ci mettiamo in ascolto dell’altro non più (o non solo) con le nostre teorie e convinzioni scientifiche, ma con la nostra esperienza e sensibilità d’animo

Infezioni e co-infezioni

Jung ha parlato di co-infezione tra terapeuta e paziente, come metafora di un intensa partecipazione empatica e spirituale del terapeuta rispetto ai vissuti e agli stati d’animo di un paziente. Freud, per primo, ovviamente ha avvisato di quanto fosse determinante controllare e impiegare il ‘contro-transfert’, cioè quell’intimo e anche inconscio vissuto che il terapeuta prova quando viene investito dalla relazione e dai contenuti del paziente (cioè dalle sue proiezioni sul terapeuta:’transfert’). Quindi un terapeuta oltre ad avere le sue proprie ferite, ad impiegarle per la comprensione terapeutica con il paziente deve anche reggere alle co-infezione recate dal paziente, orientandolo in modo terapeutico. Credo sia un bene per la terapia che i pazienti abbiano più chiaro che la terapia psicologica basata sull’ascolto e il dialogo è anche una questione di ‘alleanza terapeutica’ , e per una buona alleanza è meglio sapere che l’alleato – il terapeuta – è un essere umano che ce la mette tutta, con i suoi saperi, esperienze e pure con le sue ferite per ottenere – insieme –  i migliori risultati terapeutici e trasformativi in senso evolutivo.

Dal cinema ai Serial TV, vi è un genere che tenta di mostrare le ferite e le infezioni psichiche dello psicologo clinico (ad esempio, ricordiamo due recenti film su Jung e la SabinaSpielrein, la Stanza del figlio, di Nanni Moretti, oppure Treatment nella versione italiana Castellito, ecc, o la serie del giovane Freud, quasi sempre piuttosto in difficoltà). Eppure essere psicologo appare ancora un po’ troppo come appartenente alla sfera degli ‘esseri invulnerabili’, con il corollario derisorio dello ‘strizzacervelli’, che a sua volta è una specie particolare di matto insanabile.

 

Le supervisioni e le terapie tra colleghi

Un bel grande sforzo direi: sopportare le ferite per le colleghe e i colleghi della Psicologia clinica (tra loro c’è anche chi scrive).  Intanto, si considera – ma non sempre è vero –  che le ‘ferite sanguinanti’ del terapeuta siano state il più possibile cauterizzate e comunque elaborate, anche quando dovessero riaprirsi troppo per via di qualche destinale fatalità. Ecco allora che accade, tra i colleghi più sensibili almeno, che i terapeuti possano ascoltarsi e terapizzarsi tra loro, secondo modalità assai diverse a seconda dei casi, ma sulle quali vige anche uno spirito di colleganza e talvolta anche di amicalità.

A volte, anzi direi frequentemente, capita che lo/la psicologo/psicoterapeuta non si accorga o sottovaluti un riemergere delle sue proprie ferite o di una loro insufficiente rielaborazione. Per questa ragione credo debbano essere favorite e consigliate le pratiche della Supervisione e Intervisione (pareri e approfondimenti tra colleghi nel rispetto della privacy), individuale e di gruppo, laddove un terapeuta più anziano o anche solo più esperto su certe questioni possa essere di supporto allo psicologo/psicoterapeuta ferito. Questo concetto è alla base dell’autoformazione continua della nostra categoria, secondo le tradizioni fondative di tutta la Psicologia clinica di ogni orientamento.

Le ferite di ‘genere’

Le colleghe e i colleghi vivono – ciascuno secondo la sua soggettività ovviamente – ferite di ogni tipo, curate, non ben curate, incurabili, croniche e acute… io sono di sesso maschile e quindi non mi permetto di entrare nello specifico delle ferite delle colleghe, tuttavia per quanto riguarda il dialogo che posso avere con loro (in rare occasioni, perché il nostro è un lavoro molto solitario) credo che in qualche modo si trovino ad aver a che fare con transfert e controtransfert che investono non sempre in modo simpatico, l’immagine di madre nutrice, nonché di altre pregiudizievoli figurazioni (para-misogine: relativamente alla professione) che ancora oggi costituiscono veri e propri vulnus psicoculturali nei confronti delle donne.

Le incomprensioni/Burn-Out

Talvolta gli amici, i parenti e gli stessi pazienti, in modi diversi, sembrano non essere cosciente delle ferite di uno psicologo/psicoterapeuta, al punto che si parla anche di invidia più o meno inconscia nei suoi confronti, quasi che a lui fosse concesso tutto il bene del mondo. Oppure questo supposto bene appare in qualche modo meritato, così che si possa meglio riporre fiducia in una persona che oltre ad avere la qualifica di Psicologo/ Psicoterapeuta ne dimostra nei fatti la rilevanza dal momento che sta sempre benissimo! Intanto capita che amici e colleghi considerano lo psicologo/psicoterapeuta un fortunato che fa il lavoro che gli piace, che è stimato dagli altri, guadagna (?) non timbra il cartellino (non considerando, come vedremo che ha scelto a fare il libero professionista, ma, soprattutto in Italia vi è costretto da un certo  sistema della salute). Inoltre si suppone che lo psicologo-psicoterapeuta le sue sofferenze psicologiche se le autoguarisca con facilità, e lui stesso per non abbassarsi l’autostima tende a sorridere anche quando dentro di sé soffre (della serie l’homme ou la famme qui ri!) Anche per questa ragione ogni psicologo/psicoterapeuta si sente spesso solo e incompreso sul piano interumano e sociale e da ciò inizi quel fenomeno di crollo nervoso chiamato BURN-OUT – che troviamo in tante categorie, ma che per lo psicologo/psicoterapeuta è assai inclemente, sia perché dedica gran parte della sua psiche ad ascoltare e a dialogare a riguardo di problemi, dolori, sofferenze di ogni tipo e sia perché è subissato  da ‘pene’ che in modo ingrato e ingiusto lo affliggono per via di una ‘pazzesca’ condizione sociale in cui si trova ad operare… ed ecco qui di seguito di quali pene si tratta.

LE PENE DI UNA CONDIZIONE PROFESSIONALE IN GRANDE SOFFERENZA 

Le pene della nostra professione di psicologi/psicoterapeuti hanno una loro origine storica e scientifica. Freud infatti fu il primo a subirle e non poco. In sintesi si sta parlando del fatto che da più parti arrivano critiche e riottosità contro la specifica natura della psicologia che consiste nella necessità di intersecare scienza e filosofia, ovvero scienze esatte e scienze umane. Questo invece di essere un pregio ha significato e ancora oggi significa essere messi all’angolo o tirati di qua e di là dalle neuroscienze (versante materialistitico) o dalla fenomenologia (versante filosofico spirituale). Se fosse solo una questione teoretica sarebbe anche coerente il doverla sopportare, ma diventa invece una questione che penalizza la vita di uno psicologo-psicoterapeuta dalla sua prima formazione alla professione alla formazione continua e al suo statuto sociale. Vediamo più in concreto cosa vuol dire.

Alte spese e precariato garantito

Per diventare psicologi e poi psicoterapeuti occorrono minimo 10 anni tra corsi e tirocini. La specializzazione va fatta in Scuole a pagamento perché quelle pubbliche sono rare e con pochi posti. Durante gli studi occorre effettuare molti tirocini gratuiti, ed è opportuno, se non necessario (se si vuole lavorare con i pazienti) fare un’analisi personale. Possiamo all’incirca stimare che tutto ciò viene a costare minimo 50.000 euro + i libri, dovendosi arrangiare per il proprio reddito (cioè non ce la si fa  a curare come si deve altre fonti di reddito – perciò o si è agiati o si vive di stenti).

Questo si può dire anche di altre categorie, dal medico all’ingegnere, all’avvocato, e ciascuno avrà le sue difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro… invece non è che abbia difficoltà è che non si può inserire (si stima che i 120.000 iscritti agli Ordini (con tassa annuale) 60.000 non lavorano e che la media con cui si arriva alla pensione è di circa 180 euro (ma si maligna dicendo che si lavora senza fattura, questo non solo non è vero come mostrano i dati generali, ma seppure ci possa essere evasione, questa resta in una misura assolutamente irrisoria rispetto a quella di altre categorie professionali perché uno psicologo-psicoterapeuta che lavora bene non può farcela a fare più di 20 sedute settimanali (se non qualche volta) e la cifra è sempre quella per ogni seduta. Altre professionalità possono guadagnare a seconda del lavoro cifre molto elevate impiegando lo stesso tempo. Quindi è facile fare i conti in tasca a noi psicologi-psicoterapeuti e si vedrà che la stragrandissima maggioranza è sotto il regime fiscale agevolato dei contribuenti minimi).

Tanti doveri, nessuna tutela

Dobbiamo pagarci mutua, assicurazioni, iscrizioni agli Ordini, corsi di formazione obbligatori, ma non ci sono concorsi e nessuna agevolazione mutualistica ai pazienti meno abbienti affinché si possano rivolgere a noi. Dobbiamo competere con professionalità che hanno acquisito i loro titoli in pochi anni o in certi casi in pochi mesi. Massimo rispetto per queste professionalità, tuttavia counseleur, coach, mentalist, pratictioner e quant’altro dovrebbero essere messi nella condizione di poter lavorare senza ingenerare equivoci e competizioni con la professione di Psicologo-Psicoterapeuta. A noi, che abbiamo pagato e studiato per almeno 10 anni sono richieste procedure burocratiche e formazioni in massima parte a pagamento (per circa 15 giorni all’anno, da svolgersi nelle ferie che non abbiamo), obblighi e incombenze che le altre professionalità che offrono servizi per il ‘benessere interiore’ (cioè celando la parola psicologia) non hanno.

Noi non abbiamo ferie, dobbiamo pagarci la mutua, non arriviamo alla pensione, se ci ammaliamo di fatto perdiamo i clienti e recuperarli diventa difficilissimo, se non impossibile, noi che ci facciamo pagare l’ora di seduta, non diciamo che per ogni ora che facciamo, tra preparazione studio incombenze professionali, formazione ce ne vogliono circa altre due… noi che guadagniamo mese per mese. quello che se computato in termini di ferie, tredicesima, mutua, pensione più o meno come un insegnante non sappiamo mai cosa accadrà il mese successivo, non abbiamo garanzie sociali, sufficienti sbocchi nel pubblico, e si f apparire come se fossimo noi a scegliere il privato… e questo nonostante si faccia un gran parlare che c’è bisogno di noi! Noi che, nel corso di una carriera siamo veramente a rischio anche per la nostra incolumità, siamo veramente una categoria vampirizzata.

Aver cura di chi ha cura

Ecco quindi che in sintesi abbiamo parlato delle ferite e delle pene delle colleghe e dei colleghi che lavorano in ambito privato come psicologi clinici e psicoterapeuti. Siamo soggetti a ferite dovute ad antichi problemi, a guai in famiglia, lutti, abbandoni, malattie, come tutti… e poi siamo anche penalizzate da una condizione lavorativa iniqua, precaria e precarizzante, con conseguenze che possono rivelarsi drammatiche. Inoltre siamo anche tenuti in uno stato di soggezione e condizionamento da case psicofarmaceutiche attraverso la massiccia divulgazione delle neuroscienze (cioè del cervello come computer carnoso) oppure da quelle filosofie che ci considerano come inutili, superflui, e in fondo mistificatori che pretendono di rubare il mestiere ai preti o ai vecchi saggi del sapere che delle teorie psicologiche se ne fregano.

Care colleghe e cari colleghi, non restiamo isolati nella nostra comunità, abbiamo cura di noi ‘tra di noi’ e della nostra professione. Non chiudiamoci soltanto nelle sedute, occupiamoci di più del senso sociale e del futuro della nostra professione, attraverso la formulazione di proposte collettive volte ad avere cura di una professione che per poter avere la miglior  cura per tutti, non può restare vampirizzata e sopportare ferite non curate e pene in una condizione di ignavia, sottomissione, e persino di diffidenza concorrenziale tra di noi.

Per le colleghe e i colleghi più giovani

Se scegli di fare la psicologa o lo psicologo clinico (e magari poi specializzarti) devi sapere che si tratta proprio di una vocazione e che comporta molto sacrificio. Le tue ferite ti saranno di grandissimo aiuto per capire quelle dei tuoi pazienti, ma sappi che le devi elaborare e curare, e che per questo devi rivolgerti alle colleghe e ai colleghi più maturi ed esperti. Non ti illudere mai di poter risolvere certe ferite solo studiando la psicologia, se non farai un sufficiente lavoro psicologico su te stesso e con il sostegno di qualcuno esperto, potrai anche qualificarti con il massimo dei voti… ma il rischio che tu involontariamente possa peggiorare le tue ferite e quelle degli altri è assai alto. Cerca di instaurare reti di collaborazione e solidarietà con i colleghi. Attivati affinché la nostra professione venga riconosciuta non solo sulla carta, ma anche nei fatti affinché possa essere al servizio delle persone e della collettività nel migliore dei modi. Una questione fondamentale è la DEMOCRATIZZAZIONE DELLA CURA PSICOLOGICA , che deve quindi essere resa accessibile con sussidi mutualistici a seconda del reddito a tutti i ceti sociali (e almeno anche per questi di potersi scaricare dalle tasse la ricevuta!!!). Questo farà evolvere la nostra professione  e le nostre competenze, potendo dedicarsi alla psiche umana di tutti (non solo  dei benestanti) e a quel punto avremo maggiori tutele e riconoscimenti scientifici e sociali. La società intera guadagnerà in prevenzione e cura di moltissimi disagi e sofferenze allorché siano trattati con metodi psicologici: meno suicidi, meno femminicidi, meno tragedie in famiglia, meno psicofarmaci, meno dipendenze, meno desolazione, solitudine, incomprensione, disorientamento e disumanità.

Storici incontri tra psicologi e studiosi di altre discipline, presieduti da Jung (ERANOS)

Solo se curerai le tue ferite e ti batterai per superare le pene della nostra professione diventerai una persona capace di svolgere il nostro delicatissimo lavoro secondo scienza e coscienza – non arriverai mai a guadagnare molto… in questo lavoro è impossibile, a meno che non tenterai la scalata dello show business quale psicologo star system, ma in quel caso farai un altro lavoro. Se invece vuoi davvero avere cura della psiche umana in questa società, avendo cura di te stesso/a e della professione, allora ce la farai e avrei speso la tua vita – con sacrificio, ma anche con grande soddisfazione – per una causa umana di estrema importanza: l’anima-psiche!

LA MANCANZA DI SUFFICIENTI TUTELE PROFESSIONALI

Recentemente si sta sviluppando sui social, e non solo, una generale presa di coscienza delle professioni della Psicologia. E’ importante partecipare, coinvolgersi, non avere timore di esprimere le proprie esigenze e il dissenso per la mancanza di tutela della nostra professione. Gli Ordini e le Istituzioni che  dovrebbero tutelarci non lo fanno in modo sufficiente e anzi, sembrano addirittura favorire una sregolata mercificazioe dequalificante delle professioni psicologiche. Nel gruppo FB  Assemblea Permanente Professioni Psicologia e in altri gruppi, è in sviluppo un dibattito costruttivo e sono promosse iniziative per la tutela della nostra categoria professionale e questo va di pari passo con il benessere e la salute psicologica di tutta la collettività.